Dopo il vincolo del Comune di Campi Bisenzio che impedisce di cambiare la destinazione d’uso all’area dello stabilimento ex Gkn, il futuro dell’azienda toscana costeggia il settore logistico, ma i lavoratori restano senza salari. SenzaFiltro ha analizzato le partecipazioni e i passaggi di mano più recenti della proprietà
Moreschi, da operai a commessi: un’azienda venduta al dettaglio
Il calzaturificio di Vigevano, tra gli ultimi baluardi dell’ex città della calzatura, è fallito con quasi 300 creditori. Gli operai costretti a svendere i prodotti che avevano realizzato per pagarsi gli stipendi arretrati
Domenica mattina, ore 10. Una lunga coda di persone si vede dalla circonvallazione di Vigevano. Sono tutte in fila per acquistare prodotti scontati alla vendita stragiudiziale del calzaturificio Moreschi, che a luglio ha portato i libri in tribunale. Quello che un tempo era il simbolo della città della calzatura oggi non esiste più: il marchio andrà all’asta e il magazzino è in vendita scontato del 60%.
«Se non avessimo fatto così – dice il curatore fallimentare – avremmo venduto a stock e ci offrivano dai 25 ai 30 euro a scarpa». Praticamente niente per prodotti che fino all’anno scorso costavano alcune centinaia di euro, e che oggi sono in vendita di sabato e di domenica, con scontistiche degne dei saldi.
La vendita, comunque, ha fruttato nel primo fine settimana diverse decine di migliaia di euro (qualcuno parla di 200.000); solo il primo giorno si sono presentate mille persone. Un dato positivo, soprattutto per i dipendenti, che anche grazie alla vendita puntano a far fronte all’esposizione debitoria. Quanto incassato, infatti, va a coprire i debiti del fallimento. Sono quasi 300 i creditori, tra i quali gli ex dipendenti (che non si sono visti pagare alcuni stipendi) risultano essere quelli privilegiati: così dovrebbero recuperare qualche euro di quelli che gli spettano.
“Costava 1.400 euro, l’ho pagato 100”: l’azienda svende per coprire parte dei debiti
Dietro al bancone a fare da commesse ci sono tre ex operaie, che si ritrovano a vendere le stesse scarpe che fino a qualche mese prima hanno prodotto. Sono loro a battere gli scontrini, mentre all’ingresso a fare entrare le persone – due alla volta – c’è un dipendente della società che gestisce il fallimento.
«Il primo giorno – dice – è andato bene, ma andremo avanti fino a esaurimento scorte. Nelle prossime settimane arriveranno altri capi».
Nei locali dello spaccio, invece, ci sono soprattutto uomini, ma anche qualche donna che prova scarpe e vestiti. «Qualche volta – spiega un uomo di mezza età mentre prova un paio di scarpe – ho comprato delle scarpe qui. È un prodotto che apprezzo, quindi questa volta ho deciso di approfittarne».
Ma c’è anche chi ha varcato per la prima volta i cancelli di una fabbrica che per Vigevano era un simbolo. «Avevo comprato un solo paio di scarpe di Moreschi – dice un pensionato – quando si è sposato mio figlio. E anche, una volta, dei sandali. Ma oggi era un’occasione. Ho trovato un giubbotto di pelle da 1.400 euro venduto a 100». Un giovane avvocato ha appena staccato uno scontrino da 90 euro per un paio di guanti, una sciarpa e una camicia: «Penso di tornare, anche perché nelle prossime settimane gira voce che arrivino altre scarpe».
Della storia della fabbrica e del percorso che ha portato al fallimento sono in pochi a ricordarselo, nel giorno della svendita. Ora prevale la vendita sotto costo.
Gli esordi di Moreschi, fiore all’occhiello della città della scarpa
Era il 2003 quando Moreschi inaugurò il nuovo stabilimento. La storica fabbrica vigevanese, nata nel 1946 dall’ingegno di Mario Moreschi, un ex direttore d’orchestra e pilota di piccoli aerei, si evolveva con una nuova casa e puntando sul welfare, essendo tra le prime ad avere un nido interno per i figli dei lavoratori, che allora erano 400.
Moreschi guardava al futuro. Di lì a poco sarebbero arrivati anche i negozi in tutto il mondo come la boutique di New York. Alla guida c’era il figlio di Mario, Gian Beppe, con i due figli e l’orgoglio di non avere mai chiesto un’ora di cassa integrazione, se non in qualche caso l’ordinaria, per fare fronte ai normali cali del lavoro.
Il sogno si è infranto, però, nel 2019. A fine anno arriva per la prima volta la richiesta di cassa integrazione straordinaria per 39 dipendenti. Si tratta di un intero reparto, quello dell’orlatura, che è da sempre il cuore dei calzaturifici. Presto ci si rende conto che non è una crisi passeggera. L’estate del 2020 è quella dei primi scioperi davanti agli stabilimenti, la prima ondata di COVID-19 è appena finita e gli operai scendono in piazza con tanto di mascherina. La richiesta è quella di avere più chiarezza e un piano industriale per il futuro.
Come fallisce un’azienda: volano gli stracci tra vecchi e nuovi proprietari
La chiarezza arriva proprio a luglio 2020, quando la società passa di mano e viene acquisita da Guido Scalfi, patron del gruppo Hurley, un fondo specializzato nel rilevare realtà in crisi, come il gruppo Malerba, di cui ha già le quote. I dipendenti, intanto, sono scesi a poco meno di 300, grazie alla mancata sostituzione di chi va in pensione, mentre Scalfi rileva il 51% del capitale.
Le premesse sembrano buone. Scalfi ha già risanato Malerba, parla di puntare alla Cina e nel frattempo apre uno showroom in via Manzoni, pieno di centro di Milano, quadrilatero della moda. Chiama ex dipendenti del gruppo Della Valle per lanciare la nuova collezione, puntando anche sulla scarpa da donna, segmento sul quale Moreschi era sempre stato piuttosto debole, caratterizzandosi piuttosto per le scarpe da uomo. Ma qualcosa non va.
Inizia una guerra di carte bollate tra gli ex proprietari e il nuovo patron su chi sia il reale proprietario. Il balletto in tribunale non giova agli affari, si ricorre ancora alla cassa. Secondo Scalfi lo stabilimento è inadatto alle nuove produzioni, e intanto il lavoro viene esternalizzato, addirittura a Parabiago, distretto storicamente concorrente di Vigevano. Sul futuro dei lavoratori, invece, incombono molti punti di domanda e tanta amarezza.
«Moreschi – dice Anna Colombo, ex sindacalista e dipendente – rappresentava per Vigevano un orgoglio. Io ci sono entrata da ragazzina e mi ricordo come ci fosse la volontà di imparare un lavoro. E poi c’era l’orgoglio di non aver mai chiesto la cassa.»
Negli ultimi anni il calzaturificio era anche diventato un simbolo produttivo per la città, l’ultimo nome del distretto calzaturiero a rimanerci. Almeno fino a luglio 2024, quando alcuni creditori decidono di presentare istanza di fallimento. Basta a scoperchiare il pentolone. Come più volte denunciato dai sindacati, non c’è nessun piano industriale, non c’è mai stato un vero programma per rilanciare l’attività della storica azienda. E la palla passa al tribunale fallimentare.
Il sequestro della Finanza e il tramonto della calzatura vigevanese
L’ultimo capitolo è quello più amaro, con l’intervento delle forze dell’ordine. La Finanza di Vigevano ha messo sotto sequestro 11.500 paia di scarpe, prodotte con il marchio Moreschi da alcuni terzisti senza l’autorizzazione del curatore fallimentare. L’indicazione sarebbe stata di indirizzare la produzione verso una logistica in Svizzera. L’intervento delle Fiamme Gialle, però, ha bloccato l’arrivo delle scarpe, e secondo alcuni potrebbero anche passare, prima o poi, dallo spaccio di Vigevano, dove nei prossimi mesi saranno venduti altri capi sottocosto prodotti da Moreschi.
Certo negli ultimi anni il settore meccano-calzaturiero a Vigevano non se l’è passata bene. Nel 2023 si è registrato un calo a livello occupazionale, secondo i dati di Assolombarda, di 148 unità, contro un mercato del lavoro provinciale che ha evidenziato un saldo positivo di 4.692 unità.
«La stessa produzione calzaturiera a Vigevano ha subito un calo significativo, con una diminuzione degli avviamenti che nel 2023 si sono attestati a 522, rispetto ai 788 del 2022», si legge in un comunicato congiunto con la provincia. «Nonostante la contrazione recente, il settore calzaturiero e meccano-calzaturiero continua a rappresentare una quota significativa dell’occupazione e dell’attività economica della provincia di Pavia, con quasi 1.300 avviamenti registrati a Vigevano nel 2023».
Insomma, la città della scarpa non è più tale. Ci sono voluti anni, e il settore trainante per il quale Vigevano era nota in tutta Italia si è del tutto esaurito, senza (per il momento) essere stato sostituito da nient’altro.
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In copertina: ex operai di Moreschi svendono i prodotti che hanno realizzato per rientrare dei copiosi debiti aziendali.
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