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Ogni anno l’AD del potentissimo fondo BlackRock scrive una lettera agli investitori, che suona come un vaticinio: nessun altro documento è in grado di prevedere (e influenzare) allo stesso modo l’agenda economica globale. Un’analisi dei temi passati, e futuri, con un grande assente: i lavoratori
Il capitalismo globale ha un appuntamento annuale: una lettera. Non una qualunque, ma quella che Larry Fink, CEO di BlackRock (la più grande società di gestione patrimoniale al mondo, con 11.500 miliardi di dollari in gestione) invia ai CEO delle aziende in cui investe. Tra queste, colossi come Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, ExxonMobil e Pfizer.
Come un’enciclica laica per il mondo finanziario, la “lettera di Fink” è diventata un momento cardine per comprendere dove si dirige il capitalismo contemporaneo, quali temi domineranno l’agenda economica globale e, soprattutto, che cosa ci si aspetta dai dirigenti delle più grandi aziende del pianeta.
Tutto iniziò nel 2012, quando il mondo ancora faceva i conti con le conseguenze della crisi finanziaria del 2008. In quel contesto di profonda sfiducia nei mercati, Fink avviò questa consuetudine per esortare i CEO ad abbandonare la visione miope del profitto trimestrale e adottare strategie di lungo termine. Da allora la portata e l’influenza di queste lettere sono cresciute in modo esponenziale, diventando uno strumento di soft power senza precedenti nel panorama finanziario.
Inizialmente pubblicata a gennaio, dal 2023 è un appuntamento fisso di marzo sul sito di BlackRock. Appena viene pubblicata, la lettera viene subito ripresa dalle principali testate economiche e finanziarie, come Financial Times, Wall Street Journal, Il Sole 24 Ore, Bloomberg. Non solo: piattaforme social come X (ex Twitter) amplificano il dibattito, generando migliaia di post. L’eco mediatico è paragonabile a quello di un discorso presidenziale: quando Fink parla, i mercati ascoltano, le aziende si adeguano e i critici si mobilitano.
Uno studio del 2021 pubblicato sulla Review of Accounting Studies ha rilevato che le società con una significativa partecipazione di BlackRock aumentano le loro comunicazioni sui temi evidenziati nelle lettere di Fink entro 30 giorni dalla pubblicazione.
L’analisi delle lettere di Fink dal 2012 al 2025 rivela un’evoluzione significativa sia nei temi trattati che nel linguaggio utilizzato. Nel corso degli anni il linguaggio di Fink è diventato sempre più assertivo, passando dai “dovrebbe” ai “deve”, e se ne possono identificare cinque fasi distinte:
È innegabile che le lettere di Fink abbiano avuto un impatto concreto sul comportamento aziendale. In particolare, dopo la lettera del 2020 sul cambiamento climatico, si è registrato un aumento del 14% nelle dichiarazioni aziendali relative a questo tema, secondo uno studio dell’Università di Harvard. Inoltre, le società hanno iniziato a quantificare l’impatto dei fattori ambientali sulle loro operazioni, una pratica incoraggiata da BlackRock.
Le lettere di Fink hanno anche influenzato il dibattito pubblico sulle priorità aziendali. Il concetto di purpose aziendale, introdotto nella lettera del 2018, è ora ampiamente discusso nei consigli di amministrazione e nelle scuole di business.
C’è anche un non trascurabile effetto mediatico. Uno studio rigoroso pubblicato su PLOS Sustainability Transformation nel 2023 ha rilevato che l’enfasi sui temi ambientali è stata sovrarappresentata nei media: mentre il 78% degli articoli giornalistici associava Fink perlopiù al clima, solo il 20% delle sue lettere privilegiava la componente ambientale rispetto a quelle sociali e di governance.
Anche se temuta e rispettata, la lettera di Fink raccoglie anche critiche politiche. Da sinistra: accuse di greenwashing e di non fare abbastanza per il clima, con BlackRock che continua a investire in combustibili fossili. Da destra: accuse di woke capitalism e di imporre un’agenda progressista attraverso il potere finanziario.
L’analisi quantitativa dei temi trattati nelle lettere di Fink mostra alcune tendenze significative:
Se interpretiamo questi trend e diamo credito a chi ritiene che la lettera di Fink influenzi l’intero sistema occidentale, si passerà (o si tornerà) a mettere al centro la performance a discapito di ESG e D&I.
Ma un’analisi approfondita delle lettere di Fink rivela un dato sorprendente: la presenza marginale del tema del lavoro e dei lavoratori. Sebbene Fink parli di stakeholder e occasionalmente menzioni i dipendenti come parte di questi, un’analisi della frequenza delle parole mostra che termini come “lavoratore”, “sindacato”, “salario” o “condizioni di lavoro” compaiono di rado rispetto a parole come “azionista”, “clima” o “tecnologia”.
Nel 2022 Fink ha scritto: “Nessuna relazione è stata trasformata più profondamente della relazione tra aziende e loro dipendenti”. Eppure questo riconoscimento non si è tradotto in un’agenda specifica per il miglioramento delle condizioni lavorative o dei salari. I dipendenti vengono citati soprattutto in relazione alla necessità di attrarre e trattenere talenti in un mercato competitivo, piuttosto che come soggetti di diritti.
L’assenza di un focus sostanziale sui lavoratori è ancora più evidente nelle lettere più recenti (2024-2025), dove Fink ha dedicato ampio spazio a temi come l’intelligenza artificiale, le infrastrutture e la tokenizzazione, senza però approfondire le implicazioni che questi cambiamenti avranno sul mondo del lavoro.
Come ha scritto il professor Pawliczek, le lettere di Fink, pur avendo un impatto significativo sulla governance aziendale e sulla sostenibilità ambientale, tendono a trascurare le questioni legate al lavoro, che pure sono centrali per il funzionamento a lungo termine delle economie di mercato. Eccoci di fronte al paradosso della lettera di Fink: mentre promuove una visione di capitalismo più inclusivo e sostenibile, sembra quasi distrarsi quando si tratta di affrontare nel concreto le questioni del lavoro, dei salari e della disuguaglianza economica.
Le lettere di Larry Fink rappresentano molto più che semplici comunicazioni aziendali: sono veri e propri manifesti che hanno contribuito a ridefinire il rapporto tra finanza, società e ambiente negli ultimi dieci anni. L’evoluzione dei temi trattati riflette i cambiamenti del contesto globale, ma anche la visione strategica di un uomo che, attraverso la gestione di trilioni di dollari, ha un’influenza concreta sul funzionamento dell’economia mondiale.
Come osservato da Pratima Bansal nella rivista PLOS Sustainability (2023), “le lettere di Fink riflettono le tensioni intrinseche del capitalismo contemporaneo: la ricerca di un equilibrio tra profitto e responsabilità sociale, tra priorità ambientali e imperativi economici, tra visione a lungo termine e pressioni a breve termine”.
In un mondo sempre più polarizzato, le lettere di Fink continueranno a essere oggetto di scrutinio e dibattito; ma indipendentemente dalle opinioni personali sul loro contenuto, esse rappresentano una finestra privilegiata sul futuro del capitalismo globale e sulle sfide che attendono l’economia mondiale. In parte perché capaci di prevederle, in parte perché capaci di influenzarle.
Forse è proprio questo il punto: che Fink, nel suo tentativo di riconciliare capitalismo e i suoi paradossi, finisca per distrarsi dalle questioni fondamentali della disuguaglianza economica e dei diritti dei lavoratori. O forse queste distrazioni sono intenzionali, riflettendo i limiti intrinseci di un sistema che, pur cercando di riformarsi, non può o non vuole affrontare le sue contraddizioni più profonde.
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Photo credits: World Economic Forum via Flickr
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