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Nel 2022 stipendi più alti, ma meno forti: decide l’inflazione
Il JP Salary Outlook dell’Osservatorio JobPricing fotografa le dinamiche salariali in Italia nel 2022, condizionate da inflazione e una discontinuità con il mondo del lavoro pre-pandemia: gli stipendi si alzano, ma restano tra i più bassi del gruppo OCSE
Due fattori hanno influenzato i salari nel 2022: l’inflazione e il forte cambiamento che scuote il mercato del lavoro. A restituire lo stato dell’arte delle retribuzioni italiane è il JP Salary Outlook dell’Osservatorio JobPricing.
Retribuzioni e inflazione: crescono i salari medi, ma non il potere d’acquisto dei lavoratori
In un momento di grande trasformazione del mondo del lavoro, le retribuzioni medie nazionali nel 2022 sono cresciute rispetto all’anno precedente per la prima volta dopo qualche anno di stagnazione. Nel 2022 la RAL media (Retribuzione Annua Lorda) è stata di 30.284 euro lordi annui.
Nell’ultimo anno, sono gli impiegati e gli operai a registrare il tasso di variazione più elevato, con una crescita media delle retribuzioni pari al 4,3% per la RAL degli impiegati e al 3% per gli operai.
Spiega questo scenario una concomitanza di fattori: “In Europa, e quindi anche in Italia, nel 2022 c’è stata una crescita dei livelli contributivi medi in ragione di un incremento di produttività. A ciò si aggiungono un mercato del lavoro in fermento, caratterizzato da una maggiore dinamica in termini di flussi di domanda e offerta, e il rinnovo dei minimi tabellari della quasi totalità dei principali contratti collettivi. Tra gli operai, infatti, l’incidenza degli aumenti contrattuali è percentualmente superiore”, sottolinea Matteo Gallina, responsabile dell’Osservatorio JobPricing.
C’è poi un ulteriore elemento da considerare. Nonostante le retribuzioni in rialzo, il potere d’acquisto dei lavoratori italiani diminuisce, proprio a causa dell’elevata inflazione che nel 2022 è stata in media pari all’8,2%. “L’aumento delle retribuzioni medie nazionali è da rintracciarsi anche nel tentativo di molte imprese di tutelare i propri lavoratori rispetto alla bolla inflazionistica, di cui non sappiamo ancora prevedere l’andamento nel prossimo futuro”, aggiunge Matteo Gallina.
L’Italia nello scenario internazionale: i salari ancora troppo bassi
Nel confronto con il resto del mondo, i salari italiani non ne escono bene: negli ultimi vent’anni sono rimasti sullo stesso livello. Inoltre, le nostre retribuzioni medie sono fra le più basse nei Paesi del gruppo OCSE.
Nella classifica 2021, l’Italia è ventitreesima su 34 Paesi con 40.767 dollari a parità di potere d’acquisto (PPA), dato inferiore alla media distributiva dei paesi OCSE di 51.606. Il divario dagli Stati Uniti, il top performer, è di circa 34.000 dollari PPA. All’interno dell’Eurozona, l’Italia è undicesima su 17 paesi; svetta il Lussemburgo con 33.000 dollari PPA in più del salario italiano; fanalino di coda è la Slovacchia.
A incidere sul posizionamento dell’Italia è anche in questo caso il fattore produttività: “Nei Paesi dove si registra una crescita della produttività si assiste a un miglioramento dei livelli retributivi medi”.
l’Italia, come riporta il JP Salary Outlook, sconta ancora diverse debolezze strutturali, dall’inefficienza della giustizia all’eccessiva burocrazia, passando per un tessuto produttivo formato in larga parte da micro e piccole imprese al livello tecnologico.
Segnaliamo, infine, due curiosità che arrivano dai dati OCSE. La prima: il Belgio è il Paese con il cuneo fiscale maggiore (52,6%), mentre l’Italia si posiziona al quinto posto per il peso del cuneo fiscale medio (46,5%), con la Svizzera all’ultimo posto (22,8%). La seconda: l’Italia è il Paese con la percentuale più bassa di salari bassi (4,3%), ma allo stesso tempo è tra gli stati con una buona percentuale di salari alti (25,1%).
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