Calderone e il caporalato, dati parziali e controlli ai soliti noti

Marina Elvira Calderone ha affermato che nel 2024 le vittime di caporalato sono calate del 60% rispetto al 2023: è la verità? Il lavoro nei campi sta migliorando? L’abbiamo chiesto ai segretari generali delle sigle confederali, oltre che a Yvan Sagnet dell’associazione NoCap

24.03.2025
La ministra del Lavoro Calderone snocciola dati sul caporalato

Un castello di carte che crolla appena ne tocchi una: così viene descritto il settore agricolo italiano da politici, aziende e lavoratori. A volte, però, c’è chi cerca comunque di smuovere questo complesso equilibrio, se non con i fatti, quantomeno con le parole.

È successo con le dichiarazioni della ministra del Lavoro, Marina Calderone, di recente coinvolta in questioni poco chiare riguardanti la sua carriera universitaria. La ministra, in un’intervista del 12 marzo a La Stampa, ha detto che le vittime del caporalato nel 2024 sono diminuite del 60% rispetto all’anno precedente. Dati che hanno da subito attirato l’attenzione dei sindacati e delle associazioni dei lavoratori, soprattutto perché fanno riferimento all’anno in cui è morto il bracciante Satnam Singh.

I numeri che cita la ministra Calderone non sono completi, perché si riferiscono alle visite ispettive che si sono svolte da gennaio a settembre 2024 (quindi soprattutto prima dell’intervento governativo del luglio 2024, conseguente alla morte di Singh), rispetto allo stesso periodo del 2023. La statistica citata da Calderone, quindi, traccia un andamento ottimistico a partire dallo stesso contesto da cui ha avuto origine la morte del bracciante indiano che ha sconvolto l’Italia intera.

Tuttavia, i dati destano comunque interesse; ma come vanno letti? È davvero in corso una rivoluzione in positivo contro il caporalato?

Abbiamo cercato di verificarlo sul campo, in senso metaforico e letterale, chiedendo l’opinione sul tema di diverse sigle sindacali e di Yvan Sagnet, attivista e presidente dell’associazione NoCap.

Caporalato, vittime in calo? I controlli sono pochi e i dati contrastanti

Ivana Veronese, segretaria confederale UIL, sottolinea che “bisogna anche notare un +315% dei fenomeni di interposizione fittizia di manodopera (ovvero contratti fittizi tra aziende, N.d.R.)”, e aggiunge: “Non si può prendere un dato perché positivo, e far finta che gli altri non esistano”. E Enrica Mammucari, segretaria UILA UIL, ricorda che il dato non comprende i braccianti senza permesso di soggiorno, che hanno paura di denunciare.

Il sentore sul campo è diverso anche per Silvia Guaraldi, segretaria nazionale FLAI CGIL, che ipotizza come il calo possa essere frutto di un effetto dissuasivo legato alla morte di Singh. Da quel momento ci sono state tre ispezioni straordinarie nelle aziende agricole. Per capire quanto vengono controllate queste realtà, basti pensare che quelle ispezioni hanno coperto la metà dei controlli fatti nel 2023. Un campione molto piccolo, denuncia Guaraldi. I controlli attuali, infatti, coinvolgono 7.000 lavoratori su oltre un milione di addetti e appena 4.000 aziende su 160.000: “Ci sono state alcune operazioni di controllo, ma non possiamo rimanere nella straordinarietà”.

Mentre Onofrio Rota, segretario generale FAI CISL, spera in un approccio più strutturale: a suo dire, se confermati, i dati sarebbero più che positivi, ma “la prevenzione del caporalato non riguarda solo gli immigrati, è chiaro che si legano a doppio filo con le politiche migratorie”, sulle quali bacchetta il Governo a seguito dell’accordo Italia-Albania.

Inoltre il rapporto Made in Immigritaly. Terre, colture, culture, commissionato dalla FAI CISL, mostra come gran parte dei lavoratori stranieri siano impiegati in lavori definibili con “cinque P”, ovvero lavori pesanti, precari, pericolosi, poco remunerati e penalizzati socialmente.

Sul contrasto al caporalato ogni realtà ha la propria opinione. Se da una parte Francesco Paolo Capone, segretario generale UGL, dice che “è un risultato attendibile e incoraggiante, che dimostra il lavoro fatto dall’esecutivo, che è andato nella direzione da noi sempre auspicata”, dall’altra Yvan Sagnet, dell’associazione NoCap, risponde: “Il Governo vive nel Paese delle meraviglie, perché il caporalato non avviene solo nei campi, ma si sviluppa con forme sempre più subdole di sfruttamento”.

Come avvengono i controlli nel settore agricolo (e perché non funzionano)

Ma quanto sono davvero efficaci i controlli sul campo? Bastano a fotografare la realtà del caporalato in Italia?

Per Sagnet non è una questione di quantità, ma di qualità. Sul piatto della discussione evidenzia controlli fatti sempre alle solite aziende già in regola, ispezioni condotte solo nelle campagne e mai nei magazzini, dove è presente la maggior parte della manodopera assieme ad altre forme di lavoro irregolare. “Nelle buste paga viene scritto che il dipendente lavora sei ore, quando invece ne fa dodici. Se il contratto basta a dire che non c’è sfruttamento, i controlli non vanno nella direzione giusta”, spiega.

Veronese specifica che gli ispettori vanno prima formati, e poi possono diventare operativi,. La segretaria confederale UIL preme sul far capire alle aziende che l’ispezione è deterrenza ed è rispetto delle regole. Per Rota rimane prioritario l’impegno per garantire più sicurezza e competenze attraverso strumenti di formazione e informazione, “come abbiamo fatto ad esempio realizzando delle guide multilingue sui fondi sanitari e sulla sicurezza”; Guaraldi ricorda che spesso chi dovrebbe controllare non ha i mezzi (e i soldi) per svolgere le ispezioni nelle campagne, e che c’è bisogno di più coordinamento e fondi per i controlli.

Le ispezioni in ambito agricolo, infatti, non sono come quelle ordinarie svolte in qualsiasi azienda. Per farle, spesso serve un blitz dei carabinieri, che hanno bisogno della partecipazione dell’ASL, degli ispettori del lavoro e, se possibile, di un mediatore culturale. Oggi i casi in cui gli interpreti vengono presi in considerazione sono ancora pochi, ma dove sono presenti rappresentano un valore aggiunto; un esempio positivo è il centro per l’impiego di Porto Maggiore (FE), dove è stata inserita una figura che si occupa di interpretariato in lingua pakistana. Uno dei motivi per cui i braccianti non denunciano, anche se il livello di sfruttamento in questo settore è alto, è che non parlano l’italiano.

Le leggi contro il caporalato non bastano: la palla al ministero

Nel complesso, le leggi per contrastare il fenomeno del caporalato sono da migliorare secondo tutte le realtà intervistate. Da luglio, infatti, quando è entrato in vigore il Decreto Agricoltura, il governo Meloni ha aumentato di circa 500 persone il numero di ispettori, che si aggiungono agli altri 500 previsti dalla legge di bilancio e dal decreto del PNRR. Mentre Capone elogia il Governo per il suo operato, Sagnet sottolinea che in Italia ci sono circa 5-6.000 ispettori, quando a suo avviso dovrebbero essere almeno 10.000.

Le norme introdotte, in ogni caso, soddisfano in media tutti i sindacati. Bene l’incrocio dei dati, secondo Rota: “Ci sono state più denunce da parte dei lavoratori, perché il permesso di soggiorno li spinge a segnalare”, dice Guaraldi. FAI, FLAI e UILA chiedono però ulteriori interventi: i fondi PNRR destinati ai Comuni per abbandonare i ghetti devono essere sfruttati, e non tornare all’UE.

E poi la prevenzione: Capone insiste sulla necessità di lavorare sul rapporto con la grande distribuzione, che, pur non essendo direttamente responsabile, è la principale artefice dell’imposizione di bassi costi di produzione. Per Mammucari, inoltre, è urgente attivare le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità e rivedere il meccanismo del click day, “che rischia solo di moltiplicare i fantasmi nelle campagne”.

Sempre nell’ambito della prevenzione, Rota sottolinea come sia urgente la realizzazione di corridoi per lavoratori immigrati per favorire più tutele e un migliore incontro tra domanda e offerta di lavoro, “come concordato anche tra noi e il sindacato marocchino FNSA UMT guardando all’accordo realizzato di recente tra Marocco e Spagna”.

Sagnet invece è più critico, e spiega che: “I centri per l’impiego non funzionano, tutto ciò è stato sostituito dall’intermediazione illegale. E va migliorato enormemente il sistema dei trasporti, fondamentali per far spostare masse di lavoratori. Non vediamo nulla di tutto ciò”.

In che modo dichiarazioni come quelle della ministra del Lavoro si inseriscono nel dibattito sul futuro del lavoro in Italia, dunque? Come è possibile notare dalle dichiarazioni dei sindacati e delle associazioni dei lavoratori, oltre al calo del 60% citato da Calderone, c’è da prendere in considerazione numerosi aspetti preoccupanti. E bisogna farlo presto, perché “a partire non sono più soltanto i cervelli, ma anche le braccia”, conclude Sagnet.

 

 

 

L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.

Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro. 

Sottoscrivi SenzaFiltro

 

In copertina: lettera43.it

CONDIVIDI

Leggi anche

Braccianti nell'Agro Pontino: un lavoratore sikh con una serra sullo sfondo
Agro Pontino, dove i caporali coltivano la paura

La morte di Satnam Singh ha provocato lo sdegno della popolazione e quello di una politica immobile da anni sul fronte del caporalato. Un’analisi del sistema di sfruttamento con l’intervista a Gurmukh Singh, presidente della comunità degli indiani del Lazio: “Lavoratori ricattati con i documenti: non possono andarsene”