Per risolvere questo problema multisfaccettato si sta lavorando su due strade: cambiare la nostra alimentazione, sostituendo carne e derivati con prodotti vegetali, o cambiare la carne, “costruendo” una nuova versione di bistecche e filetti che abbia le stesse caratteristiche dell’originale, ma un impatto molto minore sull’ecosistema.
Se da un lato, però, troviamo una filiera già esistente e strutturata nella proposta e nella comunicazione, dall’altra invece abbiamo un mondo che è tutto da scoprire, che sta correndo in maniera incredibile e che sta attraendo investimenti miliardari. Sarebbe facile chiamarlo col nome di “carne coltivata”, ma la realtà è che quello è solo un pezzo del puzzle, e in parecchi si stanno contendendo una delle torte più grosse dei prossimi anni (insieme all’accesso all’acqua e alla difesa dal cambiamento climatico): nel 2050 saremo quasi 10 miliardi di persone e sfamare il mondo sarà una vera emergenza.
E allora andiamo un po’ a scoprirli questi pezzi del puzzle, partendo da quello più in evidenza: la carne coltivata (definita anche, impropriamente, come “sintetica” o “in provetta”), cioè quella carne che non proviene dai singoli animali ma viene, appunto, “coltivata” partendo da cellule degli animali stessi. Il processo avviene in grossi bio-reattori e le tecniche con cui dalle cellule abbiamo la carne vera (per ora solo carne macinata e straccetti di pollo) sono le stesse utilizzate dalla medicina rigenerativa per ricostruire tessuti umani.
È bene essere chiari: al momento la carne coltivata “non esiste”; gli studi sono in corso in tutto il mondo ma, almeno per l’Europa, l’approvazione deve passare dall’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, cioè l’agenzia della UE che deve testimoniare che un cibo è sicuro prima che sia immesso sul mercato del Vecchio Continente, le cui analisi sono scrupolose e richiedono il giusto tempo.
Quella che invece è già in commercio anche in Europa (quindi ha passato tutti i test necessari) è la carne stampata.
Tutto parte da una domanda: “Si può produrre e consumare carne nello spazio?”. La risposta è sì, e nel 2021 sulla Stazione Spaziale Internazionale (SSI) è stata creata la prima bistecca con una stampante 3D. L’esperimento è stato reso possibile grazie alla biotecnologia della startup israeliana Aleph Farms. L’ingrediente principale di questo esperimento è un aggregato di cellule bovine denominate “sferoidi”. Queste masse tridimensionali vengono “coltivate” con fattori di crescita e combinate con stampanti 3D munite di inchiostro biologico fornite dalla società russa 3D Bioprinting Solutions.
Dopo aver ottenuto dei frammenti di tessuto, si procede con la riproduzione della bistecca vera e propria attraverso la stampa 3D con l’impiego di forze magnetiche. Ad oggi sono diverse le aziende che usano questa tecnologia ed esistono tre tipi di cibi stampati: carne con proteine di origine animale, carne con proteine di origine vegetale e pesce. La prima è al momento in commercio solo a Singapore, la seconda è già presente in punti di ristorazione in tutto il mondo (come Impact Food a Roma), mentre per il pesce si attende il 2024, ma è tutto pronto per la commercializzazione.