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Lo Stato cerca più di 2.800 agenti per rimpinguare il corpo deputato al controllo delle carceri, ma non si trovano abbastanza candidati per avviare i concorsi di selezione: colpa di salari bassi, ambienti difficili, strutture fatiscenti. Facciamo il punto con Gian Luigi Madonia, segretario UILPA Lombardia

È in polizia penitenziaria il posto fisso meno ambito?

<p><span class="OYPEnA font-feature-liga-off font-feature-clig-off font-feature-calt-off text-decoration-none text-strikethrough-none">La lettera della presidente del gruppo Docenti Uniti Italia al ministro Valditara: idonei con scadenza a giugno, la NASpI fino a settembre. Anche dopo anni di lavoro</span></p>


Una docente precaria scrive al ministro Valditara

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La docente precaria: &#8220;Ministro Valditara, per lei è umano vivere così per anni?&#8221;

La lettera al ministro Valditara: i docenti precari idonei con scadenza a giugno, e la NASpI fino a settembre. Anche dopo anni di lavoro.

La docente precaria: "Ministro Valditara, per lei è umano vivere così per anni?"

La docente precaria: "Ministro Valditara, per lei è umano vivere così per anni?" - Informazione senza filtro

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andrea

Il <strong>mensile 116 </strong>è un collage, un album, un archivio vivo, è <em>SenzaFiltro </em>che fa la muta dicendo grazie a ciò che è stato e a chi c’è stato. A chi ci conosce tanto o poco, offriamo <strong>il punto su ognuno dei cavalli</strong>, anno dopo anno ci siamo occupati di loro. Lo abbiamo fatto anche per ricordarci noi per primi, giornalisti e redattori, da cosa veniamo.

Numero 116 - Cavalli di battaglia


<p><strong>Illusioni perdute</strong>. Potrebbe essere questo il titolo della diagnosi sul <strong>rapporto Nord-Sud</strong> che si è sviluppato dopo la pandemia.</p>



<p>Il <strong>divario tra Mezzogiorno e Nord </strong>è una piaga secolare che ha funestato il nostro Paese dall’Unità d’Italia, passando per il fascismo, fino ai nostri giorni. Decine di governi, prima e dopo la nascita della Repubblica, hanno scritto nei loro programmi ricette per superare quel vuoto spinto che ci fa parlare di due Italie, ma nessuno è riuscito a mettere in campo strategie economiche e politiche per alleggerire il dualismo italiano; nessuno è riuscito a sanare questa piaga, magari valorizzando risorse, cultura e investimenti al Sud, come suggeriva Gaetano Salvemini.</p>



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<h2 id="h-l-inversione-di-tendenza-tra-sud-e-nord-durante-la-pandemia">L’inversione di tendenza tra Sud e Nord durante la pandemia</h2>



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<p>Oggi, ancora una volta, dobbiamo constatare che <strong>nulla è cambiato</strong>: quel divario è ancora la zavorra che impedisce all’Italia di crescere. Non a caso il sommario del rapporto SVIMEZ 2022 titola in modo eloquente: <em>Dalla partecipazione del Sud al “rimbalzo” del 2021 alla riapertura del differenziale di crescita Nord-Sud nel 2022</em>.</p>



<p>Scrive Luca Bianchi, direttore dello SVIMEZ: “Dopo lo shock della <strong>pandemia</strong>, l’Italia ha conosciuto una <strong>ripartenza pressoché uniforme</strong> tra macroaree. Il ‘rimbalzo’ del PIL nel 2021, +6,6% a livello Paese, è stato sostenuto dalla ripresa degli investimenti, soprattutto quelli in costruzioni, e dalla domanda estera. Il Mezzogiorno ha però partecipato alla ripartenza”, come non era accaduto in altre fasi cicliche.&nbsp;</p>



<p>Poi le cose sono cambiate. In apertura di articolo abbiamo parlato di illusioni perdute perché durante la pandemia c’erano stati segnali ben visibili di una <strong>possibile inversione di tendenza</strong>, cosa su cui <em>SenzaFiltro</em> si è interrogato in modo serio: <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/secessione-del-sud-per-caso-il-covid-19-e-venuto-a-dirci-questo/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">La tragedia del COVID-19 muterà le geografie del lavoro</a> in Italia e in Europa? I flussi migratori vedranno un’<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/milano-dobbiamo-parlare-ce-chi-pensa-di-restare-al-sud/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">inversione dei poli tra Nord e Sud</a>? Assisteremo al ritorno degli emigranti italiani nei loro Paesi d’origine, e riusciremo a gestire in modo diverso l’immigrazione?</p>



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<h2 id="h-parla-lo-svimez-al-sud-serve-un-nuovo-modello-di-sviluppo-e-il-nord-non-e-piu-in-grado-di-fare-da-traino">Parla lo SVIMEZ: al Sud serve un nuovo modello di sviluppo, e il Nord non è più in grado di fare da traino</h2>



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<p>Qualche debole segnale ci aveva creato l’illusione che non si ripetesse il motto gattopardesco, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”<em>. </em>La regolarizzazione dei lavoratori immigrati che lavorano nelle campagne del Mezzogiorno, i dati di un rapporto ANCI confezionato dal Cerved che definivano la decrescita dell’economia del Sud dovuta alla pandemia come minore rispetto a quella del Nord Italia – per la prima volta da decenni, la crescita della domanda di lavoro al Sud di quegli emigrati tornati a casa per il COVID-19, ci facevano pensare a un potenziale <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/declino-del-capitalismo-e-occhi-puntati-a-sud/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">riequilibrio del divario tra Nord e Sud</a></strong>.</p>



<p><strong>Ma tutto ciò non è avvenuto</strong>, e il <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/adriano-giannola-svimez-noi-la-chiamiamo-eutanasia-della-questione-meridionale/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">presidente dello SVIMEZ <strong>Adriano Giannola</strong></a> ci spiegò con molto anticipo che quegli scenari assai suggestivi, per realizzarsi, avrebbero avuto bisogno di un <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/se-il-south-working-resta-on-mute/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cambiamento radicale</a>, o comunque di una trasformazione del modello di sviluppo sul quale si è fondato il nostro Paese negli ultimi cent’anni.</p>



<p>“Abbiamo notato anche noi – ci disse Giannola – che soprattutto durante il lockdown c’era una voglia di tornare al proprio paese, di tornare nella propria famiglia di origine. Non soltanto una fuga dalla pandemia che aveva invaso il Nord, ma una <strong>voglia di tornare a casa e poi di rimanerci</strong>.”</p>



<p>Ma erano segnali troppo deboli per creare un’inversione di tendenza. L&#8217;idea che SVIMEZ coltiva da decenni è che i finanziamenti a pioggia nel Mezzogiorno non servono a nulla, così come non sono servite le cattedrali nel deserto costruite negli anni dall’IRI. Ci sarebbe stato bisogno di un modello di sviluppo che valorizzasse le zone potenzialmente produttive, i <strong>porti</strong> italiani e tratti di <strong>ferrovia</strong>, come i <strong>collegamenti tra Napoli e Bari</strong>, tra il mare Adriatico e il mar Tirreno, ancora scoperti nei punti strategici tra le Regioni.</p>



<p>Già nel corso della pandemia <strong>Confindustria</strong> adottò una ricetta del tutto opposta: “Confindustria – commentava ancora Giannola – propone un modello che ha già mostrato tutta la sua fragilità. L’idea è di <strong>rafforzare Milano e il Nord</strong>, sperando che l’industria faccia da <strong>traino</strong> anche per il Sud”. Un’ipotesi, questa, subito smentita dalle statistiche, che danno una Lombardia crollata al ventesimo posto delle classifiche europee e un Piemonte in decadenza totale. Altro che traino.</p>



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<h2 id="h-guerra-crisi-energetica-e-zero-progettualita-il-meridione-torna-in-recessione-e-ci-restera">Guerra, crisi energetica e zero progettualità: il Meridione torna in recessione (e ci resterà)</h2>



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<p>Sulla carta il <strong>PNRR</strong> avrebbe forse potuto colmare il secolare divario Nord-Sud in termini di reddito e di occupazione.&nbsp;Il <strong>Governo Draghi</strong> aveva predisposto una quota del 40% del piano verso il Mezzogiorno, ma non aveva fatto i conti con <strong>Vladimir Putin</strong>: le illusioni di un’inversione di tendenza tra Nord e Sud sono sprofondate in modo definitivo il 24 febbraio di quest’anno, quando Vladimir Putin ha dato ordine all’esercito russo di invadere l’<strong>Ucraina</strong>.</p>



<p>“Lo shock Ucraina – scrive il direttore di SVIMEZ Luca Bianchi nel rapporto del 28 novembre di quest’anno – ha cambiato il segno delle dinamiche in corso (rallentamento della ripresa globale; comparsa di nuove emergenze sociali; nuovi rischi operativi per le imprese) interrompendo la ripartenza relativamente coesa tra Nord e Sud del Paese”. La diagnosi di Bianchi è rivolta soprattutto al nuovo governo presieduto da <strong>Giorgia Meloni</strong>: “Gli effetti territorialmente asimmetrici dello <strong>shock energetico</strong> intervenuto in corso d’anno, penalizzando soprattutto le <strong>famiglie</strong> e le <strong>imprese meridionali</strong>, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del PIL tra Nord e Sud”.</p>



<p>Secondo le stime SVIMEZ, il PIL dovrebbe crescere del +3,8% a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%). Le previsioni SVIMEZ segnalano per il <strong>2023</strong> il rischio di una <strong>contrazione del PIL nel Mezzogiorno</strong> dello <strong>0,4%</strong>, un peggioramento della congiuntura determinata dalla contrazione della spesa delle famiglie in consumi, a fronte della continuazione del ciclo espansivo, sia pure in forte rallentamento, nel Centro-Nord (+0,8%). Insomma, quei timidi tentativi di imprimere una svolta alla questione meridionale sono sfumati sotto i colpi della guerra e dei suoi effetti sulle materie prime.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Perini-Geografie.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Perini-Geografie.png" alt="" class="wp-image-53448" /></a></figure></div>


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<p>Le speranze che il Meridione tornasse al centro delle politiche economiche con il nuovo governo sono sfumate dopo che Giorgia Meloni ci ha comunicato i tratti essenziali del suo programma: <strong>non c’è traccia di investimenti strategici e sostenibili al Sud</strong> in grado di colmare il divario. L’unica proposta – finanziariamente insostenibile – arriva da <strong>Matteo Salvini</strong>, che ha resuscitato il progetto-fantasma del <strong>ponte sullo stretto di Messina</strong>.</p>



<p>Temiamo quindi che la questione meridionale resterà ancora a lungo una nobile riflessione di illustri pensatori come Gramsci o Salvemini. Niente di più.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/geografie-del-lavoro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Geografie del lavoro</a></strong>.</em></p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />



<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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Meridione, non basta un ponte per avvicinarlo al Nord


<p>Nei paesi rurali del Sud stanno in piazza o bazzicano tra le baracche dei ghetti; nelle città a più alto valore aggiunto del Centro-Nord hanno uffici ben attrezzati, magari in zona centro o in un hub direzionale tutto vetri e specchi. Sempre di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/siamo-uomini-o-caporali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>caporali</strong></a> si tratta: di persone che facilitano l’incontro illecito tra domanda e offerta di lavoro, che lucrano sul <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caporalato-800000-lavoratori-sottopagati-per-lo-piu-italiani/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">lavoro sottopagato di altri</a>, che partecipano alla filiera dello <strong>sfruttamento</strong> che contempla anche la riduzione in <strong>schiavitù</strong>.</p>



<p>È fuori discussione che il fenomeno riguardi prevalentemente l’<strong>agricoltura</strong> e, in questo comparto, le Regioni del <strong>Sud Italia</strong>, come conferma da ultimo un rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI CGIL: sugli oltre 650.000 lavoratori irregolari censiti in Italia, il 34%, pari a 175.000 uomini e 55.000 donne, è sfruttato e malpagato nei campi, soprattutto in quelli di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/puglia-caporalato-fondi-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Puglia</a>, Sicilia, Campania, <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-lavoro-in-calabria-ha-fatto-goel/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Calabria</a> e Lazio; sono circa 300.000 gli occupati in agricoltura che alimentano il fenomeno del cosiddetto “lavoro povero”, con un’incidenza tripla rispetto alla media degli altri comparti. Segmentando l’analisi e prendendo a misura la sola comunità dei <strong>lavoratori migranti</strong> – comunitari e non – quelle percentuali, in sostanza, raddoppiano.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Di-Bari-New.png"><img width="834" height="623" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Di-Bari-New.png" alt="" class="wp-image-53451" /></a></figure></div>


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<h2 id="h-ci-sono-caporali-e-caporali-ma-l-obiettivo-e-sempre-accrescere-il-margine-di-guadagno">Ci sono caporali e caporali, ma l’obiettivo è sempre accrescere il margine di guadagno</h2>



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<p><strong>Sfruttamento</strong> e <strong>lavoro povero</strong>, anche questo è acclarato, non sono radicati e diffusi solo nelle aree marginali dell’Italia agricola. Queste prassi, sostengono gli osservatori della FLAI CGIL, riguardano anche i distretti agricoli d’eccellenza e la coltivazione, raccolta e trasformazione di prodotti tra i più identitari ed emblematici del sovranismo made in Italy. Riguardano settori di produzione in cui i caporali hanno assunto una <strong>funzione strategica per il reclutamento di personale</strong> utile a conservare o incrementare <strong>margini di guadagno</strong> altrimenti erosi dall’inefficienza organizzativa, dall’incremento dei costi di produzione, dalla riduzione delle aree di mercato.</p>



<p>A conti fatti, le ore annue di lavoro irregolare ammontano a 300 milioni sul totale di 820 milioni dell’intero comparto agricolo. E il restante <strong>66% di lavoratori irregolari</strong>? Sono sfruttati nei <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caporali-cantieri-terremoto-marche-yvan-sagnet/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cantieri</a>, nelle <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-parlamentare-zan-grafica-veneta-non-stampo-con-chi-sfrutta-i-lavoratori-editori-niente-da-dire/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">fabbrichette</a>, nella logistica, nei call center, nei servizi di cura, nella ristorazione e, da ultimo, anche nelle strutture sanitarie. In tutti questi settori si assiste all’<strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-caporalato-in-italia-sfrutta-pure-whatsapp/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">evoluzione della forma del caporalato</a></strong>: lo spregiudicato mercante di braccia che guida uno scassato pulmino, picchia gli uomini e molesta le donne è sostituito dal più forbito e non meno spregiudicato titolare di un’<strong>impresa</strong> o di un’<strong>agenzia di servizi</strong>, o ancora dal presidente di una <strong>cooperativa</strong> che si offre come intermediatore di mano d’opera.</p>



<p>I <strong>contratti</strong> stipulati con il soggetto che media sono formalmente dei part-time o co.co.co. o altro tipo di precariato, mentre le <strong>prestazioni effettive</strong> sono normalmente a <strong>tempo pieno</strong>. Applicando con sapienza gli strumenti del “<strong>caporalato industriale</strong>”, come lo hanno definito i ricercatori dell’Osservatorio Placido Rizzotto, si arriva ad abbattere il costo del lavoro anche del 40%, realizzando un ottimo margine anche in termini di evasione fiscale e contributiva.</p>



<p>Sono le braccia e le menti di queste lavoratrici e questi lavoratori che alimentano la filiera dell’economia sommersa, il cui valore, nel 2020, ha superato i 157 miliardi di euro, che equivalgono a poco meno del 10% del Prodotto Interno Lordo. Beni e servizi ceduti al consumatore finale a un <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/passato-prossimo-se-la-polpa-di-pomodoro-strozza-il-futuro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">prezzo più basso di quello di mercato</a></strong>, in molti casi tanto più basso da essere inferiore al costo di produzione legale di un bene o di un servizio analogo, così da generare una recessiva corsa al ribasso.</p>



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<h2 id="h-come-si-contrasta-il-caporalato-yvan-sagnet-nocap-e-lo-sbocco-nella-gdo">Come si contrasta il caporalato: Yvan Sagnet, NoCap e lo sbocco nella GDO</h2>



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<p>Sulle pagine di <em>SenzaFiltro</em> e sul palco di Nobìlita abbiamo spesso scritto e parlato del <strong>caporalato</strong>, tanto per denunciarne le <strong>nefandezze</strong> ai danni di persone deboli e marginali quanto per far emergere <strong>azioni positive</strong> di riscatto e modelli economici sostenibili.</p>



<p>È la ragione per cui, ad esempio, alla pirotecnica ascesa e lacrimosa caduta di <strong>Aboubakar Soumahoro</strong> abbiamo preferito la silente operosità di <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/yvan-sagnet-nocap-al-nord-il-50-del-caporalato/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Yvan Sagnet</a></strong> e dell’associazione <strong>NoCap</strong>. Entrambi conoscono i ghetti della Puglia, della Calabria e della Sicilia: l’uno li ha utilizzati come palcoscenico della sua ascesa social-politica senza mutare nulla della pessima condizione di nessuno tra quanti hanno condiviso le lotte che ha usurpato ad altri; l’altro ha offerto a decine di donne e uomini l’opportunità di prestare il proprio lavoro nel pieno rispetto della legge e guadagnando ciò che prevedono gli accordi sindacali, così come di non abitare più in una baracca che ogni giorno rischia di andare a fuoco.</p>



<p>Perché, in fin dei conti, il caporalato è un fenomeno criminale, talvolta organizzato a livello internazionale, come hanno dimostrato le inchieste della magistratura e acclarato le sentenze dei tribunali, ed è anche uno dei <strong>fattori distorsivi</strong> della corretta dinamica del <strong>mercato del lavoro</strong>. E, per conseguenza, della libera <strong>concorrenza</strong> tra imprese.</p>



<p>Limitare la sua definizione – anche legislativa – al solo primo elemento depotenzia l’elaborazione e la promozione del suo contrasto sul piano delle dinamiche economiche, che pure – è il caso di NoCap e degli <strong>accordi con la media e</strong> <strong>grande distribuzione alimentare</strong> – si stanno avviando e strutturando proprio nelle campagne del Sud. Lì sono migliaia le donne e gli uomini che ancora lottano per ottenere il riconoscimento sostanziale e non formale della piena soggettività di lavoratrici e lavoratori.</p>



<p>Un’evoluzione positiva che sarà limitata a una nicchia produttiva e di consumo, fino a quando l’Italia e l’Unione europea preserveranno l’attuale sistema di regolazione e contrasto dei flussi migratori e Governo e Regioni non riusciranno a costruire un sistema ordinato e organico di gestione dell’accoglienza e dei migranti, capace di liberarci tutti dal giogo materiale e politico dell’emergenza continua.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caporalato/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Caporalato</a></strong>.</em></p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><strong><em>In copertina</em></strong> <strong><em>Yvan Sagnet sul palco di Nobìlita</em></strong></p>



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Uomini, senza caporali: a Soumahoro preferiamo Sagnet

<p>La legge da sola non basta. Con un colpo a effetto lo scorso 9 dicembre, Giornata internazionale contro la corruzione, il Governo Meloni ha approvato il decreto legislativo per il <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing-in-italia-soffiate-a-mezza-voce-politica-e-imprese-ancora-in-ritardo/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>recepimento</strong></a> <strong>della <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing-siamo-lavoratori-clienti-o-cittadini/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">direttiva europea 2019/1937</a></strong>, mettendo sul tema <strong>whistleblowing</strong> ogni tassello legislativo al proprio posto. Sì, perché l’intervento completa il quadro previsto dalla 179 del 2017, dal modello 231 del 2001 e dalla legge 190 del 2012, provvedimenti già in vigore sul fronte anticorruzione.</p>
<p>Aspetto non irrilevante, a maggior ragione perché la direttiva UE, tra le tante novità sul tema, <strong>parifica il trattamento tra pubblica amministrazione e imprese private</strong>, oltre a considerare segnalatori anche tutti i soggetti al di fuori del normale rapporto di lavoro subordinato, i cosiddetti <strong>stakeholder</strong>. E, cosa non da poco, coinvolge tutte le organizzazioni dai cinquanta dipendenti in su. In sostanza un numero consistente di piccole e medie imprese che costellano il panorama lavorativo italiano.</p>
<p>Salto in avanti considerevole, che proietta l’Italia in una dimensione nuova. Sicuri? Nemmeno per sogno.</p>
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<h2 id="h-mille-denunce-tre-sanzioni-qualcosa-non-va-nel-whistleblowing-italiano">Mille denunce, tre sanzioni: qualcosa non va nel whistleblowing italiano</h2>
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<p>Basta guardare il report 2021 sull’indice annuale di percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica, realizzato da <strong>Transparency International</strong>, per vedere che nonostante i sensibili miglioramenti dell’ultimo decennio, l’<strong>Italia</strong> occupa ancora la mestissima posizione numero <strong>42 su 180 nel mondo</strong>. Ben lontani, quindi, dai Paesi più virtuosi, che manco a dirlo sono i soliti scandinavi, più gli outsider Nuova Zelanda e Singapore.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Salvoro-Whistleblowing-1.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Salvoro-Whistleblowing-1.png" alt="" class="wp-image-53442" /></a></figure>
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<p>Davvero sarebbe sufficiente questo elemento per sostenere che la legge da sola non basta. Poi mi viene in mente una frase di Martin Zanka, protagonista dell’ultimo libro del collettivo Wu Ming, intitolato <em>Ufo 78</em>: “In Italia dire la verità è l’unico peccato che non ti perdonano”. E calza davvero a pennello quando parliamo di denunce di illeciti, di lotta alla corruzione, dei mitologici <strong>whistleblower</strong>. Certo, nel testo il riferimento è legato agli anni Settanta, al rapimento di Aldo Moro, alla strategia della tensione e alla ragion di Stato. Un contesto diverso e distante, che però suona ancora molto attuale.</p>
<p>Prendiamo ad esempio alcuni dati forniti da <strong>ANAC</strong>, l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Da quando l’ente ha implementato ufficialmente la sua <strong>piattaforma</strong>, nel 2015, le <strong>segnalazioni</strong> sono in effetti in costante <strong>aumento</strong>. Nel 2016, ad esempio, le segnalazioni di illeciti e le comunicazioni di misure ritorsive sono state 183, per poi lievitare nel primo quadriennio fino alle 873 del 2019. Un cambio di passo rilevante, anche se il vero problema riguarda il totale dei <strong>procedimenti sanzionatori</strong> conseguenti che, rispetto a queste cifre, è francamente irrisorio. Solo 21, nel 2020, e di questi appena <strong>tre conclusi con l’irrogazione di sanzioni</strong>. Una potenziale zona franca di impunità.</p>
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<h2 id="h-il-whistleblowing-in-italia-fa-piu-paura-a-chi-denuncia-le-farragini-di-anac">Il whistleblowing in Italia fa più paura a chi denuncia. Le farragini di ANAC</h2>
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<p>“A fronte di questi numeri, al <strong>presidente di ANAC</strong> dovrebbe rimanere una sola cosa da fare: <strong>dimettersi</strong>”. Così <strong>Carlo Bertini</strong>, whistleblower licenziato lo scorso luglio da Bankitalia, intervenuto il primo dicembre dalla platea del convegno milanese “Whistleblowing: le distanze da colmare” (<em>SenzaFiltro</em> era presente come unico media partner).</p>
<p>ANAC, dal canto suo, si difende giustificando la statistica con il lungo e approfondito <strong>iter di indagine</strong> che l’ente è chiamato a seguire. Pochi casi ma significativi, insomma, gestiti peraltro da un organico in carenza di personale.</p>
<p>Questione di punti di vista. Rimane comunque il fatto che nei casi andati a buon fine, oltre al reintegro sulla carta del whistleblower licenziato o vittima di mobbing, le <strong>sanzioni pecuniarie</strong> sono state poco più che <strong>simboliche</strong>, intorno ai cinquemila euro (la direttiva UE dà ora la possibilità ad ANAC di arrivare a 50.000, ma con i numeri elencati sopra il rischio di pagare non è al momento così elevato). D’altro canto, un amministratore delegato incontrato anni fa nella mia esperienza professionale lo ripeteva spesso: non temere se la possibile conseguenza di una scorciatoia illegale è di stampo amministrativo. <strong>Molto meglio la scorciatoia</strong>.</p>
<p>Davanti ad affermazioni così, come dovrebbe reagire un lavoratore dipendente? Denunciare è sinonimo di <strong>suicidio professionale</strong>. Quanti possono davvero permettersi di perdere il posto?</p>
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<h2 id="h-la-cultura-che-non-c-e-in-italia-il-whistleblower-e-uno-spione">La cultura che non c’è: in Italia il whistleblower è uno “spione”</h2>
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<p>Il collegamento è utile per approfondire la situazione attuale nelle <strong>imprese private</strong>. Gli elementi principali li abbiamo ben sintetizzati nel lungo reportage uscito nell’ultima edizione cartacea di <em>SenzaFiltro</em>. Vale la pena ricordarne qualcuno.</p>
<p>Secondo i dati di EQS Group Italia, raccolti su un campione di 162 aziende, ben quattro aziende su cinque hanno implementato un sistema di segnalazioni, agevolate dal modello organizzativo 231 e dalle certificazioni di sostenibilità sociale tanto in voga negli ultimi anni. Creare il contenitore, però, non equivale ad avere le competenze per gestire il contenuto. E infatti il 78% degli intervistati ammette di utilizzare, tra gli altri canali, anche la <strong>semplice mail per raccogliere le denunce</strong>, con buona pace di riservatezza e privacy. Inoltre il 40% non è in grado di stabilire delle <strong>tempistiche certe</strong> per la chiusura delle indagini. La direttiva UE, per dire, obbliga a chiudere le pratiche entro novanta giorni.</p>
<p>Esempi che mettono nero su bianco un pressapochismo tipicamente italiano. Un adeguamento di facciata, nella migliore delle ipotesi. In una delle mie interviste sul tema, l’avvocato <strong>Marco Pasquino</strong>, esperto di 231 e organismi di vigilanza, ha sintetizzato così la questione: “<strong>In Italia non esiste la <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing-diventa-film-legge-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cultura del whistleblowing</a></strong>, tanto più che è soprannominato ‘programma spione’”. Un problema culturale che ha radici profonde, di natura anzitutto linguistica.</p>
<p>Sembra incredibile ma <strong>non esiste</strong>, nel nostro Paese, una <strong>traduzione</strong> con accezione <strong>positiva</strong> del termine whistleblower: talpa, delatore, spia, traditore; tolto l’asettico “segnalatore”, sono questi i sinonimi più utilizzati. Non è un caso che tra i più importanti whistleblower al mondo non se ne ricordi uno di italiano, fatta eccezione forse per <strong>Francesco Zambon</strong>, peraltro salito agli onori della cronaca grazie a un articolo del quotidiano britannico <em>The Guardian</em>, ripreso poi dalla stampa di tutti gli altri Paesi. Sì, Italia compresa.</p>
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<h2 id="h-il-whistleblowing-in-italia-oggi-un-esercizio-autoreferenziale-per-lavare-la-coscienza-delle-imprese">Il whistleblowing in Italia, oggi: un esercizio autoreferenziale per lavare la coscienza delle imprese</h2>
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<p>Eppure questa narrazione a nostro avviso non completa il ragionamento. Il numero crescente di segnalazioni ANAC, l’attività degli organismi di vigilanza nelle aziende, l’impegno civico di tante organizzazioni come The Good Lobby, Libera, Transparency International (adesso è presente anche un Osservatorio nazionale dedicato all’argomento su LinkedIn), dimostrano che forse <strong>non siamo un popolo geneticamente omertoso</strong>, come il classico luogo comune ci rappresenta. La verità è che la volontà di segnalare illeciti e corruzione c’è, abbiamo solo bisogno di maggiore informazione, maggiore comunicazione. <strong>Maggiore tutela</strong>.</p>
<p>Perché se il whistleblowing in Italia è un problema culturale, la <strong>responsabilità</strong> è principalmente della <strong>politica</strong>, della <strong>pubblica amministrazione</strong>, delle <strong>imprese</strong>. Non è un caso che all’appuntamento dello scorso primo dicembre i grandi assenti siano stati proprio loro: gli imprenditori, i direttori di risorse umane, gli amministratori. Vedere a un evento così importante solo chi da sempre è impegnato in prima linea su questa battaglia ha ridotto il tutto – a mio parere – a effimera <strong>autoreferenzialità</strong>.</p>
<p><em>Repetita iuvant</em>: il recepimento della direttiva europea rappresenta una svolta, ma <strong>la legge da sola non basta a tutelare i segnalatori</strong>. Servono uffici del personale capaci di andare oltre vuote campagne di immagine, datori di lavoro seri in grado di mettere davvero al primo posto benessere e sicurezza senza privilegiare il conto economico, una pubblica amministrazione diversa, con concreti processi di etica e competenza.</p>
<p>Utopia? Non so. In alternativa dire la verità continuerà a essere un peccato che, in Italia, nessuno è veramente disposto a perdonare.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Whistleblowing</a></strong>.</em></p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
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<p><strong><em>In copertina foto dal film &#8220;La Bufera&#8221;, direttore della fotografia Stefano Govi</em></strong></p>
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salvoro

Salvoro

Francesco Salvoro

Appassionato di sviluppo organizzativo, da quindici anni presta servizio nel mondo delle risorse umane, con esperienze in importanti realtà italiane come Maxi Di, Everel Group e Burgo Group. Laureato in giornalismo e relazioni pubbliche all’Università di Verona grazie a una tesi reportage sui Balcani Occidentali, ha in seguito conseguito un Master in gestione risorse umane e competenze interculturali. Per molti anni ha collaborato nella provincia veronese con periodici locali e portali dedicati al mondo dello sport. Nel 2017 ha condotto per Radio Popolare Verona una rubrica settimanale intitolata “Lavori in Onda”. Dal 2020 è socio investitore della libreria indipendente “Lo Spazio” di Pistoia, a testimonianza della sua grande passione per la narrativa. Da sempre orientato al sociale, il modello di riferimento è Peppino Impastato e il simbolo la rosa di Sarajevo. &#8212; MAIL DI REDAZIONE: francesco.s@fiordirisorse.eu

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All&#8217;Italia fischiano le orecchie, ma i whistleblower sono soli

Aumentano le segnalazioni, ma i provvedimenti restano pochissimi: solo tre sanzioni irrogate nel 2020. Carlo Bertini, whistleblower licenziato da Bankitalia: &#8220;Con questi numeri il presidente di ANAC dovrebbe dimettersi&#8221;.

All&#8217;Italia fischiano le orecchie, ma i whistleblower sono soli - Informazione senza filtro

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seven

Fact checking sul lavoro: che cosa c’è nel programma del centrodestra


<p><strong>Il lavoro in quindici punti</strong>: tanti o pochi che possano sembrare, il <strong>Terzo Polo</strong> – l’unione è tra <strong>Italia Viva di Matteo Renzi</strong> e <strong>Azione di Carlo Calenda</strong> – si presenta al voto politico del 25 settembre con un programma che lascia fuori temi giganti (la sicurezza sul lavoro è senz’altro il grande assente per un Paese che marca ormai una media di tre morti al giorno) ma al quale un merito va riconosciuto: prendersi la briga di <strong>ridare voce al mondo degli autonomi</strong> e strutturare buona parte del programma dedicato al lavoro intorno all’obiettivo.</p>



<p>Il Terzo Polo vorrebbe arrivarci passando anche per una <strong>revisione del decreto Dignità</strong> che, stralciando il passaggio dal loro programma politico, “combattendo il precariato, ha perseguito un obiettivo giusto in maniera totalmente sbagliata, penalizzando il lavoro flessibile regolare e fallendo nel contrastare le peggiori forme di precariato: false partite IVA, collaborazioni irregolari, false cooperative, falsi tirocini, appalti illeciti. Sono queste le forme da combattere aumentando vigilanza e sanzioni”.</p>



<p>Al lavoro autonomo, invece, tra poco ci arriviamo.</p>



<p>L’altro caposaldo delle loro intenzioni politiche per un’Italia più veloce e competitiva, e quindi non solo per il mercato del lavoro, sta nella parola <strong>digitale</strong><em>; </em>soprattutto in una logica di occupazione giovanile, oltre che per ridurre la distanza tra popolazione anziana e burocrazia sfrenata (c’è un capitolo a sé, <em>Innovazione, digitale e space economy</em>).</p>



<p>Non poteva essere altrimenti, dato che sia Renzi che Calenda ne hanno sempre fatto il proprio cavallo di battaglia, talvolta cadendo di sella: da un lato il grande flop dei <strong>Digital champions</strong> firmati Renzi e la moda di spingere e far sovvenzionare dalla politica i mega incubatori di startup poi tristemente falliti, fino a diventare centri di formazione (<em>SenzaFiltro</em> <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/i-big-data-invisibili-degli-incubatori-veneti/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">ha seguito a lungo il tema</a> in quegli anni d’oro), dall’altro il <strong>Piano Nazionale Industria 4.0</strong> siglato Calenda, col quale senz’altro le imprese riassaporarono una iniziale verginità mista a modernità, ma col passo falso di arrivarci culturalmente impreparate e del tutto carenti come organizzazione interna.</p>



<p>Il digitale non è un fine ma un mezzo, e i finanziamenti tecnologici per beni materiali e immateriali e tutti i possibili sgravi fiscali fanno ben poco se le aziende non prendono prima coscienza di sé: in questo senso, nel punto del programma 2022 dedicato al sostegno alle imprese neonate, si coglie una maturità diversa che ridà il giusto peso al tessuto da PMI, tutto italiano, rispetto alle startup piglia tutto dell’ultimo decennio.</p>



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<h2 id="h-luigi-marattin-italia-viva-con-la-nostra-riforma-il-rdc-andra-piu-alle-famiglie-che-ai-single-e-bastera-rifiutare-un-offerta-per-perderlo">Luigi Marattin, Italia Viva: “Con la nostra riforma il RdC andrà più alle famiglie che ai single. E basterà rifiutare un’offerta per perderlo”</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>La disponibilità di <strong>Luigi Marattin</strong> a commentare con <em>SenzaFiltro</em> il <strong>programma politico del Terzo Polo</strong> è totale e immediata, con un capo Ufficio stampa altrettanto intrepido e informale: non è un dettaglio per chi fa il nostro mestiere di giornalisti e, siccome ci occupiamo di lavoro, il lavoro fatto bene va detto. Il deputato di Italia Viva è anche il presidente uscente della Commissione Finanze della Camera.</p>



<p>Ridare voce al lavoro autonomo, dicevamo, ma la curiosità a cui non resisto gliela pongo subito: <strong>chi scrive i programmi elettorali dei partiti?</strong></p>



<p>“Il programma della Lista Calenda è stato redatto dal sottoscritto, da <strong>Maria Elena Boschi</strong> e dai due responsabili del centro studi di Azione, <strong>Gabriele Franchi</strong> e <strong>Silvia Vannutelli</strong>. Ma lo abbiamo fatto utilizzando i contributi di decine di parlamentari, esperti, dirigenti dei nostri due partiti. È stato quindi un vero lavoro di squadra larga.”</p>



<p>Per il Terzo Polo una <strong>grande discriminazione</strong> sta nell’<strong>escludere professionisti e lavoratori autonomi da bandi nazionali o regionali</strong>, da <strong>incentivi</strong> per la produzione, da <strong>agevolazioni fiscali</strong>: tutto questo perché il requisito di base è l’iscrizione alla Camera di Commercio, mettendo così al margine i professionisti aderenti ai rispettivi Ordini.</p>



<p>L’altra strada tracciata nel programma è di spinta alla <strong>crescita dimensionale degli studi professionali </strong>per essere più competitivi sul mercato: la crescita andrebbe percorsa sia come numero di professionisti coinvolti sia come capitale investito; la grande barriera in questo caso è il <strong>carico fiscale</strong> che la coalizione proverebbe a contrastare a livello normativo, contributivo e disciplinare. E poi, sempre per gli autonomi: <strong>riformare la modalità del saldo e acconto</strong> (inserendo un sistema mensile e spalmando da luglio a dicembre l’attuale acconto di dicembre e da gennaio a giugno dell’anno successivo l’attuale acconto di novembre) e potenziare la <strong>cassa integrazione</strong> (il riferimento esplicito nel programma è alla riforma della “indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa” introdotta per il triennio 2021-2023 con la legge di Bilancio 2021 e paragonabile a una cassa integrativa facoltativa, però con troppi sbarramenti all’accesso e con aliquote contributive troppo alte da versare all’INPS).</p>



<div style="height:80px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><strong>Il peso assegnato al lavoro autonomo è evidente nel programma. Al di là delle proposte concrete e di dettaglio inserite, vorrei una risposta molto onesta sulle resistenze che un futuro governo a vostra firma potrebbe incontrare su questo piano; resistenze politiche, lobbistiche, finanziarie. Questa è un&#8217;Italia che, quando parla di lavoro, sottintende quasi sempre e soltanto le imprese (Confindustria e il suo sistema coopta da sempre gli interessi sui grandi tavoli politici) e ci si dimentica della enorme fetta di autonomi senza tutele.</strong><strong></strong></p>



<p>Nella mia esperienza, le resistenze a politiche più giuste nei confronti del lavoro autonomo non sono venute da grandi lobby finanziarie, ma piuttosto da chi pensa che il lavoro-principe sia quello dipendente, meglio se pubblico. Si tratta di persone rimaste con la testa agli anni Settanta del secolo scorso.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><em>Tutto il primo blocco del capitolo Lavoro nel programma politico del Terzo Polo è dedicato al Reddito di Cittadinanza, su cui l’Onorevole Marattin si era già confrontato con SenzaFiltro in una <a href="https://www.la7.it/meteola7/rivedila7/omnibus-meteo-11-09-2022-451093?fbclid=IwAR2czEjultv95d5e1n8xlBCvP8ZoqRMEW-QAtqIM7CE6_ddZWe5OWPNCfdA" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">recente diretta televisiva</a>.</em></p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><strong>La </strong><strong>vostra posizione è critica sulle modalità con cui si è gestito lo strumento, più che sullo strumento in sé. Proponete di eliminarlo dopo il primo rifiuto e di ridurne l’importo dopo due anni. Mi chiedo se avrebbe senso la vostra proposta, sapendo bene con quali criteri di leggerezza vengono formulate le offerte (compresi lo skill mismatch e il fatto che immaginate una riformulazione anche dei centri per l&#8217;impiego e dell’ANPAL): non si rischia di caricare i disoccupati e i poveri di una incompetenza a monte? </strong><strong></strong></p>



<p>In Italia tendiamo ad affrontare ogni discussione come se fosse una sfida allo stadio tra curve ultrà. È evidente che vi sono sia persone che tendono ad approfittarsi dell’aiuto pubblico, che tante altre in condizioni di reale e oggettiva difficoltà. Il punto è disegnare politiche che sappiano distinguere una condizione dall’altra. Una volta definito un vero contesto di politiche attive (non certo il fallimento dei <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">navigator</a>), una efficace e chiara attribuzione di competenze nello schema di governance relativo a lavoro e formazione professionale, e un adeguato skill matching nella operatività quotidiana, il rifiuto di una offerta per noi è sufficiente.</p>



<p><strong>Sempre sul RdC, che cosa intendete con rendere</strong><strong> “pi</strong><strong>ù giusti e inclusivi i criteri di accesso”? Troppo spesso la politica ci parla di giustizia e inclusione ma, da altrettanto troppo tempo, la forbice dell&#8217;ingiustizia e dell’esclusione l’ha fatta da padrone. </strong><strong></strong></p>



<p>Per quanto riguarda l’accesso, l’attuale Reddito di Cittadinanza ha il requisito della residenza in Italia da almeno dieci anni. Il reddito di emergenza, durante la pandemia, aveva semplicemente il requisito della residenza. Quale modello si ritiene più adatto? Inoltre, l’attuale criterio premia di più i single che le famiglie numerose. Noi riteniamo invece che la povertà sia più pericolosa quando si annida in un contesto in cui si sono molti figli, perché tende a influenzare in modo drammatico le prospettive di sviluppo future dei giovani.</p>



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<p>Forte, infine, la posizione del Terzo Polo sull’urgenza di un <strong>rafforzamento delle competenze in capo ai percettori di RdC</strong>: come? Consentendo alle <strong>agenzie private per il lavoro</strong> di accedere ai dati dei percettori in modo da potenziarne la formazione e affiancare i centri per l’impiego nella ricerca di una occupazione idonea. L’altra via proposta dal Terzo Polo per il potenziamento delle competenze seguirebbe la strada degli <strong>ITS</strong> e delle <strong>scuole private e pubbliche di alta formazione</strong>.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-il-salario-minimo-del-terzo-polo-minimi-diversi-vincolati-a-contratti-collettivi-nostra-proposta-piu-forte-giuridicamente">Il salario minimo del Terzo Polo: “Minimi diversi vincolati a contratti collettivi, nostra proposta più forte giuridicamente”</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Impossibile, per i partiti, non fare riferimento di questi tempi al <strong>salario minimo</strong>. In una <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/tito-boeri-rdc-contrasto-poverta-incostituzionale-flat-tax-fdi/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">intervista</a> fatta poche settimane fa da <em>SenzaFiltro</em> a <strong>Tito Boeri</strong>, l’economista ed ex presidente INPS chiariva che “il salario minimo serve a contenere il potere contrattuale dei datori di lavoro nei confronti di alcuni loro dipendenti impedendo ai primi di pagare i secondi al di sotto della loro produttività”. Aggiungendo che, “come negli altri Paesi, ci vuole un <strong>salario orario minimo che valga per tutti i lavoratori indipendentemente dal settore</strong> <strong>in cui operano</strong>, e non tanti salari minimi quanti sono i minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi”.</p>



<div style="height:80px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><strong>Voi, invece, andate nella direzione dei contratti collettivi per il salario minimo. Con tutti i contratti collettivi che abbiamo in Italia, come tutelereste un lavoratore a basso reddito che fa fatica a capire quale minimo gli spetterebbe? </strong><strong></strong></p>



<p>In linea teorica non è sbagliato avere livelli minimi differenti a seconda del settore, in quanto la produttività media differisce a volte in maniera considerevole. E poi, non capisco: stiamo dicendo che un contratto collettivo firmato (e, nella nostra proposta, molto più forte giuridicamente) può essere rispettato solo se il lavoratore lo reclama, andando a cercare materialmente il contratto in uno scaffale polveroso? Mi pare una rappresentazione un po’ semplicistica.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><em>Lascio l’Onorevole Marattin con una domanda che va al di là di un programma politico che tiene sotto lo stesso ombrello Italia Viva e Azione, che allaccia Renzi a Calenda. La mia domanda parla proprio dell’ombrello.</em></p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><strong>Che cosa ci guadagna Italia Viva, e a che cosa rinuncia, andando alle prossime elezioni con Azione di Calenda?</strong><strong></strong></p>



<p>Per chi, come me, crede che l’offerta politica italiana abbia bisogno di un partito liberal-democratico riformista e popolare, non c’è stato nulla a cui rinunciare. Perché l’unione tra Italia Viva e Azione è l’embrione di questo nuovo partito, che dovrà coinvolgere anche tutti coloro che non si rassegnano a vedere l’Italia in mano a populisti e conservatori di ogni specie.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Le <strong>coalizioni politiche</strong> sono fatte di buone intenzioni, speranze, illusioni e tanta <strong>colla</strong>.</p>



<p>Le prossime elezioni politiche – sature di coalizioni opinabili che valuteremo non solo alla prova delle urne, ma soprattutto alla prova dei mesi a venire – ci riveleranno la <strong>qualità della colla</strong>. Se era buona, se si è seccata troppo in fretta, se il taglio a monte era così irrecuperabile che nemmeno la migliore delle colle sarebbe stata in grado di sanare il danno e di tenere insieme i pezzi. Nel frattempo, e nel mezzo, ballano le nostre vite e i nostri lavori.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/politica/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Politica</a></strong>.</em></p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />



<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><em>Photo credits: litaliasulserio.it</em></p>


Fact checking sul lavoro: che cosa c&#8217;è nel programma del Terzo Polo

<h3 id="h-da-una-grossa-catena-di-ristoranti-italiani-arriva-la-segnalazione-di-sonia">Da una grossa catena di ristoranti italiani arriva la segnalazione di Sonia.</h3>
<p>Voglio condividere una situazione personale tanto quanto pubblica, che può essere di aiuto per tanti giovani e non. Ogni situazione nociva per il proprio benessere, fisica o psicologica, ogni minaccia verbale ricevuta per aver scelto di farsi valere sul lavoro invece che fare moine e stendere un tappeto rosso ai colleghi e ai &#8220;capi&#8221; va denunciata. </p>
<p>&#8220;Lavorativamente parlando sei top&#8221; così mi é stato detto, &#8220;però come persona non va, perché i tuoi colleghi pranzano insieme tutti i giorni al ristorante e io ieri mi aspettavo ci fossi&#8221;, &#8220;Sai qui siamo una grande famiglia&#8221;. </p>
<p>Si, una famiglia in cui appena ti giri sono pronti a schiacciarti e fanno di tutto per mandare via un giovane in gamba anziché valorizzarlo, perché si sa che in Italia un giovane bravo fa scomodo, soprattutto se sei adulto e frustrato. Tutto ciò con un misero stipendio da 1200€ se va bene, 40 ore settimanali più le trasferte pagate solo le ore prestabilite, se guidi per ore e ti svegli 4 ore prima a nessuno frega niente. </p>
<p>Con la scusa della gavetta bisogna tacere e stare zitti, mettendo la testa bassa, sotto terra come uno struzzo. Tra l&#8217;altro ti vengono tolti soldi dallo stipendio se ti viene il covid o addirittura ti vengono concesse le ferie, 40 giorni accumulati, e poi ti viene rimproverato di essere andata in ferie. </p>
<p>Ricordiamoci che le ferie sono diritto. </p>
<p>Denunciate queste dinamiche malate, rivolgetevi a uno psicologo clinico se state soffrendo, non dormite la notte e siete vittime di &#8220;sette lavorative&#8221; per cui se non sei falso sei &#8220;sbagliato&#8221;. Il lavoro in qualche modo si cambia, la salute è difficile da recuperare. Non siate pecoroni da gregge e non fatevi intimorire da questi messaggi, cercate di cambiare qualcosa nel vostro piccolo, bisogna agire. </p>
<p>E chiedete aiuto sempre.</p>
</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
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Whistleblowing: &#8220;lavorativamente parlando sei top ma come persona non va&#8221;

Da una grossa catena di ristoranti italiani arriva la segnalazione di Sonia. Voglio condividere una situazione personale tanto quanto pubblica, che può essere di aiuto per tanti giovani e non. Ogni situazione nociva per il proprio benessere, fisica o psicologica, ogni minaccia verbale ricevuta per aver scelto di farsi valere sul lavoro invece che fare [&hellip;]

Whistleblowing: &#8220;lavorativamente parlando sei top ma come persona non va&#8221; - Informazione senza filtro

https://backend.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/09/WHISTLEBLOWING.png


<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>La Chiesa, fin dagli inizi, ha accolto nel suo seno anche mercanti, precursori dei moderni imprenditori. Nella Bibbia e nei Vangeli si parla di lavoro, di commercio, e tra le parabole ci sono quelle che parlano di monete, di proprietari terrieri, di amministratori, di perle preziose acquistate. Il padre misericordioso nel Vangelo di Luca (cfr 15,11-32) ci viene mostrato come un uomo benestante, un proprietario terriero. Il buon samaritano (cfr&nbsp;Lc&nbsp;10,30-35) poteva essere un mercante: è lui che si prende cura dell’uomo derubato e ferito, e poi lo affida a un altro imprenditore, un albergatore. I “due denari” che il samaritano anticipa all’albergatore sono molto importanti: nel Vangelo non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda; non solo quelli. In effetti, lo stesso denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni, quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze. <strong>L’economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda.</strong></em></p><cite>Dal discorso di Papa Francesco all&#8217;Assemblea degli Industriali in Vaticano</cite></blockquote>



<p></p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>L&#8217;attualità di questi giorni ci restituisce una versione aggiornata dei Mercanti nel Tempio, che ha visto protagonista una delegazione di 4600 imprenditori confindustriali accolti da Papa Francesco in Vaticano. </p>



<p>Abbiamo imparato negli anni ad apprezzare la generosità di questo Sant&#8217;Uomo, (ma mai avremmo immaginato così tanto) insieme alla sua schiettezza e alla lucidità con cui si è rivolto in modo diretto e senza troppi fronzoli istituzionali a Bonomi e ai suoi fedeli.</p>



<p>Chiudere l&#8217;annuale assemblea in Vaticano è stata certamente un&#8217;idea di straordinaria spiritualità, se lo scopo del Presidente di Confindustria era quello di espiare <strong>tre anni di passi falsi </strong>(evitare la chiusura delle aziende &#8211; soprattutto in Lombardia &#8211; in piena pandemia dichiarandole &#8220;i luoghi più sicuri&#8221; salvo poi sposare tutt&#8217;altra politica nei mesi successivi), <strong>di cattiva informazione</strong> (il fuoco incrociato sul Reddito di cittadinanza supportato da <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/bonomi-da-i-numeri-sul-reddito-di-cittadinanza-ma-sono-tutti-incorretti/">dati totalmente errati</a> e da <a href="https://www.osvaldodanzi.it/il-reddito-di-giornalanza/">una campagna mediatica a tamburo battente</a> su tutti i giornali in cui l&#8217;Associazione ha prestato molte facce per lamentare la mancanza di personale e smentita dai numeri delle assunzioni che hanno superato i record di 20 anni fa), <strong>di scambi di favore con la politica attuale</strong> (salario minimo, spese militari, ulteriori investimenti nei Centri per l&#8217;Impiego, revisione del Reddito di Cittadinanza a senso unico). <br><br>Mentre sono più di 70 i tavoli di lavoro aperti nel nostro Paese da Sud a Nord Est, l&#8217;Associazione degli Industriali ha preteso di riprendersi un ruolo cardine, di fatto aggravandone lo stallo senza produrre risultati efficaci nella lotta alle delocalizzazioni, alle chiusure coatte, alle acquisizioni dei fondi di investimento. Complice purtroppo anche un Ministero del Lavoro e quello dello Sviluppo Economico che in queste due ultime legislature non hanno brillato per operatività.</p>



<p><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/osservatorio-crisi-aziendali-vi-teniamo-docchio/">Leggi anche l&#8217;osservatorio mensile di Andrea Ballone sulle crisi aziendali nel nostro Paese.</a></p>



<p></p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-papa-francesco-che-parla-di-lavoro">Papa Francesco che parla di lavoro</h2>



<p>Nonostante le premesse glitterate, la visita di Bonomi non è avvenuta in ciabatte di pelo di struzzo. Papa Francesco ha dimostrato di conoscere molto bene il nervo scoperto del lavoro nel nostro Paese e nello stile che lo contraddistingue non ha mancato di ricordare ai rappresentanti degli imprenditori che è arrivato il tempo di occuparsi seriamente di alcuni temi strategici anziché usarli solo come bei titoli di discussione per le tavole rotonde dei Convegni di settore.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2>Tasse</h2>



<p></p>



<p><strong>Il riferimento alla condivisione non è velato.</strong> Il Papa sottolinea l&#8217;importanza di partecipare tutti al pagamento delle tasse e a redistribuire valore, affinché la ricchezza acquisisca un ruolo circolare a beneficio di tutta la comunità. E quindi, se non fosse stato chiaro, Bergoglio incalza la dose citando non più il Vangelo, ma la Costituzione.</p>



<p></p>



<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>ll patto fiscale è il cuore del patto sociale. Le tasse sono anche una forma di condivisione della ricchezza, così che essa diventa beni comuni, beni pubblici: scuola, sanità, diritti, cura, scienza, cultura, patrimonio. Certo, le tasse devono essere giuste, eque, fissate in base alla capacità contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione italiana (cfr art. 53). Il sistema e l’amministrazione fiscale devono essere efficienti e non corrotti. Ma non bisogna considerare le tasse come un’usurpazione. Esse sono un’alta forma di condivisione di beni, sono il cuore del patto sociale.</em></p><cite>Dal discorso di Papa Francesco all&#8217;Assemblea degli Industriali</cite></blockquote>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p></p>



<h2>Creare lavoro per i giovani</h2>



<p>Il futuro dei giovani è stato un altro dei temi importanti del discorso del Papa. <strong>La mancanza di visione a lungo termine</strong>, <strong>di piani di formazione adeguati</strong>, di coinvolgimento (ci si lamenta di non trovare personale ma la maggior parte di queste aziende non ha programmi di employer branding, non va a cercare le sue risorse là dove c&#8217;è la vera offerta: nelle scuole e al Sud), unitamente al <strong>fenomeno della bassa natalità, </strong>sta riducendo drasticamente il concetto di futuro.</p>



<p>Da qui la necessità di creare lavoro vero; anche in questo caso la stoccata del Papa non poteva avere platea migliore se si parla di precariato e contro la giungla di <strong>contratti male aggiornati e disallineati dal costo della vita</strong>; responsabilità da cui Confindustria non può sottrarsi, avendo da sempre partecipato e da sempre influenzato le scelte di ogni Governo in materia di lavoro.</p>



<p></p>



<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>Un’altra via di condivisione è la&nbsp;creazione di lavoro, lavoro per tutti, in particolare per i giovani. I giovani hanno bisogno della vostra fiducia, e voi avete bisogno dei giovani, perché le imprese senza giovani perdono innovazione, energia, entusiasmo. Da sempre il lavoro è una forma di comunione di ricchezza: assumendo persone voi state già distribuendo i vostri beni, state già creando ricchezza condivisa. Ogni nuovo posto di lavoro creato è una fetta di ricchezza condivisa in modo dinamico. Sta anche qui la centralità del lavoro nell’economia e la sua grande dignità.</em></p></blockquote>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p></p>



<h2>Donne e natalità per non pregiudicare il futuro</h2>



<p>Se non fosse stato chiaro il concetto, Papa Francesco che a 80 anni sembra avere una visione del futuro ben più chiara di quella della sua platea, ripete e sottolinea che il fenomeno della bassa natalità è fra le cause principali della decrescita del nostro Paese e invita gli imprenditori a sostenere le famiglie. Significa due cose, sopra tutte: dare <strong>stabilità attraverso stipendi dignitosi e stabili e supportare le donne in gravidanza</strong>.</p>



<p></p>



<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>È urgente sostenere nei fatti le famiglie e la natalità. Su questo dobbiamo lavorare, per uscire il più presto possibile dall’inverno demografico nel quale vive l’Italia e anche altri Paesi. È un brutto inverno demografico, che va contro di noi e ci impedisce questa capacità di crescere. Oggi fare i figli è una questione, io direi, patriottica, anche per portare il Paese avanti.</em></p></blockquote>



<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>Sempre a proposito della natalità: alle volte, una donna che è impiegata qui o lavora là, ha paura a rimanere incinta, perché c’è una realtà &#8211; non dico tra voi &#8211; ma c’è una realtà che appena si incomincia a vedere la pancia, la cacciano via. “No, no, tu non puoi rimanere incinta”. Per favore, questo è un problema delle donne lavoratrici: studiatelo, vedete come fare affinché una donna incinta possa andare avanti, sia con il figlio che aspetta e sia con il lavoro. </em></p></blockquote>



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<p></p>



<h2>Immigrazione e inclusione</h2>



<p>Incredibile l&#8217;attualità di questo discorso e la preparazione di Papa Francesco su questi temi. L&#8217;anello fra crisi delle nascite, rispetto per la famiglia e visione del futuro si chiude con un appello a favore dell&#8217;inclusione (altra parola abusata nei contesti aziendali rispetto alle cronache quotidiane, soprattutto in alcune aree del nostro Paese) e dunque dell&#8217;<strong>impatto degli immigrati sui singoli territori</strong> (e di conseguenza sulle continuità delle imprese).</p>



<p></p>



<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>A questo proposito, va sottolineato il ruolo positivo che giocano le aziende sulla realtà dell’immigrazione, favorendo l’integrazione costruttiva e valorizzando capacità indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa nell’attuale contesto. Nello stesso tempo occorre ribadire con forza il “no” ad ogni forma di sfruttamento delle persone e di negligenza nella loro sicurezza. Il problema dei migranti: il migrante va accolto, accompagnato, sostenuto e integrato, e il modo di integrarlo è il lavoro. Ma se il migrante è respinto o semplicemente usato come un bracciante senza diritti, ciò è un’ingiustizia grande e anche fa male al proprio Paese.</em></p></blockquote>



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<p></p>



<h2>Quando l&#8217;imprenditore perde il senso della realtà</h2>



<p>Non so se a Papa Francesco piaccia lo smartworking o meno, ma è straordinario il riferimento alla cultura manageriale e ai suoi vizi. Un Pontefice che veste gli abiti del formatore e ricorda agli imprenditori che questi due anni di pandemia devono aver insegnato a tutti, ormai, che siamo atterrati in un mondo nuovo in cui dobbiamo iniziare a prenderci a cuore una nuova cultura del lavoro.</p>



<p>Ed evidentemente non è un caso che questo venga ricordato in primis a Bonomi, ambasciatore di una Regione che fatica ad adeguarsi ai nuovi tempi e poi a tutto il mondo imprenditoriale.</p>



<p></p>



<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>Una delle gravi crisi del nostro tempo è la perdita di contatto degli imprenditori col lavoro: crescendo, diventando grandi, <strong>la vita trascorre in uffici, riunioni, viaggi, convegni, e non si frequentano più le officine e le fabbriche.</strong> Si dimentica “l’odore” del lavoro. È brutto. È come succede a noi preti e vescovi, quando dimentichiamo l’odore delle pecore, non siamo più pastori, siamo funzionari. Si dimentica l’odore del lavoro, non si riconoscono più i prodotti ad occhi chiusi toccandoli; e quando un imprenditore non tocca più i suoi prodotti, perde contatto con la vita della sua impresa, e spesso inizia anche il suo declino economico. Il contatto, la vicinanza, che è lo stile di Dio: essere vicino.</em></p></blockquote>



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<p></p>



<h2>Stipendi, senso di appartenenza e l&#8217;esempio di Olivetti </h2>



<p>Un ultimo passaggio del discorso del Papa riguarda la <strong>forbice salariale fra top manager e il resto dell&#8217;azienda.</strong> L&#8217;Italia è fra i Paesi che non ha alcuna regolamentazione in questo senso, dove esistono Amministratori Delegati che guadagnano fino a centinaia di volte in più dei loro collaboratori.</p>



<p><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-costo-del-talento/">Leggi anche: il costo del talento per UniCredit</a></p>



<p>Questo genera inevitabilmente una frattura all&#8217;interno delle organizzazioni, che in tempi di crisi come questo non aiuta a creare senso di appartenenza facendo sentire le Persone distanti da una stessa identità. Con l&#8217;inevitabile conseguenza di farle sentire lontane e infedeli al loro stesso posto di lavoro.</p>



<p></p>



<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-center"><p><em>Creare lavoro poi genera una certa&nbsp;uguaglianza&nbsp;nelle vostre imprese e nella società. È vero che nelle imprese esiste la gerarchia, è vero che esistono funzioni e salari diversi, ma i salari non devono essere troppo diversi. Oggi la quota di valore che va al lavoro è troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei&nbsp;top manager. Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società. Adriano Olivetti, un vostro grande collega del secolo scorso, aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di&nbsp;appartenenza a un destino comune, non si crea empatia e solidarietà tra tutti; e così, di fronte a una crisi, la comunità di lavoro non risponde come potrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti.</em></p></blockquote>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p></p>



<p>A distanza di decine di anni, sembra incredibile non tanto che il pensiero ricorra nuovamente a Olivetti che il Papa ricorda per la sua lungimiranza nella creazione di un ecosistema solidale e circolare, ma che purtroppo dopo la sua morte non si sia più visto un imprenditore capace di tanta eredità.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-la-guest-star-non-ci-sta">La guest star non ci sta</h2>



<p>Alla fine, probabilmente, le parole di Francesco non troveranno particolare terreno fertile e l&#8217;impressione &#8220;da fuori&#8221; è che la figura del Papa fosse stata pensata come un sorta di Guest Star per il Congressone Nazionale, come un Jovanotti qualsiasi, messo lì per alimentare reputazione e posizionamento del committente.</p>



<p>Peccato non aver pensato agli effetti collaterali.</p>



<p></p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



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Confindustria nel Tempio


<p>Se foste su un palco, di fronte a un pubblico di migliaia di persone, scendereste a distribuire la foto del volto dei vostri bambini – mentre dormono, sono in costume al mare, a pochi mesi di vita – a ogni singolo estraneo di questa estesa platea? La risposta sarebbe probabilmente orientata più sul “no”, eppure la realtà che si affaccia dalla maggior parte di telefonini e computer ci testimonia – purtroppo – tanti “sì”.</p>



<p>La <strong>divulgazione delle foto dei bambini sui social</strong> è senza dubbio un tema scomodo perché tocca corde incandescenti e spesso date per scontate. L’argomento da un lato infastidisce quegli adulti che, privi di adeguata consapevolezza sui possibili e gravi rischi come <strong>pedopornografia </strong>e <strong>cyberbullismo</strong>, divulgano senza remore foto e video con protagonisti figli e nipoti – intendiamo sempre con volto visibile e quindi identità riconoscibile – sui social tra cui Facebook, Instagram, WhatsApp, YouTube, LinkedIn e via dicendo.</p>



<p>A maggio 2022 è stato pubblicato il dossier <strong><em>L’abuso sessuale online in danno di minori</em></strong> a cura del Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online (C.N.C.P.O.) del Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma, con la collaborazione di Save the Children. Il dato inquietante è che la fascia di età più colpita è quella preadolescenziale, con un’età compresa tra i <strong>10 e i 13 anni</strong>, registrando nel 2021 <strong>306 vittime di</strong> <strong>adescamento online</strong>, quasi il 60% di tutti i 531 minori approcciati sul web da adescatori online. Ricordiamo che a questa età non sarebbe nemmeno consentito l’accesso ai social network.</p>



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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/09/immagine_2022-09-08_192157.png"><img width="1024" height="763" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/09/immagine_2022-09-08_192157-1024x763.png" alt="" class="wp-image-52120" /></a></figure></div>


<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Il tema coinvolge non da ultimo l’aspetto aberrante della <strong>mercificazione dell’immagine dei bambini</strong> e delle <strong>bambine</strong>, sfruttata per ottenere consensi e anche vendere un prodotto senza preoccuparsi del fatto che un bambino sia una persona da rispettare.</p>



<p>Un fenomeno, questo, che cozza con la tutela dei <strong>diritti </strong>dei e delle minorenni, non da ultimo il rispetto della loro <strong>dignità</strong>, e che riguarda non solo il fronte dei cosiddetti e delle cosiddette influencer, ma anche quello di persone che non fanno parte di quest’ambito e che utilizzano l’immagine dei “propri” bambini per calamitare l’attenzione e ottenere consensi, arrivando al cosiddetto<strong> <em>sharenting</em></strong>, ossia la documentazione da parte dei genitori della vita dei figli sui social.</p>



<p>Ci addentriamo nel tema intercettando alcuni nodi centrali, confrontandoci anche con un esperto della Polizia Postale.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-pubblicazione-di-foto-dei-minori-sempre-un-rischio-la-sentenza-del-tribunale-di-mantova">Pubblicazione di foto dei minori, “sempre un rischio”. La sentenza del Tribunale di Mantova</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Esisterebbero modalità di condivisione delle foto che tutelano i bambini e la loro riservatezza, evitando ad esempio di mostrarne il volto o coprendolo e tralasciando tutte le situazioni che non garantiscono la privacy, ma ci sono persone che su questo argomento continuano a fare orecchie da mercante.</p>



<p>“<strong>Mettere le foto in rete è un rischio</strong>”: risale al 2016 <strong>l’appello della</strong> <strong>Polizia Postale</strong> pubblicato sulla pagina <em>Una vita da social</em> e indirizzato ai genitori che con leggerezza pubblicano sui social foto dei propri figli minorenni se non bambini, persino molto piccoli. In quell’anno si diffondeva la “sfida delle mamme”, stile catena di Sant’Antonio, nel postare le foto dei propri bambini come segno di orgoglio.</p>



<p>Il tema è nel frattempo entrato a passo spedito anche nelle aule di tribunale. Un caso emblematico è quello che risale al <strong>2017</strong> e che coinvolge il <strong>Tribunale di Mantova</strong>, che ha puntato in maniera incisiva i riflettori sull’argomento della <strong>reputazione digitale dei minorenni </strong>arrivando a stabilire il<strong> divieto di pubblicazione sui social di immagini dei minori </strong>anche se entrambi i genitori sono d’accordo nel farlo. Le coppie che si dovessero affidare al tribunale in questione per affrontare l’affidamento dei figli dovranno infatti sottoscrivere un impegno che implica il non pubblicare&nbsp;<strong>le loro foto</strong> <strong>sui social network, rimuovendo quelle eventualmente già pubblicate.</strong> Tra i riferimenti normativi richiamati dal caso c’è anche la <strong>Convenzione di New York</strong> <strong>sui diritti del fanciullo</strong>, ratificata in Italia nel 1991, oltre alla questione della riservatezza.</p>



<p>Riportiamo la nota del giudice: “L’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini”. Viene anche citato il rischio di “materiale pedopornografico da far circolare tra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia”.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-rocco-nardulli-vicequestore-della-polizia-di-stato-diverse-norme-tutelano-i-minori-dalla-pubblicazione-di-foto-responsabilita-sempre-dei-genitori">Rocco Nardulli, vicequestore della Polizia di Stato: “Diverse norme tutelano i minori dalla pubblicazione di foto. Responsabilità sempre dei genitori”</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>In particolare, sul tema della pubblicazione di foto di minorenni sui social ci confrontiamo con <strong>Rocco Nardulli</strong>, vicequestore della Polizia di Stato e dirigente del settore prevenzione generale e reati contro la persona del compartimento Polizia Postale delle comunicazioni della Lombardia.</p>



<p>“Partirò da ciò che ho potuto osservare in questi sette anni di lavoro nell’ambito”, premette. E sottolinea: “Innanzitutto va ricordato che ognuno di noi, adulti compresi, può contare sulla tutela, da parte della legge, della propria immagine. Nel nostro sistema giuridico ci sono due norme che tutelano l’immagine e la riservatezza: l’<strong>articolo 10 del Codice civile</strong> e la <strong>legge 633/1941 sul diritto d’autore </strong>(l’articolo di riferimento è il 96), che precede internet di svariati decenni. In questo caso è necessario il <strong>consenso della persona ritratta</strong> in foto o <strong>ripresa in video</strong>, altrimenti non può essere divulgata o messa in commercio. Se queste norme vengono violate si può ricorrere al giudice e richiedere il <strong>risarcimento del danno</strong>”.</p>



<p>Focalizzandoci sull’ambito <strong>minorenni</strong>, Nardulli evidenzia: “Ci sono svariate norme che tutelano i minori e l’infanzia in particolare, tra cui convenzioni internazionali come quella di New York sui diritti del fanciullo e quella di Nizza del 2000. Non dimentichiamo il <strong>GDPR europeo</strong>, che afferma che i minori meritano una protezione specifica e forzata sui dati personali proprio perché loro <strong>non possono essere consapevoli dei rischi</strong> ai quali vanno incontro. È così stato raccomandato agli Stati membri di individuare nei 16 anni l’età in cui il ragazzo o la ragazza può prestare il <strong>consenso digitale per pubblicazione della propria immagine</strong>, o pubblicarla lui o lei direttamente. L’Italia ha deciso che questa età dovesse essere 14 anni, diventata il grande spartiacque per vari aspetti”.</p>



<p>“<strong>Il</strong> <strong>genitore ha la piena responsabilità di ciò che pubblica</strong>”, prosegue Nardulli. “Cito un esempio personale: se pubblico una foto dei miei figli che muovono i primi passi devo essere consapevole che ci sono <strong>modalità per filtrare la visione </strong>selezionando solo le persone con cui desidero condividerla, come amici e parenti”. E aggiunge: “Noi come Polizia Postale non demonizziamo la rete in toto. Se fossimo così spaventati che le foto possano finire in mani sbagliate ci comporteremmo come chi evita di usare l’auto per paura di fare un incidente”.</p>



<p>Eppure dal canto nostro usare l’auto è spesso una necessità; pubblicare una foto sui social no, e se noi giornalisti dobbiamo seguire deontologicamente tutte le accortezze a tutela dell’immagine dei minorenni ci chiediamo perché non debbano farlo i genitori. Ma andiamo avanti.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-mai-riscontrati-incidenti-per-chi-e-stato-accorto-il-problema-piu-diffuso-il-cyberbullismo">“Mai riscontrati incidenti per chi è stato accorto. Il problema più diffuso? Il cyberbullismo”</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Quando si parla di social si pensa raramente a <strong>WhatsApp</strong> e a eventuali rischi: non mancano esempi di genitori o nonni che utilizzano foto di bambini, anche in costume, come profilo, e foto di neonati nell’aggiornamento.</p>



<p>“Anche per questo mezzo è fondamentale conoscere le <strong>opzioni di visione</strong> dell’aggiornamento del proprio stato”, evidenzia Nardulli. “Una di queste è la reciprocità di presenza di numeri telefonici nelle rispettive rubriche; la seconda è quella di consentire la visione a tutti i contatti tranne quelli che si vuole escludere; la terza consente di far vedere il contenuto solo a specifiche persone selezionate”.</p>



<p>Il tema dei<strong> filtri</strong> resta importante per evitare la <strong>sovraesposizione delle immagini dei minorenni</strong>, ma forse da quanto osserviamo il problema non è tanto la loro scarsa conoscenza, quanto piuttosto la leggerezza nel ritenere che semplici contatti di cui si conosce solo il nome o la professione siano traducibili in persone conosciute, e quindi affidabili.</p>



<p>Chiediamo a Rocco Nardulli se dal suo osservatorio abbia la percezione che vi sia una diffusa mancanza di consapevolezza sui possibili rischi correlata a una <strong>conoscenza insufficiente dei mezzi utilizzati</strong>. “Le segnalazioni di problematiche che riceviamo non traducono la realtà nella sua totalità”, chiosa. “Posso comunque dire che di sicuro <strong>c’è gente che pubblica foto di minori con estrema superficialità</strong>; non riesco invece a confermare che queste persone siano la maggior parte o la minoranza, perché non ho gli strumenti per farlo”.</p>



<p>I numeri latitano, ma – sempre dal vostro osservatorio lavorativo – potete dirci se i problemi segnalati di solito derivano da una scarsa conoscenza dei mezzi, o eventuali incidenti capitano anche a chi è stato accorto? “Fino ad oggi non mi è <strong>mai capitato un caso di incidente da parte di persone che erano state accorte nell’utilizzo dei social network</strong>”. Riguardo al problema rilevato più di frequente, invece risponde: “Sicuramente foto pubblicate che diventano oggetto di scherno portando a derive di <strong>cyberbullismo</strong>. Dobbiamo stare molto attenti anche a questo aspetto, si possono scatenare gravi ripercussioni, come ci ha insegnato la cronaca”.</p>



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<h2 id="h-rischio-pedopornografia-le-indicazioni-della-polizia-postale">Rischio pedopornografia, le indicazioni della Polizia Postale</h2>



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<p>Sul rischio temuto della <strong>pedopornografia</strong> afferma: “Come polizia facciamo un lavoro di infiltrazione nelle comunità dei pedofili e osserviamo ciò che succede per cristallizzare i reati”. Pur non avendo intercettato casi di fotomontaggio limitatamente al contesto regionale di riferimento, come ci rivela Nardulli, la guardia va tenuta molto alta.</p>



<p>La soluzione sarebbe semplice, e secondo noi a portata di mano: la massima accortezza eviterebbe determinati rischi e anche di appesantire il lavoro di chi opera nella Polizia Postale, ma è una proposta che per diverse persone cade nel vuoto. Per chi proprio non volesse rinunciare alla pubblicazione di foto dei propri figli e nipoti, Nardulli ribadisce alcune <strong>indicazioni cardine</strong>.</p>



<p>“La fotografia consegnata a un pubblico limitato di conoscenti è un conto; se invece pubblico una foto dando a chiunque la possibilità di vederla, e nel caso salvarla, è un altro conto”, specifica. “Occorre <strong>evitare di pubblicare </strong>e<strong> condividere foto di bambini in costume o peggio ancora senza vestiti</strong>, magari mentre fanno il bagnetto, perché la pedofilia è un possibile rischio. Postare la foto di un bambino nudo la considero una follia”.</p>



<p>E ancora: “Sconsiglio infine di pubblicare foto se non si conoscono bene i mezzi e prima di tutto i diritti e i doveri, le impostazioni sulla privacy e i possibili rischi. <strong>Rispettare la</strong> <strong>dignità del bambino</strong> resta fondamentale, perché un giorno quel bambino, cresciuto, potrebbe provare fastidio. Teniamo presente che <strong>la rete non dimentica, mai</strong>”.</p>



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<h2 id="h-le-narrazioni-falsate-e-le-foto-di-minori-sui-social-emulazione-di-persone-famose-che-lo-fanno-per-marketing">Le narrazioni falsate e le foto di minori sui social: “Emulazione di persone famose, che lo fanno per marketing”</h2>



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<p>Se pensiamo alla filmografia a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, quando ancora i social non avevano fatto il loro avvento, pellicole pur differenti tra loro per stile e genere come <em>One Hour Photo</em> e il premiatissimo <em>The Truman Show</em> ci raccontavano i timori e le derive di una possibile invasione nella sfera della vita privata, e della mercificazione di un’esistenza che diviene narrazione falsata e anche tossica proprio quando impacchettata come reality. Ora è il contrario: <strong>non mostrare o non postare viene spesso tradotto come non aver vissuto l’esperienza</strong>, tanto che l’esibizione diventa motivo di orgoglio, e persino conferma e approvazione, per adulti e adolescenti.</p>



<p>I social si sono così tramutati in vetrine di <strong>narrazioni falsate</strong> dove non è raro lo scollamento tra vissuto reale e situazioni costruite. Il fine è voler far credere di essere come ci si mostra. Le stesse immagini dei bambini vengono usate come coccarde per coprire e lenire insicurezze, e il caro prezzo di questa giostra sono proprio loro a pagarlo.</p>



<p>Rispetto a quest’ultimo punto di riflessione, che riguarda la <strong>strumentalizzazione delle immagini dei piccoli</strong>, Nardulli ci spiega: “Per il lavoro che svolgo so per certo che ci sono persone famose che hanno deciso di pubblicare tutta la loro vita, compresa quella dei figli, con finalità di business: ebbene, anche dietro la foto che appare più spontanea, quello che definiremmo il cosiddetto ‘scatto rubato’, c’è in realtà uno studio fatto da professionisti per fini di marketing, come confermato da loro stessi. Le persone famose fanno di queste pubblicazioni un motivo di business, ma determinano anche un <strong>effetto di emulazione</strong> da parte di altre persone che ingenuamente mettono a repentaglio la loro privacy”.</p>



<p>Ci chiediamo se magari tra dieci o anche vent’anni, guardando a questo periodo, certe dinamiche saranno non più applaudite, bensì riconosciute per quello che sono. Tornando all’incipit: sareste invece d’accordo a far distribuire una vostra foto senza che vi chiedessero come vi fa sentire, senza che nessuno si preoccupasse o si ponesse il dubbio di ciò che desiderate o meno?</p>



<p>A ognuno la sua risposta. Quel che è certo è che bambini e bambine sono persone da rispettare, e che <strong>la tutela è un dovere da portare avanti ogni giorno</strong>.</p>



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<p><em>Photo credits: famideal.it</em></p>


Minori e social, se i genitori violano la dignità dei figli. 10-13 anni l&#8217;età più a rischio

<p class="has-text-align-right"><strong>Al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella;</strong></p>
<p class="has-text-align-right"><strong>agli onorevoli ministri;</strong></p>
<p class="has-text-align-right"><strong>agli onorevoli senatori e agli onorevoli deputati;</strong></p>
<p class="has-text-align-right"><strong>ai presidenti delle Regioni italiane;</strong></p>
<p class="has-text-align-right"><strong>ai presidenti delle province e sindaci metropolitani;</strong></p>
<p class="has-text-align-right"><strong>alle OO.SS. affinché le tutele per i lavoratori fragili vengano inserite nei CCNL;</strong></p>
<p class="has-text-align-right"><strong>a tutti i giornali con invito alla pubblicazione della presente lettera.</strong></p>
<div style="height:100px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<p>Scriviamo in qualità di lavoratori fragili e membri del gruppo “<strong>Immunodepressi tutela contro coronavirus</strong>” affinché vengano stabilite <strong>tutele durature e strutturali</strong> che possano proteggere dal <strong>contagio</strong> tutti i <strong>lavoratori fragili</strong>.</p>
<p>Lo richiediamo soprattutto in considerazione del fatto che:</p>
<ul>
<li>il <strong>30 giugno 2022</strong> sono <strong>scadute le tutele</strong> previste dall’<strong>art. 26</strong>, comma 2 e 2 bis del Decreto-legge n. 18/202020, convertito in legge 27/2020 e successive modifiche, ossia malattia esclusa dal comporto e lavoro agile;</li>
<li>il <strong>31 luglio 2022</strong> è scaduta anche la <strong>sorveglianza sanitaria eccezionale</strong> prevista dall’<strong>art. 83</strong>, commi 1, 2 e 3 del Decreto-legge n. 34/2020 convertito con modificazioni con L. 77/2020 e successive modifiche.</li>
</ul>
<p>Queste contingenze, con la pandemia ancora in corso, hanno posto <strong>la salute dei lavoratori fragili in grave pericolo</strong>.</p>
<p>Con l’allentamento di tutti gli obblighi relativi al distanziamento e la fine dell’uso delle mascherine persino al chiuso, senza le tutele e soprattutto con la <strong>fine del lavoro agile semplificato</strong>, per i lavoratori fragili tornare a lavorare in presenza diventa ancora più pericoloso.</p>
<p>L’apertura della <strong>crisi di governo</strong> ha fatto sì che tutti gli emendamenti e i richiami sul tema – da parte di pochi parlamentari, purtroppo – rimanessero disattesi, nonostante i protocolli sottoscritti tra Governo e OO.SS., lasciando i lavoratori fragili in balia di un <strong>vuoto legislativo</strong> che non può e non deve attendere la campagna elettorale.</p>
<p><strong>Lo Stato è consapevole che i lavoratori fragili hanno un rischio più elevato di ospedalizzazione e morte</strong> e che il solo vaccino, a causa delle patologie di cui soffrono, non può assicurare protezione contro il COVID-19.</p>
<p>Le nostre patologie non hanno colore di partito o ideologia, e devono essere tutelate come previsto anche dalla Costituzione italiana. <strong>Chiediamo solo rispetto e dignità</strong>, oltre a poter continuare a lavorare in tutta sicurezza.</p>
<p>Considerato, infatti, che in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, la Costituzione italiana (art. 2, 32 e 41) prevede la <strong>tutela della persona umana nella sua integrità psico-fisica</strong> come principio assoluto ai fini della predisposizione di condizioni ambientali sicure e salubri, e che lo Stato ha l&#8217;obbligo di tutelare i più fragili, affinché i lavoratori fragili <strong>non debbano scegliere tra la loro vita e il lavoro</strong>, abbiamo due urgenti richieste.</p>
<ul>
<li>Il <strong>ripristino delle tutele previste dall’articolo 26</strong>, commi 2 e 2 bis del Decreto-legge n. 18/2020, convertito con modificazioni con Legge n. 27/2020 e successive modifiche (lavoro agile o, qualora non possibile, assenza equiparata a ricovero ospedaliero e non conteggiata nel periodo di comporto); questo <strong>almeno fino al 31 gennaio 2023</strong>, per tutti i lavoratori fragili e inidonei sia del settore pubblico che privato.</li>
<li>La <strong>proroga della sorveglianza sanitaria eccezionale previste dall’articolo 83</strong>, commi 1, 2 e 3 del Decreto-legge n. 34/2020, convertito con modificazioni con L. 77/2020 e successive modifiche.</li>
</ul>
<p>Chiediamo inoltre di stabilire <strong>tutele durature nel tempo per tutti i lavoratori fragili</strong>.</p>
<p>Interesse primario dello Stato deve essere sempre la tutela dei disabili e dei fragili. Per questo motivo, in una situazione ad alto rischio per la loro salute e per la loro stessa vita, lo Stato è tenuto a tutelare milioni di lavoratori fragili a rischio.</p>
<p>Per questo invitiamo tutti, a partire dal <strong>Governo, Parlamento</strong> e dalle <strong>Regioni,</strong> a non chiudere gli occhi o girarsi dall’altra parte: nonostante il loro disinteresse e il loro autoreferenzialismo, <strong>noi esistiamo e vogliamo continuare a vivere</strong>.</p>
<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<p>Amministratori e referenti del gruppo</p>
<p><strong>Daniela Bruiglia</strong> <a href="mailto:lavoratorifragili@virgilio.it">lavoratorifragili@virgilio.it</a></p>
<p><strong>Rosanna Favulli</strong> <a href="mailto:lavoratori.fragili2022@gmail.com">lavoratori.fragili2022@gmail.com</a></p>
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I lavoratori fragili: &#8220;Senza tutele COVID lo Stato ci impone la scelta tra lavoro e sopravvivenza&#8221;

Pubblichiamo una lettera al Presidente Mattarella e ai componenti del Governo da parte di un gruppo di lavoratori fragili, costretti a tornare al lavoro senza tutele in seguito agli allentamenti nei protocolli di sicurezza.

I lavoratori fragili: &#8220;Senza tutele COVID lo Stato ci impone la scelta tra lavoro e sopravvivenza&#8221; - Informazione senza filtro

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<p><strong>Leonardo Del Vecchio</strong>, fondatore dell’impero degli occhiali <strong>Luxottica</strong>, è morto all’età di 87 anni. Con lui se ne va uno dei principi del capitalismo familiare; una polmonite aggravata dal COVID-19, dicono i medici che lo hanno tenuto in cura in questi ultimi mesi.</p>



<p>La holding di famiglia <strong>Delfin</strong>, secondo gli analisti della rivista specializzata Forbes, vale circa <strong>25 miliardi di dollari</strong>: non a caso nella classifica dei Paperon de’ Paperoni italiani Leonardo del Vecchio occupava il secondo posto, dopo Ferrero. Considerato per anni un outsider dal gotha del capitalismo italiano, rappresentato da Agnelli e Cuccia, Leonardo Del Vecchio passo dopo passo era riuscito a entrare dalla porta principale nelle cattedrali del capitalismo come Mediobanca e Generali.</p>



<p>Una crescita di ricchezza rapida e impressionante, se si pensa che la sua avventura imprenditoriale iniziò nel 1961. Un’ascesa inarrestabile, dovuta alla sua capacità di crescere verticalmente attraverso <strong>acquisizioni e fusioni di gruppi internazionali importanti</strong>, come ad esempio il gruppo Ray-Ban acquisito nel 1999; ma anche – non lo si può nascondere – all&#8217;utilizzo massiccio e fuori controllo<strong> del lavoro a domicilio</strong> presso le famiglie della zona, sul quale nessuno dei commentatori odierni vuole soffermarsi per un timore reverenziale verso l’uomo che si sarebbe fatto dal nulla.</p>



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<h2 id="h-leonardo-del-vecchio-un-colosso-coi-piedi-nel-lavoro-a-domicilio">Leonardo Del Vecchio, un colosso coi piedi nel lavoro a domicilio</h2>



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<p>Varrebbe la pena ricordare per onestà intellettuale che <strong>Leonardo Del Vecchio non si è fatto proprio dal nulla</strong>, come sostiene Luca Cordero di Montezemolo in una nota rilasciata alle agenzie.</p>



<p>Lo scaltro imprenditore dal <strong>1961</strong> al <strong>1967</strong> <strong>ha fatto intensamente ricorso al lavoro a domicilio nel paesino di Agordo e dintorni</strong>. In ogni casa di quel circondario in provincia di Belluno centinaia di lavoratori, per giornate che le otto ore le superavano ampiamente, senza alcun contratto di lavoro per buona pace dei sindacati e senza assistenza sanitaria, hanno contribuito all’<strong>accumulazione del capitale</strong> che ha consentito a Del Vecchio di fare grandi acquisizioni, grazie a una multinazionale che ha sostanzialmente il monopolio delle più grandi griffe di occhiali.</p>



<p>Un’accumulazione di capitale piuttosto dura, fondata spesso sul <strong>lavoro delle donne </strong>e – si racconta – in alcuni casi dei <strong>minori</strong>. Una storia per alcuni versi simile a quella dei Benetton, che ricorda l’accumulazione originaria nel 1700 in Inghilterra, raccontata da Carlo Marx nel <em>Capitale</em>. Come spiega Marx per argomentare la nascita del capitalismo e la sua rapida ascesa, a differenza dell’epoca feudale,<strong> non c’è merce più preziosa della forza lavoro</strong> per accumulare ricchezza con rapidità, grazie a una enorme estrazione di plusvalore che nessun’altra merce produce.</p>



<p>Nel <strong>2011</strong> Del Vecchio prese una decisione salutata anche dalla sinistra: oltre al salario <strong>distribuì azioni ai suoi dipendenti</strong>, conquistando il cuore di molte famiglie. </p>



<p>A proposito di Del Vecchio, <strong>Gian Antonio Stella</strong>, grande conoscitore del suo Veneto, in <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gian-antonio-stella-e-quando-il-veneto-rinunciava-ai-funerali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">un’intervista</a> che rilasciò a chi scrive, sempre su <em>SenzaFiltro</em>, concordava con la diagnosi, forse irriverente, che quella distribuzione fosse un modo per risarcirli o ringraziarli. Così giustificava l’ascesa dell’imprenditore: “Parliamo di aree svuotate da <strong>decenni di povertà ed emigrazione</strong>: <strong>quella di Del Vecchio era l’alternativa</strong>. Certo, così come per i contadini delle campagne inglesi nel 1700, le dodici ore del lavoro a domicilio poi sfociato nelle grandi fabbriche erano l’alternativa allo spopolamento delle campagne, ma ciò non toglie nulla allo sfruttamento che contribuì all’accumulazione rapida di capitale da parte di Luxottica”.</p>



<p>Gian Antonio Stella in quell’intervista rimarcava la matrice della cultura del lavoro in Veneto e di questo tipo di imprenditori che potremmo riassumere nel concetto di <strong>autosfruttamento</strong>: una vita dedicata soltanto al lavoro per quattordici ore al giorno. </p>



<p>Pur riconoscendo a Del Vecchio la grandissima capacità di aver saputo dapprima valorizzare un territorio e poi portarlo fuori dai suoi confini, dobbiamo iniziare a fare pace con il nostro passato. La cultura del lavoro è profondamente cambiata e ci piacerebbe che gli imprenditori moderni, al di là dei dovuti discorsi commemorativi, ringraziassero il passato ma guardassero al futuro.</p>



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<p><em>Photo credits: ripartelitalia.it</em></p>


Leonardo Del Vecchio e la multinazionale fatta in casa degli altri


<p>Secondo <em>Market Research Future</em>, il <strong>settore del monitoraggio del posto di lavoro</strong> potrebbe crescere fino a raggiungere un mercato stimato in 3,84 miliardi di dollari entro il 2023, supportato dall’accelerazione sullo smart working impressa dalla pandemia. Si tratta di nuovi business, nati da quello stesso abbraccio tra industria dei dati e sistemi di intelligenza artificiale che, mixati al potenziale esplosivo della transizione digitale in cui tutti siamo coinvolti, mostra qualche oscurità da illuminare per far sì che non diventi, anche, un abbraccio mortale.</p>



<p>Proviamo a fare un po’ di luce, quindi.</p>



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<h2 id="h-sistemi-di-controllo-dei-lavoratori-productivity-score-e-affectivespotlight-produttivita-e-attenzione-diventano-punteggi">Sistemi di controllo dei lavoratori: Productivity Score e AffectiveSpotlight, produttività e attenzione diventano punteggi</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Se è vero che in Italia hanno fatto capolino a partire dal mercato del customer care (call center, assistenza clienti), della logistica e del delivery, i <strong>sistemi di controllo a distanza dei lavoratori e di people analytics</strong> (dati di varia natura relativi al personale) oggi trovano la porta d’ingresso spalancata in qualsiasi settore.</p>



<p>Un esempio sufficiente a dare idea del fenomeno è il <strong>Productivity Score</strong>, “punteggio di produttività”, un tool messo a punto da Microsoft, da tempo disponibile per qualsiasi azienda con abbonamento a Microsoft 365 o a Office 365, le cui schede tecniche di funzionamento sono consultabili online anche in italiano. A questo si è aggiunto, più di recente, <strong>AffectiveSpotlight</strong>, sempre di Microsoft.</p>



<p>Productivity Score permette ai manager di recuperare, per ciascun lavoratore, oltre <strong>73 standard di </strong>“<strong>produttività</strong>”: il numero di ore trascorse in call su Teams, il numero di volte in cui si è reso disponibile ad attivare la videocamera, a condividere un file su cloud invece di allegarlo, il tempo trascorso a leggere documenti di lavoro, per citarne alcune. </p>



<p>C’è poi la rivoluzione di AffectiveSpotlight, il monitoraggio in diretta delle emozioni e del <strong>livello di attenzione</strong> dimostrati da una <strong>platea riunita in call</strong>, per partecipare a eventi o a riunioni di lavoro. Ogni 15 secondi un’intelligenza artificiale mostra in diretta al relatore quali sono gli utenti più interessati, trasformando le loro reazioni in un valore numerico compreso tra 0 e 1. Non sfugge nulla, perché ogni espressione del pubblico è monitorata: dal movimento delle sopracciglia a quello degli occhi, della testa, della bocca, per capire se si stia sorridendo o meno.</p>



<p>Tanto è stata accolta con scetticismo l’immissione in commercio del Productivity Score, giudicata assai controversa da alcuni addetti ai lavori americani spaventati dall’invasione ingiustificata della privacy, tanto sono ritenuti poco affidabili i report istantanei di AffectiveSpotlight, che pure appare come una panacea per catturare l’interesse di una platea virtuale. E se venisse utilizzato per “<strong>calcolare</strong>” <strong>l’attenzione di un dipendente durante una riunione di lavoro</strong>?</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-carlo-colopi-ispettorato-del-lavoro-tutte-le-app-di-controllo-necessitano-dell-autorizzazione-dei-lavoratori-affectivespotlight-vietato-al-di-fuori-della-formazione"><strong>Carlo Colopi, Ispettorato del Lavoro</strong>: <strong>«Tutte le app di controllo necessitano dell’autorizzazione dei lavoratori. AffectiveSpotlight? Vietato al di fuori della formazione»</strong></h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>La <strong>gig economy</strong> aveva già mostrato il fianco, dimostrando che cosa possa voler dire lavorare comandati a distanza da un datore di lavoro invisibile, eterodiretti dal principio esclusivo di funzionalità ed efficienza, e slegati da qualsiasi ecosistema di relazioni umane idoneo a fare del luogo di lavoro uno spazio fisico e mentale di crescita individuale. In realtà, se indagato nella giusta direzione, l’impatto dello <strong>smart working</strong> appare come un caleidoscopio di scenari in cui le immagini riflesse sono inafferrabili, perché vischiosamente legate una all’altra. A tenerle insieme, la colla miracolosa dell’innovazione e della transizione digitale.</p>



<p>«Si stanno diffondendo sempre di più <strong>app</strong>, da scaricare su tablet o smartphone, che consentono alle aziende di avere un <strong>report puntuale sulle attività lavorative svolte</strong>, in particolare le aziende che offrono servizi. Aziende di manutenzione, oppure imprese di pulizie, utilizzano le app per efficientare l’attività (ad esempio valutare con foto la qualità del lavoro, ovvero avere in tempo reale il fabbisogno di materiali di consumo, ecc.), ma parimenti per rendicontare la prestazione lavorativa. Tutti questi sistemi ricadono in pieno nell’art. 4 della Legge 300/70 e pertanto, non essendo strumenti necessari per rendere la prestazione, devono essere autorizzati. <strong>In molti casi, il datore di lavoro ignora che l’utilizzo di tali strumenti necessita di un’autorizzazione e, peggio ancora, ne ignora le conseguenze</strong>», dichiara in un’intervista a <em>SenzaFiltro</em> il dottor <strong>Carlo Colopi</strong>, che dirige il distretto Milano Nord, Cremona e Lodi dell’Ispettorato del Lavoro.</p>



<p>Sull’utilizzo in Italia di AffectiveSpotlight in ambito lavorativo Colopi sottolinea come, in realtà, <strong>il sistema sia vietato alle aziende che non si occupano direttamente di formazione</strong>: «Il sistema AffectiveSpotlight, che si è diffuso e si sta diffondendo con l’uso massiccio delle videoconferenze o per somministrare corsi di formazione per i lavoratori, può essere utilizzato senza preventiva autorizzazione quando i dati raccolti vengono gestiti e protetti dall’ente di formazione erogatore del servizio. Tali dati devono essere custoditi e naturalmente non portati all’attenzione del datore di lavoro. Essi servono all’ente erogatore del servizio per migliorare la propria attività e per ricevere feedback più attendibili dagli utenti. Necessariamente, le persone oggetto di controllo devono essere messe a conoscenza con apposita informativa scritta e sottoscritta dagli stessi interessati. Usi impropri di tali sistemi, quali ad esempio l’appropriazione di dati biometrici da parte del datore di lavoro per risalire ai comportamenti tenuti dal lavoratore, sono vietati».</p>



<p>Quali strumenti abbiamo oggi per tutelare i lavoratori da un uso distorto di questi sistemi? «<strong>Ogni strumento di potenziale controllo a distanza</strong>, a eccezione di quelli che servono per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, <strong>necessita di un’autorizzazione</strong>, in quanto potenzialmente lesivo della dignità del lavoratore. L’autorizzazione può essere ottenuta tramite un <strong>accordo sindacale</strong>, ovvero tramite provvedimento dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro. L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori pone l’obbligo dell’informativa ai dipendenti/lavoratori oggetto del potenziale controllo. Nell’informativa devono essere almeno esplicitate le motivazioni, le finalità, i tempi di registrazione, il titolare del trattamento, il periodo di conservazione ed eventuali conseguenze per i lavoratori».</p>



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<h2 id="h-arriva-il-responsabile-della-sicurezza-dei-dati-del-lavoratore-ma-anche-nelle-piccole-aziende">Arriva il Responsabile della sicurezza dei dati del lavoratore, ma anche nelle piccole aziende?</h2>



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<p>La <strong>digitalizzazione del lavoro</strong> porta con sé potenziali benefici per la gestione del tempo del lavoro e può contribuire alla costruzione di un tempo di qualità, per tutti. La stessa corsa all’innovazione, sostenuta sempre più spesso con importanti contributi economici e finanziari per le aziende, deve essere accompagnata da un processo di <strong>condivisione delle informazioni </strong>che tenga lo stesso passo spedito. Senza di questa non vi è alcuna transizione sana e alcuna nuova cultura del lavoro digitale. E poiché tutti siamo chiamati a contribuire a questo processo, chiedendo trasparenza e rilanciando le buone pratiche, è giunto il tempo di considerare l’istituzione di <strong>nuove figure</strong> che possano agire, sui luoghi di lavoro ad alto tasso di cognitivizzazione, da <strong>boe di salvataggio</strong>.</p>



<p>Ad esempio il <strong>Responsabile della sicurezza dei dati del lavoratore</strong>. Dice Colopi: «Il legislatore, con il Regolamento Europeo sulla protezione (GDPR), ha già pensato a questo. L’istituzione del <strong>Data Protection Officer</strong> va infatti in quella direzione. Resta il problema delle <strong>piccole realtà imprenditoriali</strong>, tipiche del tessuto produttivo italiano, dove è concreto il rischio di un utilizzo improprio dei nuovi sistemi, ovvero la scorretta custodia dei dati (anche sensibili). L’Ispettorato Nazionale del Lavoro rimane comunque come presidio di controllo in tale ambito, tramite le proprie diramazioni territoriali. I datori di lavoro, i lavoratori, i consulenti e le parti sociali possono in qualsiasi momento rivolgersi all’Ispettorato per eventuali chiarimenti sulla materia, denunciare usi impropri o vietati e, chiaramente, presentare istanza di autorizzazione».</p>



<p>Le nuove sfide del lavoro, comunque, sono tutt’altro che definite nella loro completezza. Tra pochi mesi, a settembre, verrà presentato ufficialmente al mondo <strong>Optimus</strong>, <strong>il robot umanoide di Tesla</strong>, un cocktail esplosivo di automazione e di intelligenza artificiale, già descritto come docile e collaborativo. A metà tra creatura mitologica e solida perfezione tecnologica, nel mito in realtà sembra già aver allungato un piede, a partire dal nome. Sarà l’eredità 5.0 del classico <em>kalos kai agathos</em>?</p>



<p>Nel frattempo, continuiamo a interrogarci su quali vogliamo siano i (nuovi?) standard di misurazione del contributo umano alla produzione di valore, a partire appunto dal lavoro.</p>



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<p><strong>Aggiornamento</strong>: poche ore dopo l&#8217;uscita di questo articolo, si è diffusa la notizia che in data 21/06/2022 Microsoft ha ritirato dal commercio il sistema di IA che rileva le emozioni perché &#8220;troppo equivoco&#8221;.  Dal comunicato ufficiale dell&#8217;azienda: <strong>«</strong>(&#8230;) Abbiamo deciso che non forniremo (&#8230;) accesso a tecnologie che possono scansionare i volti delle persone e pretendere di dedurre i loro stati emotivi basandosi su movimenti o espressioni facciali. Esperti all&#8217;interno e all&#8217;esterno dell&#8217;azienda hanno sottolineato la mancanza di consenso scientifico riguardo la definizione delle &#8220;emozioni&#8221;, le sfide poste dal modo in cui le inferenze generalizzano tra casi d&#8217;uso, regioni e dati demografici, e le crescenti preoccupazioni sulla privacy relative a questo tipo di possibilità». </p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/digitale/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Digitale</a></strong>.</em></p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><em>Photo credits: static.techspot.com</em></p>


Monitoraggio sul posto di lavoro, Microsoft sa quanto produci e quanto stai attento

<p>Mobbing, intimidazioni, tentativi di coinvolgimento, intimidazioni, isolamento. Nel migliore dei casi indifferenza totale da parte di capi e colleghi. È spesso questo il destino dei <strong>whistleblower</strong>, lavoratori che con coraggio segnalano illeciti all’interno del loro contesto professionale. Coraggiosi e indispensabili, se pensiamo che la corruzione è un sistema criminale che in Italia muove, secondo le stime del Centro Rand, più di 230 miliardi l’anno. Somma non semplice da verificare, ma l’impatto negativo sulla qualità della vita e dei servizi pubblici – oltre che sui concetti di democrazia ed eguaglianza – è invece sotto gli occhi di tutti.</p>
<p>Peccato che la bontà delle azioni di chi denuncia, al contrario, &nbsp;sia difficile da raccontare, e paradossalmente anche da definire. Perché se <strong>il termine whistleblowing</strong> in inglese ha un’accezione più che positiva, la stessa cosa non si può dire per l’italiano, che nel suo vocabolario presenta espressioni, per così dire, poco nobili. <strong>Delatori</strong>, <strong>talpe</strong>, <strong>gole profonde</strong>. Semplifichiamo in modo brutale? Chi fa la <strong>spia</strong> non è figlio di Maria.</p>
<p>Questione culturale tipicamente nostrana, e raccontata in modo magistrale dal regista e sceneggiatore <strong>Marco Ferrari</strong> nel suo <strong>film <em>La Bufera, cronache di ordinaria corruzione</em></strong>, proiettato lo scorso 8 giugno nella Sala Conferenze Palazzo Theodoli-Bianchelli della Camera dei deputati. Un momento di confronto interessante, all’interno dell’evento dal titolo: “Il ruolo del whistleblowing per proteggere il PNRR”, che tra gli altri ha visto la partecipazione di <strong>Anna Macina</strong>, Sottosegretario al ministero della Giustizia. Occasione utile, in particolare, per capire a che punto è il recepimento della direttiva europea 2019/1937 sulla materia, considerato che l’Italia è tuttora in infrazione comunitaria per il mancato adeguamento nei tempi previsti.</p>
<p>A sentire la Macina, <strong>sembra che la legge sia sul tavolo</strong>. “Confidiamo che vi sia la sensibilità di tutte le forze politiche per ottenere il risultato sperato, perché appena approvata la legge da parte del Senato il Governo avrà l’obbligo di produrre entro tre mesi il decreto applicativo”, spiega <strong>Federico Anghelé</strong> di The Good Lobby, organizzazione non governativa promotrice dell’iniziativa. “Non possiamo permetterci <strong>passi falsi con il PNRR</strong>, o peggio l’onta di possibili <strong>casi di corruzione legati al piano</strong>. Per questo serve una normativa più completa a <strong>tutela del soggetto che denuncia l’illecito</strong>”.</p>
<p>Osservazione corretta, ripensando al film, visto che racconta la storia vera di sette whistleblower trattati, dopo la denuncia dei crimini, come autentici traditori. Vittime, nei fatti, della loro stessa organizzazione. Vale la pena approfondire.</p>
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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/LaBufera_Poster-Vert_ITA_HiRes-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="679" height="1024" data-id="51117" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/LaBufera_Poster-Vert_ITA_HiRes-679x1024.jpg" alt="La locandina del film &quot;La bufera, cronache di ordinaria corruzione&quot;, che raffigura un dipendente mentre spia da delle veneziane." class="wp-image-51117" /></a></figure>
<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/NeverWhistleAlone_Director-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="1024" data-id="51118" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/NeverWhistleAlone_Director-1024x1024.jpg" alt="Il regista de La Bufera Marco Ferrari" class="wp-image-51118" /></a><figcaption>Il regista de <em>La Bufera</em> Marco Ferrari</figcaption></figure>
<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/NeverWhistleAlone_posterV_hi-res-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="679" height="1024" data-id="51119" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/NeverWhistleAlone_posterV_hi-res-679x1024.jpg" alt="La locandina in inglese del film &quot;La bufera, cronache di ordinaria corruzione&quot; (&quot;Never whistle alone&quot;), che raffigura un dipendente mentre spia da delle veneziane." class="wp-image-51119" /></a></figure>
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<p><strong>Marco Ferrari, dopo aver visto il film la domanda è d’obbligo: quant’è dura la vita del whistleblower?</strong></p>
<p>Durissima, perché il dramma tocca la tua esistenza a 360°. Nasce all’interno del luogo di lavoro ma la cosa non finisce lì, il problema te lo porti a casa. Sono scelte che impattano sull’intera vita della persona che denuncia, e di questo non si parla abbastanza. Pensa ai piccoli Comuni, dove i protagonisti li incontri ogni giorno per strada, a quanto queste vicende possano diventare di dominio pubblico.</p>
<p><strong>Il titolo originale è <em>Never whistle alone</em>. Però, a ben vedere, i tuoi personaggi fischiano da soli. E vivono un isolamento conseguente che incute timore.</strong></p>
<p>Abbiamo scelto un titolo originale in inglese per una doppia ragione. In primis il respiro internazionale, anche se si tratta di fatti italiani, che porta con sé una provocazione di genere. Sembra quasi un film dell’orrore, incentrato sull’atmosfera che i personaggi vivono, un universo di tensione molto simile al thriller. L’altro motivo è la volontà di indicare nel titolo un suggerimento: non fatelo da soli. Quando si affronta questa strada bisogna sapere su chi potersi appoggiare, perché il percorso è lungo, faticoso, psicologico.</p>
<p><strong>In effetti la cosa che più ho apprezzato è l’approccio di relazione verso un tema complesso. Impressiona pensare che la denuncia rappresenti, anziché il lieto fine, l’inizio di un lento calvario.</strong></p>
<p>Vedi, il mobbing è il primo strumento per arginare il whistleblower. Una goccia che scava la pietra, con pratiche pensate sul lungo periodo. Singoli eventi magari insignificanti se presi singolarmente, ma quando poi diventa prassi quotidiana la tua libertà ne risente. E ti devasta al punto da diventare malattia.</p>
<p><strong>Mazzette, minacce, prepotenze, trasferimenti. <em>La Bufera</em> racconta un ventaglio di angherie non indifferenti. Con quale stato d’animo un regista ascolta e interpreta queste situazioni?</strong></p>
<p>Lavorare a un documentario sociale con drammi di fondo è faticoso, bisogna entrare in empatia con l’interlocutore, vivere quelle emozioni. A questo si aggiunge la difficoltà della tematica, molto tecnica perché legata a specifiche professionalità. Serve un impegno di analisi e ricerca molto profondo, capire la terminologia e il contesto, per afferrare l’origine del conflitto di interessi o della truffa.</p>
<p><strong>Alla fine, però, hai deciso di ricondurre le sette vicende a fattor comune, raccontando una storia collettiva. Perché?</strong></p>
<p>Tra tutti gli aspetti legali e tecnici, la cosa che mi ha colpito di più è la vicenda umana di ciascun caso. All’inizio cercavo un episodio esemplare ma, durante le mie interviste, mi sono accorto che i protagonisti, per raccontare avvenimenti anche distantissimi tra loro, utilizzavano le stesse parole. Le situazioni si ripetevano: mobbing, isolamento, stress psicologico. Per questo abbiamo deciso di portare una visione d’insieme.</p>
<p><strong>Il progetto non è nato ieri, l’inizio dei lavori risale al 2015. Com’è cambiata la narrazione del whistleblowing negli ultimi sette anni?</strong></p>
<p>Domanda difficile. I processi normativi in genere sono molto lunghi. Sotto questo punto di vista la novità è rappresentata dalla direttiva europea. Di fondo c’è l’intenzione di implementare l’ambito della tutela. Però il processo va molto a rilento. Sotto l’aspetto sociale, invece, ho vissuto una bellissima sorpresa quando tramite Keaton (piattaforma distributiva di taglio sociale) siamo sbarcati nelle scuole. Pensavo annoiasse; all’opposto, i ragazzi si sono dimostrati pubblico attento, capace di ragionare su tematiche che riguardano il loro futuro. Credo sia questo il fattore di cambiamento più importante.</p>
<p><strong>Nel film affronti perlopiù la pubblica amministrazione, ma anche nelle piccole imprese private gli abusi di potere sono all’ordine del giorno. Basti pensare al tanto dibattuto tema della sicurezza sul lavoro.</strong></p>
<p>Un mondo difficile da approfondire. Per certi versi il business tra privati è se possibile ancor più selvaggio. La pubblica amministrazione, quando si avvale di fornitori privati, ha regolamenti certi. Quindi è facile individuare l’abuso. Nel privato è diverso, senza etica e sostenibilità rischia di diventare terra di nessuno. Di strada da percorrere ce n’è tantissima, però partire dalla PA è importante, a maggior ragione perché ha ricadute sociali dirette sulla comunità.</p>
<p><strong>In coda al lungometraggio scorrono diversi dati interessanti, tra cui la media di due denunce al giorno. Un dato sottostimato a causa del sommerso o da ridurre grazie a leggi e cultura?</strong></p>
<p>Guarda, non ti saprei dire. Se la statistica è basata sulla popolazione italiana, allora il dato è tuttora molto basso. Però se devo riflettere di pancia e con emotività, pensare che ogni giorno due persone si recano al lavoro e denunciano illeciti è una notizia dirompente. Dopodiché, sono convinto che il sommerso non sia irrilevante.</p>
<p><strong>Nel capitolo 4 della pellicola parli di contrattacco al sistema corrotto. Uno spunto di rivalsa verso un contesto malato, che non tutti purtroppo riescono a cavalcare.</strong></p>
<p>In questa parte del film la storia comune torna a essere individuale. La conclusione dipende da tanti fattori. Ci sono finali positivi, come la storia di Raphael Rossi, che grazie alla sua resistenza e professionalità oggi è manager affermato e dirige lo smaltimento rifiuti in una città importante. Altri, invece, faticano a sopportare il peso di questa responsabilità. Serve anche fortuna.</p>
<p><strong>Di questo progetto cosa ti rimane?</strong></p>
<p>Un’esperienza intensa, difficile da cancellare. Ho conosciuto persone che si sono fidate di me, che mi hanno affidato pezzi della loro vita, con le quali ho costruito un rapporto di intimità profonda. È appagante, uno dei motivi per cui faccio questo lavoro. Infine, rimane senza dubbio la voglia di continuare ad affrontare tematiche di interesse sociale, che non mi limitino soltanto all’esperienza cinematografica.</p>
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<p><em>Nella foto di copertina, un&#8217;immagine tratta dalla locandina del film La Bufera.</em></p>


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Il whistleblowing diventa film. Federico Anghelé, The Good Lobby: &#8220;Senza una legge sul tema rischia anche il PNRR&#8221;

Il regista Marco Ferrari, intervistato da SenzaFiltro: &#8220;Nel documentario protagonisti distantissimi usavano le stesse parole: mobbing, isolamento, stress psicologico&#8221;. E l&#8217;Italia è ancora in ritardo rispetto alla direttiva europea sul whistleblowing.

Il whistleblowing diventa film. Federico Anghelé, The Good Lobby: &#8220;Senza una legge sul tema rischia anche il PNRR&#8221; - Informazione senza filtro

https://backend.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/06/NeverWhistleAlone_still01-scaled-1.jpg


<p class="has-medium-font-size" style="font-style:normal;font-weight:500"><em>I gestori delle pompe di benzina guadagnano sempre meno: sono strozzati dagli accordi con le compagnie petrolifere, e la crisi dei carburanti accelera il crollo di una situazione precaria già da anni. I sindacati sono divisi tra la necessità di rivedere gli accordi e lo strapotere dei fornitori: l&#8217;opinione di Alessandro Zavalloni, della FE.G.I.C.A. CISL, e di Pinello Balia, presidente ANGAC.</em></p>



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<p><strong>Il caro carburante non fa guadagnare i benzinai</strong>. Anzi, spesso sono loro a rimetterci.</p>



<p>In questi giorni in Parlamento sono arrivate un&#8217;interrogazione a firma di <strong>Giorgia Meloni</strong> e una proposta della <strong>FE.G.I.C.A. CISL</strong>, l&#8217;associazione di categoria dei gestori di distributori, per limitare il caro carburanti. Un rincaro che mette in difficoltà innanzitutto i <strong>benzinai</strong>, i quali <strong>non vengono pagati a percentuale</strong>, ma percepiscono <strong>dai 2,5 ai 3 centesimi per ogni litro venduto</strong>, indipendentemente dal prezzo al consumatore. A chi materialmente si occupa di dare la benzina agli utenti rimangono poche briciole della torta, perché il guadagno del gestore non cambia, a qualunque prezzo l&#8217;automobilista paghi la benzina.</p>



<p><strong>Ma se il prezzo del carburante aumenta</strong> – per una decisione che è stata presa a monte dalle compagnie petrolifere, che non hanno difficoltà a stipulare accordi di cartello – <strong>i consumi diminuiscono</strong>, <strong>e il guadagno diminuisce</strong> di conseguenza. Negli ultimi giorni, con l&#8217;inizio della guerra in Ucraina, i prezzi sono andati alle stelle, tanto che gli stessi sindacati si sono messi a studiare soluzioni per bloccare il caro carburanti.</p>



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<h2 id="h-pinello-balia-presidente-angac-per-noi-benzinai-se-crescono-i-prezzi-diminuiscono-i-guadagni">Pinello Balia, presidente ANGAC: «Per noi benzinai se crescono i prezzi diminuiscono i guadagni»</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Da qualche giorno, il sindacato FE.G.I.C.A. CISL ha depositato sul tavolo del Governo una <strong>proposta</strong> che potrebbe permettere l&#8217;abbassamento del prezzo.</p>



<p>«Ci riallacciamo – spiegano al sindacato – a una vecchia norma della finanziaria, che risale al periodo nel quale Pierluigi Bersani era ministro dell&#8217;Economia. L&#8217;aumento dei prezzi del carburante comporta anche una <strong>crescita del gettito IVA</strong>, calcolato in proporzione, e che non era previsto. Si creerebbe così un <strong>tesoretto che permetterebbe di abbassare le accise</strong>. Basterebbe quindi una norma dello Stato. Abbiamo presentato questa proposta già da settimane».</p>



<p>Con il Governo un&#8217;intesa si è trovata, ma rimane ancora qualche perplessità. «Le accise calano dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale», spiega <strong>Alessandro Zavalloni</strong> della FE.G.I.C.A. CISL, «ma per i prezzi alla pompa. Nulla si dice sulle quantità già immesse al consumo al momento dell&#8217;entrata in vigore del decreto, quindi con accise vecchie. Quanto ci vorrà per vedere l&#8217;effetto concreto?». </p>



<p>Il problema è porre un freno agli aumenti incondizionati delle ultime settimane, anzi degli ultimi mesi, perché il trend non è certo legato soltanto alla guerra in Ucraina. Il prezzo del carburante è fuori controllo ormai da anni, e a farne le spese sono i <strong>gestori delle stazioni di servizio</strong>, che sono l&#8217;<strong>anello debole della catena</strong>.</p>



<p>«<strong>Al crescere dei prezzi</strong> – dice <strong>Pinello Balia</strong>, presidente dell’ANGAC, il sindacato autonomo dei gestori di pompe di benzina – <strong>vediamo calare i clienti</strong>, e di conseguenza i nostri introiti, anche perché non siamo pagati a percentuale. Inoltre le spese per il mantenimento del distributore (luce ed energia) sono carico nostro. Ogni compagnia ha un accordo diverso dalle altre. Al massimo si possono prendere 35 euro ogni mille litri venduti al self service e 65 al servito.»</p>



<p>Ma <em>SenzaFiltro</em> ha visionato alcuni contratti dove <strong>gli euro ogni mille litri sono 27,50, cioè 27 millesimi al litro</strong>. «In Europa è diverso», continua Balia. «C&#8217;è il prezzo unico per tutti. E poi noi siamo legati al traffico e una deviazione può cambiare in modo radicale gli introiti della nostra azienda. Nel Sulcis, dove io gestisco una pompa di benzina, hanno deviato una vecchia entrata della tangenziale e c&#8217;è stata una diminuzione del traffico. Di conseguenza le mie vendite sono crollate».</p>



<p><strong>Negli anni i margini di guadagno si sono ridotti</strong>. Una pompa media, fuori dai circuiti delle grandi città e anche dalle zone di campagna, in un anno vende da 600.000 a 1 milione di litri all&#8217;anno. Il gestore si trova così a incassare dai 24.000 ai 28.000 euro. Chi si trova a gestire una grande pompa di benzina, il cui lavoro però è triplicato, arriva a fatturare oltre 70.000 euro l&#8217;anno. Se dovesse prendere un dipendente gli verrebbe costare 35.000 euro l&#8217;anno, togliendogli metà degli introiti.</p>



<p>«Nelle cifre lorde – continua Balia – rientrano anche <strong>costi di corrente e manutenzione</strong>. Molti impianti si trovano così a lavorare in perdita. Abbiamo colleghi che si sono indebitati con le banche e hanno le case ipotecate. Per questo nel 2019 è nato il nostro sindacato, con l&#8217;idea di cambiare gli accordi storici.»</p>



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<h2 id="h-noi-schiavi-del-caporalato-petrolifero">«Noi, schiavi del caporalato petrolifero»</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Eppure fino a qualche anno fa il lavoro di benzinaio era molto più redditizio, anzi quasi ambito.</p>



<p>«Tutto è cominciato <strong>tra il 2002 e il 2003</strong>, quando anziché liberalizzarli si è deciso di <strong>cedere il prezzo alle compagnie petrolifere</strong>», continua Balia. «In questi accordi si prevede che al massimo si possa sforare di 5 millesimi il prezzo concordato. Se qualcuno dovesse vendere la benzina a un prezzo troppo basso ci rimetterebbe, andando così in rovina».</p>



<p>I <strong>cambi repentini di prezzi</strong> che si sono verificati in questi mesi sono stati per l&#8217;intero settore il problema più grande. Non solo per gli aumenti, ma anche per le drastiche diminuzioni. C&#8217;è chi si è trovato a comprare a prezzi alti e a vendere a prezzi più bassi, perché il prezzo imposto si è abbassato anche di tanto da un giorno all&#8217;altro. Così i benzinai si sono visti bruciare il possibile guadagno.</p>



<p>«<strong>Il prezzo può cambiare da un giorno all&#8217;altro</strong>. Io ho comprato il carburante venerdì e mi sono trovato lunedì un rincaro di 20 centesimi sul gasolio e di 13 sulla benzina. Una differenza di 1.330 euro. <strong>Il flusso è crollato e ho venduto poco</strong>; poi quando ci portano il carburante noi dobbiamo pagare o con assegno o con il mail banking. Questi meccanismi stanno facendo <strong>sparire la nostra categoria</strong>, anche perché eravamo danneggiati già prima della guerra. I giovani ci provano, a lavorare, ma mollano dopo un anno o due. Nella maggior parte dei casi non siamo nemmeno proprietari della pompa di benzina, che ci viene data in comodato dalle grandi compagnie petrolifere. La vita dei proprietari è un po&#8217; migliore rispetto a quella di chi ha la stazione di servizio in comodato. Noi non siamo comunque né dipendenti né gestori: tra di noi ci chiamiamo <strong>schiavi del caporalato petrolifero</strong>».</p>



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<h2 id="h-il-sindacato-fe-g-i-c-a-cisl-rivedere-gli-accordi-compagnie-petrolifere-troppo-potenti-benzinai-divisi">Il sindacato FE.G.I.C.A. CISL: «Rivedere gli accordi? Compagnie petrolifere troppo potenti, benzinai divisi»</h2>



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<p>I dati dicono che in Italia si è passati <strong>da 32.000 pompe di benzina a 27.000</strong>, e oggi ne rimangono <strong>22.000</strong>.</p>



<p>Che il panorama sia desolante lo si può comprendere anche solo andando in macchina nei centri più piccoli, alcuni dei quali rimasti senza benzinaio. Lungo le strade molti distributori chiusi sono ormai un monumento di archeologia industriale. L&#8217;unico modo per invertire la tendenza è quello di <strong>rivedere gli accordi con le compagnie petrolifere</strong>, come da anni propone l&#8217;ANGAC, che è entrata anche in polemica con i sindacati tradizionali.</p>



<p>«Cambiare gli accordi – spiegano alla FE.G.I.C.A. CISL – non è semplice, perché ci troviamo davanti le “<strong>sette sorelle</strong>”, <strong>cioè i più grandi gruppi petroliferi al mondo</strong>, che hanno una capacità di influenza senza dubbio maggiore della nostra. E poi non è semplice per la categoria fare attività sindacale, dal momento che <strong>siamo divisi</strong>: non ci ritroviamo a lavorare in un&#8217;azienda, ma siamo sparsi lungo il territorio nazionale. Insomma non possiamo certo fare volantinaggio alla mattina.»</p>



<p>Prima di modificare accordi in essere da anni, e che in sostanza sono progetti privati, sui quali la politica è sempre intervenuta poco, è necessario mettere mano alla questione caro carburanti, che è sull&#8217;agenda del Governo già da oggi.</p>



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<p><em>Photo credits: inmoto.it</em></p>


Caro carburante, non buttiamo benzina sul fuoco: ai distributori 27,50 euro ogni mille litri venduti


<p class="has-medium-font-size" style="font-style:normal;font-weight:500"><em>Il parere di Aldo Confalonieri, presidente sezione Turismo di Assosistema Confindustria, e di due imprenditori: &#8220;Ripresa spezzata dalla guerra: aziende costrette ad alzare i prezzi, rischiano 4.000 lavoratori. Il Governo aveva dato aiuti nel 2020, oggi ignora le stesse imprese&#8221;.</em></p>



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<p>Tra pandemia, crisi delle materie prime e ora la guerra russa in Ucraina non sembra esserci pace per l’industria dell’ospitalità italiana, così come per tutte le altre attività a essa collegate. Fra queste, quella delle <strong>lavanderie industriali del comparto del turismo</strong> è tra le prime per necessità di funzionamento delle strutture ricettive e della ristorazione. Un totale di circa <strong>300 aziende e 8.000 lavoratori </strong>(di cui il 65% donne), per un fatturato pari a 660 milioni di euro nel 2019. Un settore oggi in <strong>grande difficoltà</strong>, che si trova a scontrarsi con il fatto di non essere stato ricompreso dal Governo tra i destinatari delle nuove misure previste a sostegno del turismo, pur essendone parte integrante.</p>



<p>In mancanza di aiuti del Governo le lavanderie provano ad alzare i prezzi, ma se i clienti stessi sono in crisi la soluzione non sembra così semplice. Già fiaccate dalla pandemia, le lavanderie del comparto rischiano di pagare un conto troppo alto a causa degli aumenti delle materie prime e della guerra in Ucraina, i cui scenari non sono ancora prevedibili.</p>



<p>La sofferenza è condivisa in questo <strong>settore</strong>, non delocalizzabile e <strong>molto avanzato </strong>da un punto di vista <strong>informatico </strong>e <strong>tecnologico</strong>. Tamponano le perdite le aziende più grandi, soprattutto quelle che negli anni si sono diversificate in altri comparti, come quello dei servizi sanitari integrati. Intanto però, in attesa di una ripresa forte del turismo, il futuro delle piccole e medie aziende e dei lavoratori sembra molto a rischio, anche a causa della concorrenza sleale di chi lavora ai margini del settore. La speranza degli addetti ai lavori intanto è che il Governo cambi idea sui sostegni, e si attivi in tempi rapidi al fine di garantire la sopravvivenza di queste imprese.</p>



<p>Su questo tema abbiamo raccolto le posizioni di <strong>Aldo Confalonieri</strong>, presidente della sezione Turismo di Assosistema Confindustria, e di <strong>due aziende del comparto</strong>.</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/03/aldo-confalonieri.jpeg"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/03/aldo-confalonieri-1024x768.jpeg" alt="" class="wp-image-49367" /></a><figcaption>Aldo Confalonieri, presidente della sezione Turismo di Assosistema Confindustria.</figcaption></figure></div>



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<h2 id="h-aldo-confalonieri-assosistema-confindustria-per-le-lavanderie-industriali-salgono-i-costi-e-calano-i-turisti">Aldo Confalonieri, Assosistema Confindustria: “Per le lavanderie industriali salgono i costi e calano i turisti”</h2>



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<p>“Gli effetti della pandemia sono stati molto gravi per tutte le <strong>lavanderie del settore del turismo</strong>”, esordisce Confalonieri. “Si sono registrate delle contrazioni rilevanti del fatturato, con <strong>una perdita di 396 milioni nel 2020</strong>, e una stima di <strong>350 milioni andati in fumo nel 2021</strong>. Le aziende sono rimaste in piedi con notevoli sforzi e investimenti di risorse proprie, al fine di restare attive sul mercato. Una sofferenza condivisa, ma chi ha subito perdite maggiori sono in particolare le lavanderie che lavorano nelle <strong>grandi città d’arte</strong> (Venezia, Milano, Firenze, Roma…), che faranno più fatica a tornare ai livelli normali”.</p>



<p>Un problema dovuto inizialmente alle <strong>chiusure imposte dalla pandemia</strong>, a cui si sono sommati non solo la mancanza dei flussi turistici pre-COVID, ma anche<strong> l’aumento delle materie prime.</strong></p>



<p>Secondo i dati forniti da Assosistema, da gennaio a novembre 2021 i <strong>numeri dei rincari</strong> si attestano su cifre difficilmente sostenibili nel lungo periodo, a partire dal <strong>gas</strong> ( +153% rispetto al 2019 e +286% sul 2020 l’aumento medio per il metano) e dalla <strong>materia energetica</strong> (+112% rispetto al 2019 e +185% rispetto al 2020). Alti i rincari anche per le <strong>sostanze chimiche e i detergenti</strong> (+57% sul 2019 e + 72% sul 2020 sul prezzo medio dei detergenti all’ingrosso), per il <strong>polietilene</strong> per l’imballaggio (+41% sul 2019 e +80% rispetto ai valori 2020 sui prezzi all’ingrosso) e per il <strong>tessile</strong> impiegato per i servizi di noleggio della biancheria (+17,50% sul 2019 e +30% sul 2020).</p>



<p>Rispetto a quest’ultima voce, inoltre, come precisa Confalonieri, c’è un problema di <strong>scarsità</strong>: “Il cotone si ottiene con fatica e con ritardi, perché poco e proveniente dall’estero. Prima le navi arrivavano in una settimana, oggi sono praticamente ferme”.</p>



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<h2 id="h-a-rischio-4-000-posti-di-lavoro-il-nodo-degli-stagionali">A rischio 4.000 posti di lavoro. Il nodo degli stagionali</h2>



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<p>Se gli aumenti continuano, e i turisti non arrivano, <strong>restano in forse gli stagionali</strong>, che rappresentano più della metà degli addetti del comparto delle lavanderie industriali.</p>



<p>“Le lavanderie industriali impiegano circa <strong>8.000 addetti, di cui 5.000 stagionali</strong>”, spiega Confalonieri. “Si lavora soprattutto con <strong>assunzioni a tempo determinato</strong>, sia per la stagione invernale che per quella estiva, e poi ci sono le aziende che servono le grandi città d’arte che assumono soprattutto da marzo a ottobre. Il calo della manodopera al momento c&#8217;è stato, e ha riguardato in particolare gli stagionali della montagna, circa 2.000 lavoratori, che non sono stati richiamati a lavoro. Se non riparte il settore sono a rischio anche gli stagionali della Pasqua. Il pericolo più grave però sono <strong>le chiusure definitive nel breve termine</strong>, soprattutto per le piccole e medie imprese, che <strong>potrebbero lasciare a casa almeno 4.000 dipendenti</strong>”.</p>



<p>Problemi verso i quali il Governo non starebbe facendo abbastanza per l’associazione confindustriale. Come sottolineato da Confalonieri, “<strong>nel 2020 il Governo aveva riconosciuto le aziende</strong> come parte della filiera, e quindi danneggiate dal COVID-19. <strong>Oggi sono state escluse senza nessuna ragione dagli ultimi ristori </strong>previsti per il settore. Le richieste di Assosistema sono di riconoscere la nostra centralità, e soprattutto di considerarci come le aziende energivore, al fine di garantire una <strong>riduzione </strong>della<strong> componente elettrica </strong>e del<strong> gas </strong>che stiamo pagando. Non è solo la manifattura in Italia che manda avanti il Paese, sono centrali anche le aziende dei servizi”.</p>



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<h2 id="h-i-prezzi-aumentano-fino-al-21-confalonieri-scelta-obbligata-anche-per-concorrenza-sleale">I prezzi aumentano fino al 21%. Confalonieri: “Scelta obbligata anche per concorrenza sleale”</h2>



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<p>A questa situazione di crisi le aziende hanno iniziato a rispondere con <strong>un aumento progressivo dei prezzi</strong>: “Già da diversi anni, a causa di un mancato adeguamento dei contratti, il settore aveva progressivamente perso di marginalità. Oggi, con la pandemia e gli aumenti delle materie prime, siamo arrivati a produrre sottocosto. Per far fronte a questo, le lavanderie hanno adeguato i loro prezzi di<strong> noleggio e sanificazione della biancheria</strong>, <strong>aumentandoli</strong> <strong>dal 15 al 21%</strong> a seconda delle diverse situazioni delle singole imprese”.</p>



<p>Secondo Assosistema, per le aziende si tratta di una <strong>scelta obbligata</strong> per sostenere i costi e continuare a lavorare secondo le regole, necessarie per il rispetto degli standard di igiene del servizio, per la tutela dell’ecosostenibilità e l’applicazione dei contratti nazionali. Come testimoniato dal dott. Confalonieri, infatti, la <strong>concorrenza sleale </strong>e il mancato rispetto delle normative da parte di <strong>aziende che lavorano al margine del settore</strong> erano già presenti anche prima di questo momento di crisi: “Aziende che, per fare prezzi bassi, non offrono nessuna certificazione o garanzia igienica, sia per le strutture che per i clienti finali, che non hanno depuratori o che ricorrono a cooperative al posto di assumere il personale secondo i contratti nazionali previsti”.</p>



<p>Una concorrenza che, in questo momento di crisi, rischia di pesare di più sulle aziende che sostengono costi più alti lavorando nel rispetto di norme e certificazioni.</p>



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<h2 id="h-il-parere-delle-aziende-la-guerra-ha-lavato-via-le-speranze-di-ripresa">Il parere delle aziende: la guerra ha lavato via le speranze di ripresa</h2>



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<p>Di fronte a questa difficile situazione, cosa ne pensano le lavanderie del comparto?</p>



<p>Per <strong>Federico Bini</strong>, Amministratore Unico del Gruppo Lavanderie Bini di Bagno a Ripoli (prima periferia di Firenze), la guerra in corso in Ucraina è arrivata come un duro colpo, dopo le altre complessità vissute negli ultimi due anni: “<strong>L’anno scorso abbiamo perso l’80/85% del lavoro</strong>, poi da gennaio iniziavamo a vedere la luce dopo il COVID-19, e invece ora con l’aumento dei costi e la guerra e<strong> si arresta nuovamente tutto</strong>. Stiamo facendo tanta fatica, qui a Firenze le lavanderie sono strettamente legate al turismo, va un po’ meglio in quelle città in cui c’è un flusso legato agli affari. Per ora gli alberghi confermano i numeri delle prenotazioni future, però è evidente che il conflitto avrà degli impatti non solo sul<strong> turismo proveniente dalla Russia</strong>, ma su chi, provenendo da altri continenti, <strong>deciderà di non venire in Europa</strong>. Nel frattempo abbiamo anche<strong> perso circa il 15% del personale durante il periodo di cassa integrazione</strong>, che ha scelto giustamente di ricollocarsi. Per noi ha significato perdere una professionalità che, qualora dovessero aumentare nuovamente i carichi di lavoro, non sarà più disponibile”.</p>



<p>È intervenuto poi il <strong>titolare di una storica lavanderia romana</strong>, che ha chiesto di restare anonimo, per cui quello dei costi oggi resta il primo dei problemi. “<strong>Per noi</strong> <strong>è aumentato tutto</strong>, e il primo costo è ovviamente quello dell’energia che usiamo per lavorare. Poi ci sono i materiali, a cui si somma la gestione logistica del servizio: dalla benzina per i furgoni all’acquisto dei mezzi stessi. Oggi ci stiamo trovando a pagare 40.000 euro lo stesso modello di furgone acquistato a 24.000 euro nel 2019. Anche se la domanda dovesse tornare normale, ciò che non potremo mai recuperare è<strong> la marginalità</strong>. Va fatto un intervento serio sulla regolamentazione del mercato e su concorrenza e rapporti tra lavanderie. Su comportamenti quali il pagamento a lungo termine dei fornitori, l’uso di manodopera a basso costo, le continue chiusure e riaperture di S.r.l. Servono controlli e tutele”.</p>



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<p><em>Photo credits: novusagens.it</em></p>


Lavanderie industriali, più sporco non si può: dopo la guerra il Governo nega i ristori

<p style="font-style:normal;font-weight:500"><em>La direttiva UE 2019/1937, sulla quale l&#8217;Italia rischia una procedura d&#8217;infrazione, cambia gli scenari per chi denuncia illeciti nelle imprese: si parla di estensione delle possibilità di denuncia e divieto di ogni tipo di ritorsione. Le aziende dovranno adeguarsi entro due anni. Ne parliamo con Priscilla Robledo, consulente legale e attivista per The Good Lobby.</em></p>
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<p>“La causa principale che porta a <strong>non denunciare illeciti e corruzione nelle imprese</strong> è la <strong>mancanza di informazione</strong>”.</p>
<p>Tocca un punto fondamentale <strong>Priscilla Robledo</strong>, consulente legale e attivista per The Good Lobby, organizzazione non governativa che si occupa di trasparenza. “Non solo ai lavoratori mancano le linee guida per procedere, ma talvolta nemmeno c’è consapevolezza rispetto a questa possibilità”. Un tema, quello della <strong>comunicazione interna</strong>, troppo spesso lasciato ai margini nelle aziende, che finiscono così per favorire più o meno volontariamente evitabili forme di discriminazione.</p>
<p>Perché se è noto che l’Italia non ha ancora recepito la <strong>direttiva UE 2019/1937 sul whistleblowing</strong> – i termini sono infatti scaduti lo scorso 31 dicembre – è altrettanto vero che una normativa a tutela è già in vigore dal 2017. Si tratta della <strong>Legge 179</strong>, che completa il quadro previsto dal modello 231 del 2001 e dalla legge 190 del 2012, provvedimenti anch’essi impegnati sul fronte anticorruzione.</p>
<p>“In effetti la direttiva serve per completare il percorso, perché è bella e dettagliata, visto che <strong>oggi la protezione degli whistleblower è ancora parziale</strong>”.</p>
<p>Detto che i whistleblower altro non sono che i segnalatori di illeciti, <strong>che cosa si intende per protezione parziale?</strong> Proviamo a spiegare.</p>
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<h2 id="h-che-cosa-cambia-con-la-direttiva-ue-sul-whistleblowing">Che cosa cambia con la direttiva UE sul whistleblowing</h2>
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<p>La direttiva UE, rispetto alla normativa attuale, include nella <strong>definizione</strong> di questi soggetti anche consulenti, membri dei consigli direttivi, ex dipendenti e candidati, persone cioè <strong>al di fuori della normale relazione di lavoro subordinato</strong>. Inoltre, altro aspetto importante, introduce il <strong>divieto di ogni tipo di ritorsione</strong>, prevedendo sanzioni per chi ostacola questo diritto. Una strada che, aspetto non secondario, permette tra l’altro di parificare il trattamento nel settore pubblico e privato.</p>
<p>“Bisogna però specificare che <strong>le direttive non sono immediatamente applicabili</strong> come i regolamenti, quindi al momento società ed enti pubblici si possono solo preparare all’entrata in vigore”. Perché, allora, <strong>l’Italia rischia una procedura d’infrazione</strong> da parte della Commissione europea? “Molto semplice: siamo in ritardo di due mesi e mezzo, in quanto il recepimento andava effettuato entro la fine del 2021. Non una novità per il nostro Paese, troppe volte fuori tempo con questi adeguamenti”.</p>
<p>Nel concreto, entro il prossimo anno <strong>le imprese con più di 250 lavoratori </strong>si dovranno attrezzare con <strong>specifici canali per la ricezione delle segnalazioni</strong>. Canali ai quali dovranno poter accedere anche tutti gli stakeholder esterni, a partire da lavoratori autonomi e in somministrazione, oggi ancora esclusi dalla norma. Aspetto ancor più interessante è il coinvolgimento nel processo, dal 2023, anche delle <strong>aziende dai 50 lavoratori in su</strong>, contenitore che abbraccia buona parte delle piccole e medie imprese italiane.</p>
<p>Un’implementazione davvero possibile? “Così prescrive la direttiva, ragion per cui anche queste realtà saranno chiamate a mettere a punto <strong>procedure antidiscriminazione</strong>. Il periodo transitorio che esclude queste organizzazioni terminerebbe il 31 dicembre 2023, quindi <strong>dal 2024 l’estensione dovrebbe entrare a tutti gli effetti in vigore</strong>, ma restiamo in attesa del decreto di recepimento per avere un calendario preciso”.</p>
<p>Tema, come detto all’inizio, senza dubbio culturale, oltre che di adeguamento alla futura norma. Se le aziende oggi coinvolte non riescono a strutturare piani di comunicazione efficaci, figuriamoci le PMI. “Il punto è proprio questo: se manca la cultura organizzativa, è improbabile creare una struttura in grado di funzionare. Diciamo la verità, <strong>in una PMI si conoscono tutti</strong>, per cui senza reali tutele da parte delle società il <strong>rischio di discriminazioni volontarie o involontarie</strong> è molto alto”.</p>
<p>D’altro canto viviamo in un Paese che, secondo i dati redatti dall’indice annuale di percezione della corruzione, transita al quarantaduesimo posto sui centottanta complessivi, ex aequo con la Polonia e appena un punto sopra al Botswana. Una posizione di classifica demoralizzante, quella evidenziata dal report di Transparency International, se confrontata con gli altri grandi d’Europa: Francia ventiduesima, Gran Bretagna undicesima, Germania decima. Non a caso, quindi, <strong>tra il 2018 e il 2021</strong> (complice probabilmente anche la pandemia) si è verificato un preoccupante <strong>calo del 45% di segnalazioni inviate all’ANAC</strong>, l’autorità nazionale anticorruzione.</p>
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<h2 id="h-la-principale-differenza-tra-la-direttiva-sul-whistleblowing-e-le-leggi-precedenti-il-ruolo-dei-sindacati">La principale differenza tra la direttiva sul whistleblowing e le leggi precedenti. Il ruolo dei sindacati</h2>
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<p>In tutto questo, come si inserisce la <strong>mediazione sindacale</strong>? “Il sindacato non ha <strong>potere giurisdizionale</strong>, si occupa appunto di mediare conflitti risolvibili, ma non entra nel merito di interventi potenzialmente sanzionatori nei confronti degli autori di illeciti. Anche se, per onore di cronaca, bisogna dire che <strong>ANAC fino ad oggi ha emesso</strong> <strong>numero irrisorio di sanzioni</strong>. Quando parlo di cultura penso anche a questo: si tratta di un cambiamento totale di paradigma, che riguarda davvero tutti, autorità comprese”.</p>
<p>Se l’Italia si dovesse allineare in modo definitivo, ed è opportuno che lo faccia, qual è il punto di rottura più importante rispetto al passato?</p>
<p>“Le differenze fra la legge e la direttiva sono molte. Oltre all&#8217;estensione della protezione anche a soggetti non dipendenti, o la possibilità di segnalare esternamente all&#8217;ente, un punto interessante per esempio riguarda la <strong>tutela del segreto commerciale</strong>. Per spiegarlo riprendo un orientamento della Cassazione che risale a inizio 2018, nei primi mesi di applicazione della legge 179. Nel caso specifico il whistleblower, prima di effettuare la segnalazione, si era permesso di approfondire un’indagine preliminare di raccolta prove, violando il segreto commerciale dell’azienda. Ebbene, la Cassazione ha evidenziato l’articolo 3 della 179 che fa prevalere il segreto sul potere della segnalazione. Quindi la 179 protegge dagli illeciti, ma se violi il segreto per segnalare da vittima diventi colpevole. <strong>La direttiva UE invece spiega che a prevalere è sempre il whistleblower</strong>, ad eccezione di alcuni casi particolari come il segreto di Stato. Ecco, il punto di rottura complessivo è questo: la legge 179 mette al centro le procedure, mentre la direttiva mette al centro la persona”.</p>
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<h2 id="h-priscilla-robledo-the-good-lobby-direttiva-avvantaggia-i-whistleblower-nella-mediazione-con-le-imprese">Priscilla Robledo, The Good Lobby: “Direttiva avvantaggia i whistleblower nella mediazione con le imprese”</h2>
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<p>Tutte teorie interessanti, però la verità è che anche con gli ultimi adeguamenti normativi le aziende si tutelano dal punto di vista burocratico, ma nella pratica per adesso poco cambia. “Neanche Roma è stata costruita in un giorno. Lo ripeto, servono adeguate campagne di comunicazione interna. Dall’altro lato non ci si deve aspettare una marea di segnalazioni; <strong>non sempre tutto è denunciabile, non sempre i lavoratori vogliono denunciare</strong>. Qui si tratta di potenziali <strong>illeciti di norme</strong>”.</p>
<p>Quindi, quali sono questi potenziali illeciti? In sostanza si parla, per citare qualche esempio, di <strong>assunzioni poco trasparenti</strong>, <strong>demansionamenti</strong>, <strong>violazione di norme ambientali</strong> o sulla <strong>sicurezza del lavoro</strong>. Ovvio che l’efficacia massima si ha quando la norma non viene mai applicata. “Appunto, anche questa direttiva ha intenti di <strong>prevenzione</strong>, per cui se lo strumento funziona e non ci sono segnalazioni ben venga. In ogni caso l’obiettivo è costruire e implementare canali perfettamente fruibili e riservati, a cui i lavoratori e gli altri attori si possano appoggiare. Il tutto senza discriminare nessuno”.</p>
<p>E senza dimenticare l’<strong>aspetto relazionale</strong>. Dopo una denuncia di illecito, un lavoratore può davvero <strong>continuare il suo rapporto professionale</strong> <strong>senza ripercussioni</strong> in una piccola o media impresa? “Non è così piacevole lavorare in un posto di lavoro dove è successo quel che è successo. Alla fine, lo sappiamo, si media sempre. La legge è comunque utile perché permette al whistleblower di uscire meglio dalla mediazione rispetto al passato”.</p>
<p>È possibile, attraverso i dati, capire lo <strong>stato di salute delle organizzazioni pubbliche e private italiane</strong>? “Fino a due anni fa ANAC ogni mese di giugno pubblicava un report sulle segnalazioni ricevute. Oggi non lo fa più, ed è anche molto difficile trovare in rete rapporti ed elementi utili. Si trovano dati su sanzioni comminate nei confronti dell’autore e delle società, ma sono pochi e deludenti. Sul privato invece non c’è nulla: a chi conviene strutturare indagini simili e chi è disposto a supportarle?”</p>
<p>Già. Perché in fondo un conto è adeguarsi alla futura direttiva, ammesso che il Governo la recepisca, un altro è essere integerrimi per davvero.</p>
<div style="height:80px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
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Whistleblowing in Italia, soffiate a mezza voce: politica e imprese ancora in ritardo

La direttiva UE 2019/1937, sulla quale l&#8217;Italia rischia una procedura d&#8217;infrazione, cambia gli scenari per chi denuncia illeciti nelle imprese: si parla di estensione delle possibilità di denuncia e divieto di ogni tipo di ritorsione. Le aziende dovranno adeguarsi entro due anni. Ne parliamo con Priscilla Robledo, consulente legale e attivista per The Good Lobby.

Whistleblowing in Italia, soffiate a mezza voce: politica e imprese ancora in ritardo - Informazione senza filtro

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<p><strong>Speedline</strong> vuol dire una delle più note aziende metalmeccaniche della filiera automotive: produzione dei cerchi in lega per i principali marchi internazionali del settore, si parla di Ferrari, Lamborghini, Maserati, Porsche, Audi, insomma i grandi. Speedline vuol dire anche Venezia, anzi <strong>Santa Maria di Sala</strong> dove stanno battendo i pugni sul tavolo i dipendenti e sindacati che temono lo svuotamento dell&#8217;impianto. Nell’ultimo mese e mezzo la vertenza è passata dall’annuncio della delocalizzazione entro la fine del 2022 da parte della casa madre Ronal&nbsp;fino alla revoca della decisione stessa annunciata a sorpresa una decina di giorni fa, con la promessa di sedersi a un tavolo del MISE (la cui agenda delle vertenze di crisi nazionali supera le 70 emergenze da nord a sud).</p>



<h2 id="h-il-tavolo-tecnico-non-riparte">Il tavolo tecnico non riparte</h2>



<p>Intanto fumata nera due giorni fa tra le parti e una nota congiunta FIM CISL e FIOM CGIL: <em>“Non&nbsp;è partito il tavolo tecnico del Ministero perché abbiamo chiesto all’azienda che ci siano&nbsp;ulteriori chiarimenti e approfondimenti relativi al tema delle campionature portate altrove, i nostri dati non coincidono con quelli del gruppo Ronal. Per questo motivo nei prossimi giorni ci sarà un tavolo tecnico con la Rsu e i referenti aziendali per chiarire questo tema. Successivamente verrà riconvocato il tavolo ministeriale. Auspichiamo che il prossimo incontro avvenga già entro questa settimana”</em>.&nbsp;Intanto lo stabilimento rischia lo smantellamento progressivo, i circa 600 dipendenti tremano, <strong>Confindustria protesta</strong> perché è stata lasciata fuori dalla trattativa, con il supporto mediatico del Sindaco di Venezia che investe in comunicazione per diffamare i sindacati. (Scontro rientrato dopo le scuse di quest’ultimo). </p>



<p>Il Presidente di Regione Zaia alza il tiro in tutte le dichiarazioni pubbliche e chiede al Governo che agli impegni dichiarati seguano azioni concrete che tutelino livello produttivo, occupazionale, economico e sociale di quel territorio.</p>



<h2 id="h-il-dumping-mascherato">Il dumping mascherato</h2>



<p><strong><em>SenzaFiltro </em>è andato a fondo, ottenendo informazioni dettagliate</strong>; la scelta di Ronal è dovuta da una parte a causa di un dumping pressante da parte della Cina che riesce a bypassare le regole impiantando uno stabilimento in Marocco e utilizzando un corridoio attraverso la Spagna per arrivare in Europa “piazzando” il prodotto a 30 euro in meno rispetto a Speedline. Dall’altra, una fin troppo ottimista gestione previsionale da parte della casa madre Svizzera, la cui filiera proprietaria si perde nelle scatole cinesi dei fondi d’investimento, a cui ha dato il colpo di grazia il Covid bloccando così anche la realizzazione del nuovo stabilimento previsto a Santa Maria di Sala, non riuscendo ad oggi a raggiungere il minimo necessario di ordini per sostenere l’attuale produzione già al lumicino.</p>



<h2 id="h-ipotesi-delocalizzazione">Ipotesi delocalizzazione</h2>



<p><br>L’ipotesi più probabile è che a Santa Maria di Sala rimanga una sorta di presidio commerciale ed ancora una volta la produzione finisca in qualche Paese dell’Est dove i terreni vengono regalati, le concessioni si ottengono in pochi giorni e i Governi offrono sostanziosi sgravi alle imprese.<br><br>Per buona pace di Confindustria che con l’ultima legge di bilancio ha ottenuto senza grandi sforzi di cancellare le ammende previste alle aziende che delocalizzano per “futili motivi”.</p>


Vertenza Speedline: la Cina aggira la concorrenza UE, nessuno lo dice.


<p>Che la <strong>produttività</strong> in Italia cresca a un ritmo decisamente lento non è una novità. Secondo il rapporto <a href="https://www.istat.it/it/files/2020/11/Report_MISURE_PRODUTTIVITA_1995_2019.pdf" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Istat (2020)</a>, la produttività totale dei fattori, che rappresenta la tecnologia e l’efficienza dei processi produttivi, è rimasta invariata negli ultimi 25 anni, segnalando le difficoltà di crescita e la scarsa competitività dell’economia italiana rispetto agli altri Paesi europei.</p>



<p>L’introduzione di un <strong>salario minimo</strong> potrebbe essere non solo una misura a tutela dei lavoratori, ma anche l’occasione per <strong>sollecitare la produttività</strong> delle imprese tramite una riduzione delle imperfezioni di mercato. Perché?</p>



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<h2 id="h-dal-2008-le-aziende-italiane-pagano-i-dipendenti-meno-di-quanto-dovrebbero">Dal 2008 le aziende italiane pagano i dipendenti meno di quanto dovrebbero</h2>



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<p>Per capire l’impatto di un salario minimo sul mercato del lavoro è innanzitutto necessario confrontarne il livello con la <strong>distribuzione della retribuzione salariale</strong>.</p>



<p>Nel grafico che segue mettiamo a confronto il salario medio pagato dalle imprese (fonte: CompNet) con un salario minimo di 9 euro l&#8217;ora, lordi ma al netto dei contributi previdenziali. Questa stima del minimo salariale è simile al valore discusso in Parlamento e in alcuni contributi accademici come Caselli et al. (2021). Per ragioni di comparabilità, è necessario definire un <strong>salario minimo lordo annuale ipotetico</strong>, che gli autori stimano pari a <strong>25.332 euro</strong> considerando una media di 168 ore lavorate al mese e pesando per i contributi previdenziali.</p>



<p>Il grafico mostra l’andamento del salario medio pagato dalle imprese con una linea nera. L’area verde denota una paga superiore alla soglia di salario minimo individuata nell’articolo, mentre l’area rossa una paga inferiore. Si può notare la <strong>decrescita del salario medio a partire dal 2007/8</strong>, e come questo rimanga sempre al di sotto della soglia del salario minimo nel corso degli anni successivi.</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine1-2.png"><img width="414" height="307" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine1-2.png" alt="" class="wp-image-48322" /></a></figure></div>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p>Questo dato è interessante, poiché mostra il progressivo impoverimento dei salari e rivela l’ampiezza del bacino che potrebbe beneficiare di un&#8217;introduzione del salario minimo. Il messaggio cardine di questa analisi, dunque, è che <strong>in media le imprese italiane pagano salari inferiori</strong> <strong>al minimo ipotizzato</strong>. Quel che resta da capire è se il livello del salario minimo sia troppo elevato o se siano le imprese a pagare, in media, salari troppo bassi. &nbsp;</p>



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<h2 id="h-soprattutto-al-sud-le-imprese-che-dovrebbero-rivedere-i-salari">Soprattutto al Sud le imprese che dovrebbero rivedere i salari</h2>



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<p>Per rispondere è opportuno analizzare l’<strong>eterogeneità dei salari </strong>a livello territoriale e settoriale.</p>



<p>Come abbiamo analizzato in un nostro <a href="https://www.lavoce.info/archives/58183/tante-italie-tanti-salari-minimi/" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">precedente articolo</a>, il salario mediano in Italia varia molto da provincia a provincia, anche se la differenza principale rimane quella fra Nord e Sud. Data questa eterogeneità territoriale, le aziende per cui l’introduzione di un minimo nazionale implicherebbe un considerevole aumento retributivo si trovano soprattutto al <strong>Meridione</strong>.</p>



<p>Passiamo ora alle <strong>eterogeneità a livello settoriale</strong>. Il salario medio annuale è chiaramente differente nei vari settori economici. Come mostra la prossima figura, i settori con un salario medio particolarmente basso rispetto al salario minimo sono il commercio al dettaglio e all’ingrosso, le attività immobiliari, i servizi di alloggio e ristorazione, le costruzioni e le attività amministrative e di supporto ai servizi. Sarebbero soprattutto le imprese operanti in questi settori a trovarsi obbligate a fare i conti con un importante aumento del costo del lavoro se venisse introdotto un salario minimo di 9 euro per ogni ora lavorata.</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine2.jpg"><img width="607" height="441" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine2.jpg" alt="" class="wp-image-48323" /></a></figure></div>



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<h2 id="h-quali-aziende-sarebbero-piu-colpite-dall-introduzione-del-salario-minimo">Quali aziende sarebbero più colpite dall’introduzione del salario minimo?</h2>



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<p>Un’ulteriore considerazione riguarda le aziende con potere di mercato nel mondo del lavoro. A livello tecnico, questo concetto è misurabile tramite un parametro chiamato <strong><em>mark-up</em></strong>, che semplicizzando misura la differenza tra quanto un’impresa paga un lavoratore o una lavoratrice e quanto output quest’ultimo/a produce.</p>



<p>Le imprese con maggiore potere sul mercato del lavoro, e quindi che applicano un mark-up più alto, possono permettersi di pagare ai propri dipendenti uno stipendio inferiore al loro livello di produzione. La relazione tra il potere di mercato di queste aziende e la differenza tra il salario medio e minimo è rappresentata nel grafico successivo, in cui si può notare come non vi sia una relazione univoca tra queste due variabili. La cosa che emerge con più chiarezza, invece, è ancora una <strong>forte eterogeneità tra settori</strong>.</p>



<p>In questo grafico, mostriamo il salario medio e il markup delle imprese. La linea verticale divide le imprese in due gruppi: a destra abbiamo le imprese con potere di monopsonio, mentre a sinistra abbiamo quelle senza. La linea orizzontale, invece, divide le imprese in altrettanti gruppi: sopra troviamo le imprese che pagano un salario superiore al minimo, mentre sotto vi sono quelle che pagano salari inferiori.</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine3.jpg"><img width="602" height="438" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine3.jpg" alt="" class="wp-image-48324" /></a></figure></div>



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<p>Secondo queste categorie, l’introduzione del salario minimo colpirebbe solo le imprese nei due quadranti in basso in ogni settore, poiché sarebbero costrette ad aumentare le retribuzioni dei propri lavoratori. Le imprese nei due quadranti superiori, invece, pagano già salari superiori al livello minimo, e per questo non dovrebbero adeguare le retribuzioni. Inoltre, l’effetto sarebbe diverso a seconda del <strong>potere di mercato</strong>: le imprese nel quadrante a destra potrebbero “sopportare” il peso di un aumento salariale, riducendo semplicemente il<em> mark-up</em> corrente; le imprese nel quadrante di sinistra, invece, sarebbero costrette a ridimensionarsi o a uscire dal mercato. I settori maggiormente colpiti, secondo questa analisi, sarebbero dunque quello <strong>immobiliare</strong>, quello delle <strong>attività amministrative</strong>, dei <strong>servizi di ristoro</strong> o dei <strong>trasporti</strong>, cioè dei settori notoriamente a basso valore aggiunto popolati da imprese con bassa produttività, ma con molti lavoratori.</p>



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<h2 id="h-salario-minimo-il-caso-della-germania-e-le-differenze-con-l-italia">Salario minimo, il caso della Germania e le differenze con l’Italia</h2>



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<p>Dunque, che cosa può comportare l’uscita dal mercato o il ridimensionamento delle imprese in questi settori? Nell’articolo precedente abbiamo spiegato come la letteratura economica, in realtà, mostri che <strong>all’introduzione di un pavimento salariale non corrisponda necessariamente una diminuzione dell’occupazione</strong>: in un mercato del lavoro ben funzionante, le risorse liberate dalle imprese che non riescono a sostenere l’aumento di salari possono infatti ricollocarsi in altre aziende più produttive e con stipendi migliori.</p>



<p>Un esempio di questo processo virtuoso è avvenuto in <strong>Germania</strong>. Un recentissimo studio firmato da Dustmann e coautori evidenzia come, a seguito all’introduzione del salario minimo nel 2015, siano <strong>aumentati i salari dei lavoratori pagati meno, l’occupazione sia rimasta uguale </strong>e vi sia stata una <strong>riallocazione</strong> dei lavoratori verso imprese più produttive. Questo genere di riallocazione incide favorevolmente sulla produttività aggregata: se più risorse vanno a imprese che riescono a impiegarle meglio, la produttività aggregata può esserne influenzata solo in positivo, poiché le stesse risorse possono essere utilizzate più efficientemente.</p>



<p>Queste considerazioni sulla riallocazione dei fattori produttivi sono particolarmente rilevanti in <strong>Italia</strong>, che come tanti altri Paesi europei è soggetta a una diminuzione strutturale della riallocazione dei lavoratori. Nel prossimo grafico mostriamo questo evidente calo nel tasso di riallocazione, misurato come <strong>somma del tasso di creazione e distruzione di posti di lavoro</strong>.</p>



<p>Un basso tasso di riallocazione tra Regioni e tra settori può creare della resistenza al circolo virtuoso per cui il salario minimo contribuisce alla crescita della produttività senza intaccare l’occupazione. Affinché la riallocazione funzioni correttamente è necessaria <strong>un’ottima mobilità proprio tra Regioni e settori</strong>, condizione che è possibile verificare solo dopo aver implementato e valutato accuratamente l’effetto del salario minimo.</p>



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<div class="wp-block-image"><figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine4.jpg"><img width="520" height="378" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/01/Immagine4.jpg" alt="" class="wp-image-48325" /></a></figure></div>



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<p>Per concludere, il salario minimo può essere uno strumento dalle forti implicazioni sociali, tramite <strong>l’aumento del benessere dei lavoratori a basso reddito</strong>; allo stesso tempo, può favorire un <strong>ambiente più competitivo</strong>, facendo uscire dal mercato le imprese meno produttive. Il messaggio della nostra analisi è che il livello del salario minimo non è l’unico elemento da analizzare prima dell’implementazione di questa politica: è cruciale studiare le inefficienze nel mercato del lavoro (monopsoni) e la propensione alla riallocazione tra settori e Regioni per beneficiare di tutti gli effetti positivi di questo strumento.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><strong><em>Ha collaborato all’articolo:<br>Sergio Inferrera&nbsp;&#8211;&nbsp;</em></strong><em>Laureato presso l&#8217;università Bocconi, ha lavorato in BCE come assistente di ricerca. È consulente di ricerca per CompNet e presso l&#8217;università Bocconi. È inoltre senior fellow di&nbsp;Tortuga&nbsp;tramite il quale pubblica questo contributo.</em></p>



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<p><em>Photo credits: hr-link.it</em></p>


Non tutte le imprese possono permettersi il salario minimo

<h2 id="h-elena-goitini">Elena Goitini</h2>
<ul>
<li>CARICA: Ad di Bnl</li>
<li>ANNI: 51</li>
<li>PAESE: Italia</li>
</ul>
<p>«Sono cresciuta sviluppando l&#8217;antifragilità. Essere antifragili significa amare la casualità e l’incertezza, il che vuole dire anche amare gli errori che mi consentono d&#8217;imparare.»</p>
<blockquote class="wp-block-quote has-text-align-right">
<p>È la prima donna alla guida di una grande banca nel nostro Paese. Un traguardo che non si era posta ma che ora la carica di responsabilità anche nei confronti delle altre donne. «È una responsabilità che sento forte &#8211; ha detto &#8211; e non tengo sotto traccia. Sono convinta che noi donne dobbiamo imparare a sostenerci di più reciprocamente, cosa che riesce molto bene agli uomini ma meno a noi. Io lo farò all’interno della mia azienda, per promuovere concretamente questo cambiamento». Goitini si è impegnata nell’advisory board del Women’s Forum G20 Italy nel predisporre iniziative concrete per aumentare il numero di donne executive nei board. È convinta che, se la legge sulle quote di genere ha aperto la strada, ora si debba procedere spediti nel mettere a terra iniziative che cambino veramente la realtà.</p>
<p><cite>Dall&#8217;articolo a firma di Antonella Baccaro, sul <em>Corriere della Sera</em> </cite></p></blockquote>
<p>Caro direttore,</p>
<p><strong>siamo un gruppo di donne, dipendenti della grande banca</strong> (<strong>BNL</strong>) di cui parla Antonella Baccaro (nel suo articolo del 28 dicembre pubblicato su <em>Corriere della Sera</em> online) nel quale si esalta la figura di <strong>Elena Goitini</strong> come paladina delle fragilità. Ci permetta di esprimerle il nostro rispettoso ma totale <strong>dissenso</strong>. </p>
<p>“Essere antifragili significa <strong>amare la casualità e l’incertezza</strong>”, afferma la nostra AD nell’articolo citato. In realtà la vera incertezza è quella che stanno sperimentando <strong>244 donne</strong> insieme ad altri colleghi (in totale circa 900 persone). L’incertezza di un futuro in aziende appena nate grazie a un piano industriale varato per l’appunto dal nostro AD Elena Goitini, che ha trovato ampie critiche tra i lavoratori di questa grande banca. <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/bnl-inventa-il-personale-usa-e-getta-noi-interinali-formati-per-sostituire-gli-scioperanti/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Un piano di cui nessuno parla</a>, che ha poche giustificazioni, come <strong>tante cessioni di rami d’azienda</strong>: operazioni che passano sotto silenzio e che penalizzano la dignità di lavoratrici e lavoratori. A breve, se nessuno interverrà, si aprirà per noi una fase di incertezza non casuale ma voluta da una classe dirigente che certo non si pone problemi di tutela delle donne nel mondo del lavoro. </p>
<p>Eppure le maggiori testate giornalistiche, tra cui la vostra, continuano a veicolare messaggi sul valore delle donne in carriera e mettono “sugli altari” una figura di amministratore, senza sentire la necessità di <strong>verificare cosa realmente avviene all’interno dell’azienda che la dott.ssa Goitini conduce</strong>. Dobbiamo davvero rassegnarci a una comunicazione che assume in maniera acritica slogan sull’uguaglianza di genere senza alcun ancoraggio alla realtà del mondo del lavoro? Noi continuiamo a sperare che il giornalismo italiano possa fare più e meglio di questo. </p>
<p>Se la dott.ssa Goitini ritiene di lavorare anche per le altre donne, si confronti apertamente sulla radio di questa <strong>operazione</strong>, che molti anche all’interno del sindacato giudicano <strong>incomprensibile</strong>, tenuto conto del bilancio in salute della nostra grande banca.<strong> La nostra età media è di 54 anni</strong>, la maggioranza di noi è <strong>caregiver</strong>. </p>
<p>“Sono convinta che noi donne dobbiamo imparare a sostenerci di più reciprocamente”, continua Goitini. Sono parole che vanno bene per ogni occasione, soprattutto per mettersi in vetrina. In realtà le testate giornalistiche dovrebbero registrare le vere forme di solidarietà, come per esempio le <strong>relazioni di solidarietà e supporto insperate che sono nate tra noi donne di BNL</strong>, in questo contesto di incertezza. Sarà forse vero che la dott.ssa Goitini è impegnata nell’advisory board del Women’s Forum G20 Italy e nel &#8220;predisporre iniziative concrete per aumentare il numero di donne executive nei board”. Quello che noi sappiamo è che la dott.ssa Goitini in questo momento è impegnata per portare “a terra” un’altra operazione: <strong>promuovere <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/bnl-mette-laccenture-sui-lavoratori-rischiano-in-900/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">l’espulsione di circa 900 lavoratori</a> </strong>mediante cessione di interi comparti da una grande banca come BNL, in direzione di altre società S.R.L. di nuova creazione, operazione supportata da ragioni inconsistenti o perlomeno non argomentate alle lavoratrici e ai lavoratori. </p>
<p>È facile dichiarare in un’intervista che è ora di “procedere spediti nel mettere a terra iniziative che cambino veramente la realtà”. Di sicuro la celerità nella trasformazione della realtà contraddistingue la nostra AD, ma proprio <strong>in direzione diversa da quella descritta nell’articolo</strong>. Perché i giornalisti oggi non pongono più domande scomode, perché non approfondiscono le vicende delle condizioni di lavoro in BNL, tenuto conto che è in corso una<strong> mobilitazione interna delle lavoratrici e dei lavoratori contro le decisioni della banca</strong>? </p>
<p><strong>Noi donne firmatarie non ci sentiamo tutelate da Elena Goitini</strong>, perché la nomina come AD di una grande banca si deve legare concretamente con le azioni di salvaguardia delle pari opportunità all’interno di BNL, prima ancora che in contesti come il Women’s Forum G20 Italy. Altrimenti ci dica lei, caro direttore: <strong>dov&#8217;è la coerenza? </strong></p>
<p>Le saremmo grate se volesse darci un gentile riscontro.</p>
<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<p><em><br />Lettera firmata da un gruppo di donne dipendenti BNL</em></p>
<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
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La lettera delle impiegate BNL: &#8220;La nostra AD dice al Corriere di amare l&#8217;incertezza? Ecco cosa significa&#8221;

&#8220;Non ci sentiamo tutelate dalla nostra AD Elena Goitini: parla di sostegno alle donne mentre ne espelle 244 da BNL, con un&#8217;età media di 54 anni e molte caregiver. Eppure fa passerella sul Corriere&#8221;.

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