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«Cercasi stagista con esperienza»: come non dovrebbero essere le offerte di stage
C’è chi richiede disponibilità a lavorare su turni, con lo stesso monte ore settimanale di un collega dipendente; c’è chi elenca una innumerevole quantità di competenze, senza dimenticare poi chi propone un’attività che in realtà non si rivela essere quella effettiva. Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, è incappato in offerte di stage […]
C’è chi richiede disponibilità a lavorare su turni, con lo stesso monte ore settimanale di un collega dipendente; c’è chi elenca una innumerevole quantità di competenze, senza dimenticare poi chi propone un’attività che in realtà non si rivela essere quella effettiva.
Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, è incappato in offerte di stage di questo tipo durante la ricerca di un lavoro o semplicemente navigando sul web.
Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si sarà anche chiesto se uno stagista non sia una persona che dovrebbe essere formata e non invece messa alla pari di un lavoratore «effettivo».
Abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con alcuni esperti della materia: Eleonora Voltolina, giornalista e direttore della testata web La Repubblica degli Stagisti, Paolo Citterio, presidente nazionale dell’Associazione Direttori Risorse Umane e Paolo Iacci, presidente Aidp.
Quando ci si trova di fronte a un’offerta di stage è bene fare attenzione a una serie di componenti. Innanzitutto la fonte: «non tutti i siti e annunci presentano l’autore dell’offerta. Tendenzialmente dovrebbe essere sempre riportato il nome dell’azienda o ente che cerca lo stagista, tranne nel caso delle agenzie per il lavoro, che per legge possono anche non pubblicarlo», spiega Eleonora Voltolina.
Alla larga, dunque, da inserzioni con fonti vaghe o non precisate affatto: «è fondamentale fare sempre una scrematura nel mare magnum degli annunci online». Un altro punto di attenzione sono le competenze richieste nell’annuncio: «se le skills elencate sono rispondenti al ruolo dello stagista e all’eventuale futuro lavoro che dovrebbe andare a svolgere ha un senso chiedere una capacità e una formazione ben precisa. Diverso è il caso di competenze che sono palesemente in contrasto o superiori rispetto al ruolo da ricoprire» continua la Voltolina. Un altro fattore da non sottovalutare è quello della disponibilità al lavoro: «leggo di annunci che richiedono la disponibilità a lavorare su turni o nel fine settimana. Richieste che mi sembrano esagerate se rivolte a uno stagista».
Ma non finisce qui. Per prendere uno stagista l’azienda deve soddisfare alcuni requisiti, come spiega Paolo Citterio: «le aziende non possono superare certi limiti di assunzione di stagisti in connessione alle dimensioni aziendali, ad esempio uno stagista per aziende fino a cinque lavoratori, due per quelle da sei a dodici, un numero non superiore al 10% dei lavoratori presenti in azienda per quelle con più di venti lavoratori. Vi è poi il divieto di utilizzare lo stagista in sostituzione di personale assunto con contratto a termine per picchi di lavoro, personale in ferie, malattia o Cassa integrazione».
In generale lo stagista deve, o dovrebbe, comunque avere un ruolo di supporto ad altri colleghi, ad esempio «affiancare un collega anziano sperando di capire ed integrarsi con esso, aiutare un capo che ha poco tempo per le cose più semplici, affiancare una componente della segreteria aziendale o di altri servizi generali.
Sostanzialmente poi i compiti operativi dello stagista devono rispettare gli obiettivi del progetto formativo e quindi non possono essere previsti compiti generici e ripetitivi al fine di acquisire professionalità elementari e di nessun conto».
Ma perché allora molte volte i compiti richiesti vanno ben oltre gli «obiettivi di progetto» e in maniera più ampia oltre il buon senso? Secondo Citterio «chi non ha una struttura di HR, come nella piccola impresa, non è molto abituato a considerare gli stagisti diversi dai normali lavoratori ed è per questo che spesso non fa differenze ipotizzando di assumere un lavoratore uguale agli altri che ha in azienda e ritenendo che basti una laurea od un diploma a farne un impiegato modello.
Questo è il classico delle piccole imprese, che però sono la maggioranza nel nostro paese. Laddove c’è un capo o direttore del personale avvezzo alla formazione il tutto cambia. La persona viene ascoltata, vista e valutata e si sceglie il ruolo da attribuirle, affidandola a un tutor responsabile che è di aiuto. Le cose quindi cambiano e spesso lo stage aiuta lo stagista, che serve all’impresa e viene valorizzato».
Per Iacci «uno stagista trattato male è una risorsa che si spreca, l’azienda deve capire che un comportamento non corretto non è positivo per nessuno. Quanto al tema competenze, è opportuno che anche lo stagista venga ingaggiato per quello che sa e può effettivamente fare. Chi prenderebbe ascensori la cui manutenzione è stata curata da personale non esperto?»
La speranza però è che la cura delle proprie risorse non sia solo una prassi delle grandi aziende, ma diventi la normalità ovunque. Perché sia così, forse serve ancora un bel passo in avanti. Un passo anche abbastanza grande.
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