Cercasi intangibili non cedibili

Scopriamo che cosa sono gli asset intangibili: elementi che contribuiscono ad attribuire valore alle aziende attraverso i loro prodotti e le loro politiche.

Sono in ufficio. Attorno a me
cavi di ogni dimensione, con tre tipi di spinotto differenti. Un dispenser per
nastro adesivo a forma di porcospino, pennarelli identici nel colore, ma in
versione 0.4mm, 0.5mm e 0.8mm, per non parlare delle penne. Un bel vassoio
trabocca di caramelle con e senza zucchero, fresche e fruttate, quelle fresche
più balsamiche o alla liquirizia, o mentolate. Devo continuare?

Il paradosso della scelta è un
classico first world problem, affrontato dall’economia comportamentale
e tornato alla ribalta negli ultimi anni a seguito dell’aumento spropositato di
beni e servizi che ogni giorno vengono immessi sul mercato nel disperato
tentativo di accaparrarsi gli ultimi rimasugli di fiducia dei consumatori.

I produttori hanno assunto le
sembianze di mendicanti di attenzione,
vagabondi tra mercati saturi di venditori urlanti, che speranzosi promettono di
farci risparmiare tempo, eliminare chili di troppo, fare meno fatica, essere
più adeguati a una società che, a forza di alzare l’asticella, non arriva più
nemmeno a sfiorarla.

Come giganteschi criceti intenti a far girare le ruote del consumismo, stiamo cominciando a stancarci. Non a caso andiamo alla ricerca della lentezza (vedi il proliferare di attività “slow”, come lo slow food o lo slow tourism), di sapori autentici, di materiali rispettosi dell’ambiente e della salute, di fiducia, di umanità. Più il consumatore diventa consapevole, più diventa esigente. E lì il gioco cambia.

Non è più una questione di quanta scelta troviamo sullo scaffale, ma di quanto valore riusciamo a individuare tra centinaia di opzioni. Sempre più sospettosi e sfiduciati, ci aggiriamo nel mercato con un lumicino acceso alla ricerca di elementi che abbassino il rischio percepito: un packaging più rustico, un colore meno artificiale, un bollino che promette ingredienti più sani, un volto che ispiri fiducia.

In poche parole: asset intangibili.

Il valore dell’intangibile

Non è un caso se a oggi quasi il 90% della componente totale del mercato
azionario delle S&P 500 sia costituita da intangibles. Non
acquistiamo più ciò che è strettamente funzionale al soddisfacimento di un
bisogno, ma andiamo alla ricerca di significati. Mi piace dire
che acquistiamo stati d’animo, proiezioni visionarie di noi stessi, balsami per
le nostre ferite interiori, appagamenti più o meno momentanei. Se è questo ciò
che vogliamo, è questo ciò che le aziende si devono sforzare di individuare e
vendere.

Qui andiamo al punto nodale di tutto: come facciamo a individuare e rendere proficuo un intangible?

Partiamo da un dato di fatto: se manca sostanza nel prodotto e mancano i
valori in azienda, possiamo evitare di parlare di “intangibile”. Al di là di
ovvie questioni etiche e deontologiche, i consumatori non sono bambolotti
decerebrati. Anzi.

Per quanto il processo d’acquisto sia in gran parte irrazionale, il ciclo di vita di un prodotto scarso è sempre più breve, proporzionalmente alla quantità di informazioni (recensioni, commenti, passaparola) che in pochi istanti grazie al web può generare un tam-tam mondiale.

Al contrario, che cosa dire di un’azienda che ha una storia da raccontare,
un valore da tramandare? Il racconto di un prodotto nato per gioco e diventato
un best seller, quella di un piccolo forno che diventa un’industria preservando
la sua identità (Matilde Vicenzi), o quella di 5.126 tentativi a vuoto e poi il
successo planetario (Dyson), o di 17 regole auree per relazionarsi con i
dipendenti messe nero su bianco da Ferrero, che dopo quarant’anni dalla loro
stesura danno ancora lustro all’azienda?

C’è dell’intangibile qui. Ma di quello prezioso, che chiamo intangible
non cedibile
, impossibile da rivendere come un qualsiasi marchio o
brevetto e non acquistabile dai competitor con versamenti milionari. È chiara
la preziosità del “non cedibile”? È chiaro quanto sia determinante curarlo come
un fragile germoglio, consapevoli che diventerà un tralcio di vite e – perché
no – un intero vitigno che produrrà vino per decenni?

Questo è un approccio dalla logica schiacciante, ma che paradossalmente richiede un cambio di mentalità per l’imprenditore e per il manager. Si tratta di capire che il budget marketing va allocato con criterio non solo sul breve, ma anche su attività che portano risultati di medio-lungo periodo, disincagliandosi dalla finta sicurezza degli obiettivi semestrali, perché fare impresa significa accettare il rischio.

Costruire e misurare l’intangibile

Si glissa sul tema perché del resto è
difficile misurare un intangibile
. È complesso rendere conto attraverso la
mera matematica che un buon lavoro sul percepito, sull’employer branding,
sull’ottimizzazione dei processi, ha portato risultati concreti. Ben più
semplice ancorarsi a metriche standard e previsionali da costruire sulla base
di certezze preventive. Ma questo non è fare impresa, bensì cucirsi addosso un
business a basso rischio – che poi tanto basso non è.

Costruire valore intangibile
comporta mettere sul tavolo budget e
coraggio
. All’improvviso si smette di lesinare sulle persone alla stregua
di gelide voci di costo, ed esse, valorizzate, iniziano a fare gioco di squadra
per l’azienda in cui sentono di fare la differenza. Ne cominciano a parlare
bene, attirando i tanto agognati “talenti”, o comunque altri individui che
condividono gli stessi valori e vogliono dare un significato alla loro vita
professionale combattendo battaglie che sentono proprie.

Nel tempo si trova la forza di mettere in discussione ciò che è stato fatto
in nome dell’abbiamo-sempre-fatto-così,
e tutto d’un tratto le cose funzionano nel vero senso della parola. Non si
naviga a vista, ma si cesella una mappa ben dettagliata con cui fare scelte
ponderate, ben consci che un passo falso fa parte del gioco. A tutti – management
in primis – è chiara l’identità, la visione, il percorso. Sono finiti i tempi
del divide et impera, perché l’informazione stessa, oro della nostra
epoca, rende impossibile separare davvero le persone.

Ed è proprio di informazione che sono fatti gli intangibles. Non solo dati, ma anche opinioni, pensieri, percezioni, recensioni, autorevolezza. Elementi che se polarizzati in negativo sono catastrofici, ma quando sono positivi trasformano le aziende in brand, le persone in testimonial, i prodotti in esperienze, i momenti di acquisto in piacevoli ricordi. Non è più un mercificare beni e servizi, ma un generare stati di benessere.

Le prove del fatto che questo business funziona ed è sostenibile stanno nella nostra stessa biologia. Il nostro cervello è programmato per rifuggire le esperienze negative e cercare l’appagamento. Voi rinuncereste mai a qualcosa che vi fa stare bene?

Photo by Samuel Zeller on Unsplash

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