Al di là dei numeri, che raccontano solo l’entità del fenomeno, sarebbe interessante capire perché tanti lavoratori danno le dimissioni. Purtroppo la rilevazione del ministero non si addentra nell’analisi delle motivazioni alla base della Great Resignation italiana.
Da un sondaggio di Fior di Risorse a cui hanno risposto più di 1.300 professionisti emerge che tre lavoratori su quattro hanno cambiato lavoro anche più volte negli ultimi dieci anni. Nello stesso sondaggio il 69,9% segnala di considerare (il 54,9%) o di prevedere (circa un sesto dei rispondenti) un cambio di occupazione. Tra le motivazioni spiccano la scarsa valorizzazione personale e la mancanza di equilibrio tra lavoro e vita privata, insieme a quelle economiche.
D’altra parte, anche i dati Eurostat sembrano confermare che le motivazioni che spingono a una scelta così drastica vadano ricercate nelle dinamiche interne al mercato: il 68,9% di chi ha lasciato il posto di lavoro nel terzo trimestre del 2022 lo ha fatto proprio per questo tipo di ragioni; una percentuale che sale all’89,9% per l’Italia, la più alta di tutta l’Ue.
Una ricerca del Politecnico di Milano pubblicata l’anno scorso rivela che tra i motivi principali che portano alle dimissioni per un lavoratore su quattro c’è anche l’esigenza di una maggiore salute fisica o mentale (24%).
“L’aumento delle dimissioni – spiega Tania Scacchetti della CGIL – può avere spiegazioni molto differenti: da un lato può essere legato alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più agile; dall’altro però, soprattutto per chi non ha già un altro lavoro verso il quale transitare, potrebbe essere legato a una crescita del malessere dovuta anche a uno scarso coinvolgimento e a una scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese”.
Occorrerebbe capire di quanto incide ciascuna delle due spiegazioni: “Questo dato non è chiarissimo nel nostro Paese. Il calo delle dimissioni negli ultimi tre mesi dell’anno potrebbe rispecchiare una congiuntura economica un po’ più negativa e un mercato meno attrattivo”.