È marchigiano il porto più dipinto d’Italia

Civitanova Marche: un lungomare sud, deputato all’andirivieni estivo e una parte a nord, con una vocazione più urbana; tra i due, a fare da cerniera, la zona portuale con i suoi lunghi muri grigi e gli anonimi cantieri navali. Nel 2009 grazie all’urban artist indipendente Giulio Vesprini succede qualcosa: nasce il progetto Vedo a Colori e […]

Civitanova Marche: un lungomare sud, deputato all’andirivieni estivo e una parte a nord, con una vocazione più urbana; tra i due, a fare da cerniera, la zona portuale con i suoi lunghi muri grigi e gli anonimi cantieri navali.

Nel 2009 grazie all’urban artist indipendente Giulio Vesprini succede qualcosa: nasce il progetto Vedo a Colori e l’area inizia a trasformarsi. I toni cupi del cemento si rivestono di pennellate di colore che donano nuova energia al luogo, fino ad incarnare oggi una galleria a cielo aperto costituita da oltre duemila metri quadri di murales.

Incontro Giulio in un assolato sabato pomeriggio che non può che amplificare la bellezza dei disegni e la saturazione dei colori. Mi spiega subito che il progetto viene alla luce con lo scopo di restituire alla città il porto, parte essenziale del suo vivere il mare e che si caratterizza come un’iniziativa dove convivono tratti internazionali e tratti locali. Gli artisti invitati, a prescindere dalla loro anima cosmopolita, sono esponenti dell’arte urbana marchigiana o comunque sono legati al territorio in vario modo (parenti, amici o sentimenti).  Hanno a disposizione più o meno gli stessi metri quadrati, ma non sono chiamati ad esprimersi su un tema definito e possono far vibrare la loro sensibilità liberamente, sulle onde dell’ispirazione che discende dalle atmosfere marinare. Giulio Vesprini, che da quasi dieci anni cura il progetto, pone loro un unico vincolo: dar vita ad un atto narrativo collettivo e far sì che ogni performer prosegua il disegno dell’altro sulla porzione di muro adiacente. L’idea si accresce con step che si succedono nel tempo e, dalla prima edizione ad oggi, vede avvicendarsi quasi cento artisti (Cheko’s Art, Opiemme, Federico Crisa, Andrea Casciu, Daniele Geniale, GodsinLove, Nemo’s, Nulo, Bibbito, AleSenso, Millo, BioDpi, Pattern Nostrum, Daniele Tozzi).

 

Verso una marchigianità meno individualista

Le finestre temporali in cui si lavora durano anche due o tre mesi consecutivi ogni anno; ad ogni weekend, un nuovo gruppo di tre o quattro artisti si incontra per dipingere insieme, preparare i colori e confrontarsi sui rispettivi bozzetti. Vedo a colori interrompe l’individualismo del singolo e la chiusura caratteristica del marchigiano per far nascere una prolifica rete di relazioni, che a sua volta finisce per coinvolgere anche il contesto circostante: pescatori, ristoratori (che spesso sfamano gli artisti) e gente comune.

Giulio mi racconta che il progetto presenta punti di rottura molto forti: è un’opera corale, è scaturita dal basso ed è un autoproduzione che non è scesa a compromessi o, come dice lui, non ha abbracciato “nessun colore” politico. “Siamo liberi”, mi fa capire, e questo lo differenzia dai Festival di settore dove la politica entra perché dà soldi. Nel 2014 ottiene il patrocinio non oneroso del Comune di Civitanova Marche che riconosce il valore culturale del progetto; seguono il patrocinio del GAC Marche sud (Gruppo di Azione Costiera) e della Regione Marche, ma continua ancora oggi a non percepire denaro pubblico. Vince nel 2014 un bando europeo per la riqualifica di aree portuali e attività legate alla pesca e usa i fondi per finanziare l’edizione 2015. Attualmente ricorre al crowdfunding e all’aiuto di privati e di sponsor tecnici afferenti al settore dei colori.

 

Con la Street Art gli immobili valgono di più

Scegliere la Street Art come mezzo espressivo di questo progetto non è stata un’opzione fortuita perché, oltre ad essere un tema consono all’ideatore, ha la peculiarità di non alterare spazialmente le aree su cui agisce. Che cosa s’intende per Street Art? Mi spiega che la principale distinzione da tenere a mente è tra graffiti e murales, per i primi si utilizzano gli spray, per gli altri pennelli e rulli. Negli anni, la percezione di quest’arte da parte della collettività è molto cambiata; reputata un tempo come un atto vandalico da condannare e reprimere (opera di writer, artisti e studenti) perché imbrattava spazi pubblici e privati, oggi viene indicata come strumento su cui puntare per rinnovare le città e alleviare le scomode situazioni delle periferie. Al momento non si parla più solo di questioni estetiche e sociali e si inizia a stimare che un murale possa accrescere il valore dell’immobile su cui è stato dipinto fino al 20%.

L’uso di tempere brillanti per rigenerare le architetture della quotidianità è un segno potente di come l’arte possa penetrare nell’ambito sociale e convivere con esso. Muri e manufatti, grazie a texture, disegni e astrazioni grafiche, si vestono di una nuova pelle. Il colore, fissando l’intonaco industriale preesistente senza alterarne la morfologia, catalizza sulle pareti effetti inediti. Gli involucri degli edifici acquistano allora una patina che rappresenta l’atto volitivo dell’artista di esprimere la memoria storica della contemporaneità.

“Fare Street Art – puntualizza Giulio – non è sinonimo di riqualificazione urbana, bisogna saper distinguere, perché qualcuno la usa come specchietto per le allodole per andare a coprire altre situazioni. Non si può pensare di aver migliorato un’area urbana commissionando un murale e lasciando intorno tutto così com’è, per esempio sporcizia e assenza di servizi. Il risanamento, nel caso del porto di Civitanova, è stato coadiuvato dal fatto che l’Amministrazione comunale è intervenuta con piccoli restyling: un sistema d’illuminazione nuovo di zecca, l’inserimento di panchine e cestini per i rifiuti e la creazione di una pista ciclopedonale. L’area portuale si è trasformata in un luogo da vivere ed amare che ha incontrato il plauso e la collaborazione degli stessi pescatori”.

Vedo a colori: il porto più dipinto d’Italia

L’idea di realizzare il porto più dipinto d’Italia ha come precedenti alcune opere che hanno visto luce nel porto di Ancona nel 2008 con il Festival PopUp: i silos dipinti da Blu e da Ericaeilcane (che probabilmente verranno smantellati nel 2019), i pilastri del raccordo che conduce al porto, le pareti ormai sbiadite del Mercato ittico e del Padiglione dei Retari. Le Marche sono state una delle prime regioni italiane a riempirsi di colore grazie alla Street Art e ne vantano vari esempi: il molo di levante a Pesaro, la passeggiata del Lisippo a Fano o la facciata Universe della stazione ferroviaria della patria del Summer Jamboree, Senigallia.

Sono proprio i primi murales realizzati a porre una domanda cruciale anche per il porto di Civitanova: quanto dura la vita di un murale? Giulio Vesprini è appassionato da sempre a questa domanda e mi dice che i murales non sono eterni, la prima forma di rispetto e di conservazione dell’arte in essi racchiusa è imparare a fotografarli per creare archivi digitali e contemporaneamente stampare le foto per serbarne il ricordo e la vividezza dei colori. Un’altra cosa che si può fare è spolverare il muro e usare delle piccole accortezze come l’applicazione di elementi che aiutino la conservazione, ma pensare di restaurarli quando iniziano a scrostarsi significherebbe mentire perché l’intervento sarebbe fatto da mani diverse da quelle dell’artista creatore. Staccare le opere e trasferirle in un museo sarebbe poi una vera e propria forma di violenza, contraria al carattere temporaneo di questa espressione artistica. Purtroppo, per quanto sappiamo, non esiste ancora una banca dati globale dei murales, ma il sogno di un data base diffuso potrebbe non essere lontano.

 

 

Intanto Vedo a colori è annoverato tra i quattordici punti di interesse di Civitanova Marche e sono state prodotte già tante testimonianze: cataloghi, documentari, interviste. Il progetto di alcune scuole ha prodotto anche un codice QR che inquadrato all’inizio del percorso sul molo fa entrare il viaggiatore in un video racconto e amplifica l’esperienza della passeggiata al porto.
Mi piace pensare che José Clemente Orozco, uno dei massimi esponenti del muralismo messicano, se avesse visto il porto dipinto di Civitanova forse si sarebbe espresso così: “…opere murali costantemente esposte al pubblico, pittura che non si può comprare né vendere, che parla a ogni passante, ora con un linguaggio chiaro e ora oscuro, che a volte può apparire anche duro, insolente, offensivo persino; ma sempre degno, per la sua autenticità, della stessa dignità della grande pittura religiosa d’altri tempi”. Non vi è venuta voglia di andare a vederli?

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