Nello stabilimento simbolo della Torino operaia si parla di riallocazione degli spazi, dopo un’emorragia di lavoratori che non sembra destinata a fermarsi: oggi sono 10.000, vent’anni fa erano il doppio. Le opinioni di Gianni Mannori della FIOM CGIL e dello storico e scrittore Marco Revelli.
Elica, cappa e spada di Damocle: “Noi operai mandati a lavorare col COVID in azienda. E ora delocalizzano”
A casa 409 operai su 560: la multinazionale tascabile marchigiana, con i conti in buona salute, delocalizza la produzione in Polonia. In esclusiva a SenzaFiltro la testimonianza di dipendenti e sindacati.
Traditi. Si sentono così i dipendenti di Elica, multinazionale nel settore delle cappe aspiranti che a partire da giugno delocalizzerà il 70% della produzione italiana in Polonia.
Si sentono così perché Francesco Casoli ha sempre parlato della grande “famiglia” Elica, mostrando orgoglioso l’anno scorso, per i primi cinquant’anni di storia dell’azienda, la foto del padre Ermanno che costruiva la sua prima cappa su una sedia. Dopo la morte prematura del fondatore nel 1978, tutto è rimasto nelle mani della moglie Gianna Pieralisi e del figlio Francesco, che negli anni ha condotto l’impresa di famiglia a diventare una multinazionale nel settore delle cappe aspiranti. Oggi ha sette stabilimenti tra Italia, Polonia, Messico, India e Cina, con oltre 3.800 dipendenti e 5.000 modelli di cappe aspiranti in catalogo.
Lo stile comunicativo dell’ex senatore, eletto nel 2006 nelle fila di Forza Italia, è sempre stato molto informale e colloquiale, a definire famiglia la sua azienda, a parlare di territorio e radici. Parole che, di fronte ad alcune criticità legate alla pandemia, sembra avere completamente dimenticato.
Nessuno si aspettava questa decisione dall’ultimo esponente del capitalismo famigliare marchigiano, titolare di un’azienda in attivo, seppur un po’ rallentata dalla pandemia, che da dodici anni a questa parte ha già usufruito di tagli al personale e ammortizzatori sociali in occasione di momenti critici del flusso produttivo.
A casa 409 operai su 560: Elica delocalizza la produzione di cappe aspiranti
All’ingresso della città di Fabriano, fino a non molti anni fa capitale del “bianco” italiano con il distretto degli elettrodomestici, legato al nome della famiglia Merloni, c’è un avveniristico ponte in metallo, che collega il parcheggio dei dipendenti, al quartier generale di Elica, dall’altro lato della strada. L’azienda sino al 10 settembre 2014 si trovava in via Dante 288; da allora come riconoscimento al suo fondatore si trova in via Ermanno Casoli 2.
Elica produce nello stabilimento di Cerreto D’Esi (AN), destinato alla chiusura, con ripercussioni su un indotto di piccole imprese terziste che forniscono semilavorati e un piano aspirante innovativo di alta gamma, dal design pulito e minimalista, intitolato al geniale inventore Nikola Tesla, che nel 2020 ha raggiunto il 9% del fatturato totale del gruppo.
Sono previsti 409 esuberi su 560 operai. Le cappe non prenderanno più forma nello stabilimento marchigiano di Cerreto D’Esi, che sarà chiuso; il resto della produzione sarà riorganizzata a Mergo (AN). Il sogno di quel padre che nel 1971 diede vita alla scintilla, che poi il figlio ha trasformato grazie al suo talento in una multinazionale, ormai sembra una foto consunta, dai contorni resi sempre più sbiaditi dal tempo.
Elica, un dipendente: “Ma quale famiglia. Al lavoro col COVID per salvare i dati del semestrale”
“Mi sono trasferita qua 35 anni fa, dalla Campania, per lavorare. Qua era un’isola felice. Anche a Natale ci hanno detto che Cerreto era uno stabilimento di punta per il gruppo: ci aspettavamo qualche sacrificio, ma non tutto questo”, dice una dipendente di Elica di fronte ai cancelli della fabbrica di Cerreto.
La differenza tra un operaio di Cerreto D’Esi e uno di Jelcz-Laskowice, in Polonia, sta tutta nel costo orario del lavoro: 28 euro lordi in Italia, poco più di 10 euro in Polonia, secondo i dati Eurostat. Conti alla mano, gli stipendi annuali dei 409 dipendenti di cui è previsto il taglio in Italia costerebbero circa 23 milioni di euro lordi, in Polonia 8 milioni e mezzo di euro.
Spiega un dipendente del gruppo Elica nelle Marche, che ha chiesto di rimanere anonimo: “Quando tutti quanti se ne stavano a casa, perché soprattutto all’inizio non si sapeva che cosa succedesse con l’impatto della pandemia, c’è stato un caso di COVID-19 in azienda, ma per chiudere i dati semestrali hanno tenuto aperto. Gli operai hanno rischiato. Col cavolo che si è visto Casoli, l’amministratore delegato, il direttore operativo: ci hanno mandato tutti al lavoro. Dei vertici, nessuno si è fatto vedere. È gravissimo questo, per salvare i dati del semestrale”.
Il dipendente parla dei ritmi di lavoro accelerati nei mesi prima della crisi: “Prima della delocalizzazione hanno iniziato a fare scorta da mesi dei prodotti Tesla, che sono tra quelli che verranno spostati in Polonia. A Fabriano nel periodo di Pasqua hanno chiuso il ponte di fronte agli uffici del quartier generale per evitare che gli operai andassero lì a mettere le bandiere di protesta, da una parte all’altra della strada; hanno chiuso il cancello. Casoli parla di famiglia, dei cinquant’anni di storia, poi sono questi i risultati”.
Dalla famiglia alla finanza. E l’azienda taglia sul personale
Elica è solo la punta dell’iceberg, in una regione del Centro che scivola sempre più al ribasso nei principali indici economici, come indicato dal rapporto Svimez. Dal 2008 al 2020 le Marche hanno perso il 4% degli occupati e circa il 18% del prodotto interno lordo. La disoccupazione giovanile raggiunge ormai il 28%; era solo il 14 per cento nel 2008.
I tagli al personale sono iniziati già nel 2008, con l’acquisizione di Turboair. Negli ultimi dodici anni si sono succedute cassa integrazione e ricorso agli ammortizzatori sociali, ma la scelta di oggi si inserisce in un contesto, quello marchigiano, che dal 2008 ha visto progressivamente scomparire posti di lavoro per il forte ridimensionamento del settore manifatturiero. Caso particolare è la débâcle del settore del bianco, di cui Elica resta l’ultimo caposaldo dopo la cessione della Indesit della famiglia Merloni alla Whirlpool, che di Elica è partner strategico, con una partecipazione azionaria acquisita nel 2007 pari al 12% che aveva fatto volare il titolo, quotato in borsa dal 2006.
Nel luglio 2019 le azioni sono state vendute al fondo TIP (Tamburi Investment Partners), banca d’affari milanese che ne detiene il 20%, con un ulteriore aumento del 5% avvenuto di recente. Nel CDA di Elica siede anche Giovanni Tamburi, presidente del fondo.
Giampiero Santoni, FIM-CISL: “Elica in linea con il metodo Whirlpool”
Giampiero Santoni, segretario provinciale FIM-CISL di Ancona, legge in questa scelta un tirare i remi in barca da parte di Casoli, per lasciare spazio alla finanza: “Oggi viene meno la proprietà, cioè Casoli: si sta andando verso la finanza pura, con l’entrata del fondo Tamburi che sta prendendo sempre più potere. Chiaramente si guarda più al risultato economico che alla responsabilità sociale verso un territorio”.
“Oggi forse c’è qualcun altro che decide per Casoli, perché è entrato il fondo Tamburi, che dal 15% delle quote ha acquisito un ulteriore 5%. Probabilmente le logiche sono quelle di Tamburi, oppure Casoli ha cambiato opinione. Con questi numeri una multinazionale non sta in piedi, è destinata a esportare le produzioni all’estero, dove ci sono costi minori di produzione. Ci attendiamo un grosso calo di produzione nel settore degli elettrodomestici, quando finirà questa richiesta su tutto il territorio EMEA (Europa, Middle East, Africa, N.d.R.).”
“Siamo molto preoccupati per l’indotto: sicuramente altre aziende saranno costrette a delocalizzare all’estero, perché non si può pensare di fare il terzista in Italia e poi esportare all’estero. Sono già stati effettuati negli anni tagli al personale; Elica è in linea con il metodo Whirlpool, sta prendendo esempio dal gruppo che continua a ridurre le capacità produttive nei territori italiani”.
L’ex segretario CGIL Guglielmo Epifani ritiene Elica un caso emblematico, come ha scritto sul suo profilo social: “Una multinazionale tascabile con un buon nome e un buon mercato che non vive un momento di floridezza ma neanche di crisi irreversibile e che intende chiudere un sito produttivo lì dove è nata per delocalizzare in Polonia. Almeno 400 lavoratori a rischio, un rapporto con il proprio territorio che si può compromettere e un futuro incerto. Questo è un esempio classico di come non vanno risolti i problemi che ci sono. La regione, il governo, le associazioni d’impresa, la proprietà, hanno il dovere e l’interesse di trovare altre strade che non compromettano l’ occupazione e salvaguardino una comunità già attraversata da tanti problemi”.
Elica, se i numeri non giustificano la fuga
La domanda di cappe aspiranti in Europa è scesa del 7% a causa della pandemia. Dal 2 novembre al 12 febbraio i dipendenti a Cerreto hanno fatto anche i turni di notte, con il ricorso a contratti interinali, per far fronte alle richieste di produzione: tale è stato il successo per i piani cottura d’avanguardia Tesla, la cui produzione è raddoppiata in un anno, superando le 80.000 unità.
I numeri della multinazionale non giustificano una scelta così drastica, annunciata così: “Questa dolorosa scelta servirà a salvaguardare la strategicità e la centralità dei siti di Fabriano e di Mergo e consentirà di mantenere il cuore e la testa del gruppo nelle Marche”.
Nello stesso comunicato si specifica come dal 2016 ad oggi nel settore Cooking sono stati investiti 45 milioni di euro, con una perdita complessiva di 21 milioni e mezzo di euro in cinque anni. L’impresa ha subito un rallentamento della crescita, con una riduzione del 6,3% del margine operativo lordo nel 2020 a 42,3 milioni di euro, rispetto al 2019. Il margine operativo lordo risulta in notevole crescita dai 29 milioni del 2018. I ricavi del 2020 sono pari a 452 milioni di euro, in riduzione del 5,7%, rispetto ai 479 milioni dell’anno prima.
Chiudi tutto e scappa. Ma la multinazionale tascabile non è in crisi
Elica: the story behind a global design success è il titolo del webinar online su Facebook, programmato lo scorso lunedì 12 aprile dalle 19 alle 20 negli Usa, dal distributore di brand del lusso degli elettrodomestici Distinctive appliance distributing Usa. Tra i relatori figurava Fabrizio Crisà, direttore del centro di design Elica. Il design è stato uno degli elementi chiave nel successo dei prodotti, pluripremiati nei diversi concorsi di design internazionali.
Mente e cuore aperti al mondo, radici solide nel territorio marchigiano, l’Elica di Francesco Casoli è uno degli ultimi esempi di impresa a gestione famigliare, diventata multinazionale, che per decenni hanno fatto la fortuna delle Marche; ma ora anche questa certezza traballa. Si consuma in questa piccola regione d’Italia il paradosso di una multinazionale in buona salute che taglia quasi i due terzi della produzione in Italia e delocalizza in Polonia, dove il costo del lavoro è un terzo di quello italiano.
Qualcuno ricorda ancora l’incendio che nel 1995 distrusse lo stabilimento Elica di Fabriano, rinato dalle proprie ceneri con quella che è stata definita “operazione Fenice”, con il grande impegno sia di Casoli che dell’allora direttore generale Urbano Urbani e degli stessi lavoratori. Un piccolo miracolo di appartenenza al territorio che ora è un segno di altri tempi, forse spazzati via per sempre.
Photo credits: collettiva.it
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