Una famiglia raccapricciante, una figlia che ce l’ha fatta. La storia che si cela dietro la facciata di una professionista in carriera è un romanzo, che abbiamo recensito: “La ragazza A”, di Abigail Dean.
Essere o non essere il proprio lavoro? Il Giappone risponde con un romanzo
Dietro la figura di una commessa di minimarket si cela un personaggio dai tratti estremi che mette in scacco diversi assunti sociali. La nostra recensione de “La ragazza del convenience store”, di Murata Sayaka.
La ragazza del convenience store di Murata Sayaka, pubblicato in italiano da Edizioni E/O, è un romanzo giapponese che ha nel lavoro un elemento portante della propria trama.
La ragazza del convenience store, la storia normale di un personaggio estremo
Keiko Furukura è una donna di trentasei anni, da diciotto commessa in un kombini: un tipo di minimarket molto diffuso in Giappone e aperto 24 ore su 24. Si tratta di un impiego con contratto a tempo determinato, part-time, a turni, pagato a ore e in cui sono previsti due giorni di riposo settimanale. Per le sue caratteristiche d’impegno e retribuzione è adatto, ricercato e svolto soprattutto da studenti e giovani che, portato a termine il percorso scolastico, preferiscono arrangiarsi con occupazioni precarie (una categoria chiamata freeter in Giappone).
Per la protagonista, però, il rapporto con questo lavoro sfugge da ogni logica e in questo risiede l’originalità del romanzo. Infatti Keiko, fin da bambina, presenta tratti di personalità anomali: le sue reazioni agli episodi infantili fra coetanei, a scuola o in momenti di gioco, sono imprevedibili e spiazzanti. Incapace di empatia e compassione, il suo pensiero è totalmente sganciato dalla componente emotiva (che pare non possedere affatto) ed è orientato soltanto al senso pratico, mirato all’ottenimento più rapido di un dato scopo, incurante dell’ammissibilità del modo scelto per arrivarci.
Tutto ciò sarà fonte di grande imbarazzo per la sua famiglia e Furukura sceglierà di esporsi il meno possibile per limitare l’impatto straniante delle sue reazioni sugli altri, trascorrendo gli anni della scuola senza alcun amico.
Una protagonista ossessiva che esiste per il suo lavoro
Ed eccoci tornare al tema del lavoro e alla sua particolare coniugazione in questo libro.
Per Keiko essere commessa al kombini non è un impiego, ma diventa immediatamente la sua identità di essere umano. Fin dalla fase di training e formazione, prima di entrare in servizio, resta estasiata dal dover apprendere e applicare regole di comportamento e condotta: dopo non aver mai saputo come comportarsi, la liberazione è avere trovato qualcuno che le dica cosa e come fare, e metterlo in pratica.
Il rapporto con il lavoro diventa da subito viscerale in modo spontaneo: è come se Furukura assumesse la medesima sostanza, fisica e mentale, del suo market. In quell’“acquario trasparente”, come lo definisce lei stessa, Keiko fa della propria esistenza una funzione: commessa modello. In questo contesto si sente pienamente integrata, utile, attiva, in armonia, perché ogni azione e reazione è prevista e prevedibile.
L’identificazione totale con il suo lavoro, però, risulta ossessiva: Keiko giudica i suoi colleghi in base al loro attaccamento all’impiego, si nutre esclusivamente di alimenti provenienti dal kombini, calibra i ritmi delle sue giornate con l’unico scopo di essere più in forma possibile per lo svolgimento delle proprie mansioni; addirittura per addormentarsi immagina il market e spesso lo sogna.
Anche il rapporto con il mondo circostante è figlio dello sguardo funzionale all’occupazione: passeggiate mirate nei dintorni del kombini in cerca di cambiamenti o nuove attività e la consultazione delle previsioni del tempo sono mezzi per prevedere e programmare vendite e ordini di merce.
Una scrittura misurata che mette in crisi la “normalità” sociale
Murata Sayaka dosa la sua scrittura in maniera sapientemente piana, essenziale e chirurgica, adattandola alla personalità della sua protagonista che è la voce narrante del romanzo.
L’autrice riesce a cucire il pensiero di un personaggio che ha poco di umano, i cui ragionamenti spesso sono tanto immediati quanto alienanti, infondendo nel lettore un senso di disturbo, a volte di incredulità. Contemporaneamente, però, il modo di pensare di Keiko è reso in modo così coerente e senza fronzoli da assorbire chi legge, facendolo, a volte, solidarizzare con alcuni suoi passaggi. Volute sono anche alcune ripetizioni che rendono i limiti dei personaggi, ma rafforzano anche i concetti base che reggono il libro.
Infatti un cardine fondamentale di tutto il romanzo, portato all’attenzione non solo da Keiko ma da un altro personaggio che entrerà gradualmente nella trama, riguarda le aspettative della società sulle vite dei singoli individui affinché possano essere considerati “normali”. Per Furukura la violenza e l’invadenza dell’altrui giudizio, che si sente legittimato a esprimersi su di lei per la mancanza di un impiego fisso e di una relazione, è qualcosa con cui confrontarsi da sempre, un peso, un’ingerenza difficile da sopportare che limita e condiziona i suoi già scarsi rapporti con gli altri.
Dov’è la chiave, nel restare fedeli a se stessi subendo l’emarginazione e sentendosi chiedere giustificazioni, o nell’aderenza, magari forzata o simulata, agli usuali schemi sociali? Qui risiede il vero nodo del libro, che sarà approfondito nel suo sviluppo.
Perché leggere La ragazza del convenience store
La ragazza del convenience store è un interessante spaccato di alcuni usi e costumi giapponesi: principalmente il cibo, la cui varietà è ben rappresentata nelle merci distribuite dal kombini; poi lo è anche la casa, con il suo arredamento tipico ed essenziale. Molto utile il glossario a fine testo che spiega riccamente tutti i vocaboli giapponesi presenti.
Inoltre, come si diceva, è un interessante ritratto della società giapponese, fatta di schemi rituali, stereotipi, aspettative a cui spesso viene persino auspicato sia immolata la propria individualità. Interessante, poi, la parte del corso di formazione per commessǝ e l’espletamento del lavoro: la ripetizione di frasi rituali, il contegno e l’ossequio richiesti verso il cliente con modalità molto diverse da quelle a cui siamo abituati in Occidente.
Il personaggio di Keiko, poi, è più unico che singolare. Spesso lascia basiti, eppure nel suo disagio abitano domande scomode che riguardano la dinamica collettiva dei rapporti umani con i limiti e le ipocrisie dell’omologazione, vere barriere nel capire, aiutare e supportare una persona, anche cara.
Il libro, poi, incoraggia riflessioni sulle questioni di genere (più che mai attuali nella nostra contemporaneità): infatti nei discorsi fra i personaggi risultano ancora ben radicati, e con una naturalezza disarmante, gli stereotipi tradizionali verso i due sessi. Insomma: la storia di Keiko, seppur nella sua particolarità così estrema, è utile per ripensare a molto di ciò che battezziamo come giusto e auspicabile, sia per la persona che per la collettività.
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