Gli insostenibili paradossi del sostegno scolastico

Le contraddizioni del sostegno scolastico: insegnanti carenti o impreparati minacciano l’inclusione degli studenti disabili e ne compromettono l’educazione.

È sotto gli occhi di tutti. Bambini e adolescenti, in particolare con disabilità e fragilità, sono stati i grandi dimenticati durante la pandemia, e continuano a esserlo, confermando quanto la parola inclusione sia sempre più una coccarda da sbandierare su carta senza poi perseguirla nella realtà: terapie sospese o dimezzate, servizi che latitano, didattica a distanza spesso assente o comunque non adatta alla maggior parte di coloro che convivono con problematiche complesse.

Ancora una volta il COVID-19 funge da cartina tornasole e lente d’ingrandimento per problematiche già esistenti, esasperandole a livelli estremi. Immergendoci in questo ambito puntiamo i riflettori su un segmento specifico che subisce la cristallizzazione di paradossi annosi: parliamo del sostegno scolastico. E quante volte proprio per le questioni riguardanti l’ambito abbiamo sentito pronunciare l’imbarazzante frase: “Che cosa vuoi farci: nella scuola italiana funziona così!”

Con SenzaFiltro abbiamo voluto scoperchiare le maggiori contraddizioni del sistema e gli effetti deleteri che ne derivano, dando voce a chi li subisce da ben prima del coronavirus. Settembre 2020 risulta peraltro incandescente dal punto di vista dei disagi vissuti da numerosissimi studenti con disabilità, sprovvisti di insegnanti di sostegno a scuola già iniziata. L’Italia stessa è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non aver fornito un’adeguata assistenza scolastica a una minore con disturbo dello spettro autistico.

Stigmatizzazioni e difficile accesso alla specializzazione: così il sostegno diventa insostenibile, per chi lo sceglie

In Italia la figura dell’insegnante di sostegno è regolamentata dalla Legge 5 febbraio 1992, n.104, e dovrebbe essere un docente specializzato assegnato alla classe dell’alunno con disabilità per promuovere il processo di integrazione.

I fatti ci gettano però addosso uno scollamento sferzante tra i diritti da tutelare e la realtà con cui ci si scontra. Una dinamica che lede non solo gli studenti con certificazione, ma anche coloro che hanno scelto di lavorare nel sostegno per autentica motivazione e non come ripiego. Questo il caso di Sonia Falchetti, insegnante in una scuola primaria del mantovano, che svolge il suo lavoro con passione e forte determinazione. “Ho studiato giurisprudenza e iniziato il mio percorso per fare l’avvocato. Poi è arrivata quella che definisco una ‘vocazione’, e l’ho voluta seguire nella maniera più seria possibile: studiando e specializzandomi”.

In Italia gli insegnanti di sostegno con specializzazione sono una minoranza, e il motivo non è sempre da imputare a una tendenza all’improvvisazione. La specializzazione risulta infatti di per sé costosa e in qualche maniera molto filtrante, come ci rivela la nostra intervistata: “I costi oscillano dai 2.700 ai 3.700 euro e variano da regione a regione. Prima di accedere c’è una selezione, che io ho pagato 100 euro. La frequenza è infatti a numero chiuso: ho incontrato insegnanti che hanno provato più volte a superare le prove selettive d’ingresso, ma senza riuscirci”. 

“Il percorso dura circa un anno e comprende lezioni teoriche e laboratori con l’obbligo di frequenza per l’80% delle ore, oltre a un tirocinio di 150 ore e la preparazione di un elaborato per l’esame finale. Quando abbiamo iniziato ci hanno detto di salutare famiglia e tutto il resto, perché saremmo stati totalmente assorbiti dalla formazione. Se capitano una malattia o una gravidanza risulta molto difficile proseguire.”

Ma sono i prerequisiti per accedere alla scuola di specializzazione che gettano il primo grande pilastro del paradosso. Da un lato si assegnano spesso ad alunni e alunne disabili persone improvvisate e persino scarsamente motivate, dall’altro esistono paletti rigidi per accedere a una formazione che dovrebbe essere obbligatoria e ad appannaggio di tutti. “Alla specializzazione per la scuola primaria puoi accedere solo se hai una laurea in scienze della formazione primaria o un diploma magistrale ottenuto entro il 2002, entrambi titoli abilitanti per l’insegnamento”, spiega Sonia Falchetti. “Sono paletti non da poco, e che non tengono conto di altri percorsi universitari affini con il risultato di escludere una grossa parte di persone”.

Chi non è specializzato va comunque a fare lo stesso lavoro di chi lo è: “Questa cosa non ha senso, considerando anche che il numero di alunni con disabilità grave e gravissima sta aumentando. Ci sono stati casi di supplenti che si sono ritirati perché non in grado, e genitori costretti a cambiare scuola per tutelare il proprio figlio: situazioni che evidenziano subito quanto l’improvvisazione crei danni. Chi s’improvvisa dovrebbe farsi un esame di coscienza: senza competenze e profonda empatia non puoi concretizzare una vera inclusione”.

Preparazioni accurate a fianco di altre, inesistenti o ai minimi sindacali, ma per assurdo tutele e stipendi sono gli stessi: “Abbiamo la copertura assicurativa base, come tutti gli altri insegnanti, ma senza tutele extra: per quelle aggiuntive ho dovuto pagare di tasca mia. Come stipendio guadagno poco più di 1.200 euro netti al mese dopo aver investito su formazione e continui aggiornamenti: una vera ingiustizia”.

Il percorso del sostegno scolastico, infine, si scontra spesso con luoghi comuni duri a morire ma decisamente comodi per chi li agisce: “Per realizzare un buon percorso d’inclusione è necessaria la partecipazione attiva di tutto il team docenti”, evidenzia Sonia Falchetti. “Non mancano però situazioni di delega nei confronti dell’insegnante di sostegno, considerato spesso un docente di serie B e identificato con un ruolo assistenzialistico. Accadono casi in cui agli insegnanti di sostegno viene proprio chiesto di uscire dalla classe con lo studente perché l’altro docente deve spiegare. L’alunno disabile deve invece far parte della comunità come tutti gli altri, altrimenti si corre il rischio di arrivare all’emarginazione”.

Insegnanti che fanno il sostegno come ripiego: mine vaganti a danno di studenti e famiglie

Mancanza di personale, orari ridotti e persino richieste da parte della scuola di tenere a casa gli alunni disabili. Le contraddizioni a livello normativo e lavorativo determinano sempre delle conseguenze, tutte tangibili e spesso inaccettabili, sulla vita delle persone. Raccontiamo due testimonianze che ci confermano come mancanza di motivazione e preparazione siano un connubio deleterio a discapito del percorso didattico e inclusivo non solo di bambini e ragazzi con disabilità, ma anche del resto del resto della classe.

La prima testimonianza proviene dal territorio mantovano. A raccontarci la sua vicenda è la mamma di un bambino con certificazione di disabilità intellettiva. “Ci è capitata una persona totalmente priva di capacità, oltre che di preparazione anche sugli aspetti più basilari. Non sapeva impostare un piano educativo individualizzato da condividere con noi, tanto da arrivare a copiarlo da Internet, come abbiamo scoperto. Quel che è peggio è che non faceva fare nulla a nostro figlio, non c’era un programma e non conosceva le metodologie: in pratica il bambino ha perso totalmente il primo anno delle elementari.”

Non c’è stato modo di intervenire? “No, purtroppo, e questo nonostante la dirigente scolastica fosse al corrente della situazione e avessimo fatto delle riunioni con la referente per l’inclusione e l’UONPIA. Persino l’ospedale pubblico di un altro territorio ci ha preparato un documento chiedendo esplicitamente un sostegno adeguato, ma niente da fare. Le abbiamo chiesto di dimettersi, ma questa persona ha continuato lo stesso a venire a scuola senza seguire le direttive concordate con l’UONPIA e le altre insegnanti. Durante l’estate noi genitori abbiamo dovuto pagare di tasca nostra un’insegnante privata per tentare di recuperare, ma tre mesi non sono bastati. Abbiamo perso tempo e soldi, ma soprattutto nostro figlio è rimasto indietro sulla didattica, con disagi anche dal punto di vista emotivo e comportamentale e tanto stress per noi”.

Un’altra testimonianza, raccolta a fine agosto, proviene dalla Toscana. A farci tastare il polso della situazione sono le parole di una madre di un ragazzino di 14 anni con disturbo dello spettro autistico: “Le improvvisazioni sul sostegno le pagano tutte i nostri ragazzi, e per l’inizio della scuola mi hanno già detto che dovrò essere contenta solo del fatto che ci sarà qualcuno!”. Una dinamica da “prendi quello che passa il convento” che innesca danni a lungo termine.

“Alla scuola dell’infanzia la sua prima maestra di sostegno non era specializzata, ma si è impegnata, e grazie al confronto ha fatto un buon lavoro. La seconda invece aveva il supporto psicologico lei: mio figlio si rifiutava di andare a scuola, quando la vedeva tremava e piangeva. Ho fatto di tutto per cambiarla. Un’altra docente ci raccontava che il bambino faceva delle cose a scuola quando invece non era vero. Dalla seconda alla quinta elementare abbiamo avuto un’insegnante specializzata: con lei nostro figlio ha imparato a leggere, scrivere e a fare semplici operazioni matematiche. Arrivati alle medie il disastro: insegnante senza esperienza, non ascoltava i consigli degli esperti. Risultato finale: mio figlio è regredito su tutto ciò che aveva imparato.”

Resta una domanda senza risposta: questa catena assurda di danni chi la risarcisce?

Photo by Adam Winger on Unsplash

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