HR e organizzazioni adulte

Degli HR abbiamo detto ogni male in questi anni: che non innovano, che sono troppo lontani dal business, che stanno troppo attaccati ai loro modellini gestionali nelle loro torri d’avorio. A questo punto dovrei fare un inciso sulle qualità e i pregi che pochi vedono in questa funzione. Invece no, da vero e fiero HR quale […]

Degli HR abbiamo detto ogni male in questi anni: che non innovano, che sono troppo lontani dal business, che stanno troppo attaccati ai loro modellini gestionali nelle loro torri d’avorio. A questo punto dovrei fare un inciso sulle qualità e i pregi che pochi vedono in questa funzione.

Invece no, da vero e fiero HR quale sono, proverò a fare un’ulteriore critica costruttiva a tutti noi.

Abbiamo detto lontananza dalla linea, dalle persone che sono sul campo. Ed in effetti uno degli adagi contemporanei HR è quello della necessità di prendersi cura delle persone.

Si tratta di una nuova ed emergente dimensione che si contrappone a quella più tradizionale di ruolo di controllo; ruolo che ha agito fieramente per tutto il ‘900.

Personalmente, però, trovo vi sia una coerenza disfunzionale fra i due modelli, cura e controllo, che presuppongono tutti e due la relazione con una controparte (employees) estremamente immatura.

Da padre, ed anche da capo nelle occasioni in cui ho gestito team, devo dire che ogni volta che ho avuto il coraggio di dare lo spazio di agire, di confrontarsi con un problema o di affrontare un disagio in buona autonomia, quello che ho osservato in effetti è semplice: crescita e saggezza.

Dove poggia lo sviluppo?

Sviluppo è una parole che risuona con forza nelle aziende, e che è ancora oggi il cuore dell’azione degli HR moderni: supportare lo sviluppo delle persone vuol dire far crescere l’azienda stessa e determinare le condizioni di permanenza della stessa nel tempo.

Il punto è: su quali presupposti si basa l’idea di sviluppo delle persone?

Quello che noto ancora è che siamo di fronte ad una relazione asimmetrica fra organizzazione e persona, in cui lo sviluppo assume una dimensione “scolastica”; intendendo qui quella scuola tradizionale che ancora immagina di dover aprire la testa dei ragazzi per cacciarvi dei concetti che saranno loro utili, presumibilmente.

Intanto vi è asimmetria nel ritenere le persone non in grado di sapere di cosa hanno bisogno per fare bene il proprio lavoro. C’è poi una asimmetria nelle forme stesse con cui le si accompagnano nelle esperienze di crescita, che sono loro somministrate come fossero dei percorsi, appunto, da genitori a figli in qualche modo.

Tutto questo ha generato a mio avviso un sistema di relazioni irrisolto fra persona e organizzazione, come quello di un adolescente con i genitori: conflittuale, rivendicativo, mai adulto.

Intendiamoci, si tratta di un bias (uso questo termine perché ancora spero questo approccio non sia totalmente cosciente) agito dal management nel suo complesso, esso stesso nutrito di modelli di leadership che variano dal più rigido modello di comando – controllo, a quello mitigato, ma sempre asimmetrico, di leader – follow.

Insomma si tratta di una retorica (dai su, qualcuno deve pur comandare!) in cui siamo stati immersi tutti, e quindi nessuno è veramente “colpevole”.

Il focus ci vuole

Detto questo, però, puntualizzare sugli HR è necessario per diverse ragioni.

Intanto perché, a differenza delle altre funzioni manageriali, ha il vantaggio di avere un punto di osservazione diretto: si occupa di “persone”, il suo scopo principale è garantire che queste facciano sempre meglio.

Si può notare che ho detto “facciano”, e non “stiano” sempre meglio. Perché uno dei punti sta proprio qui. L’evoluzione moderna degli HR, che si è emancipata da quella precedente, normativa e regolativa, si è basata sull’idea di cura. Una cura però asimmetrica, appunto, in cui la persona è un bambino da accudire: con “formazioni” sempre più divertenti (alzi la mano il manager che non si è fatto una discesa in kayak, o una sessione di orientiring in un bosco!, con convention tutti a batter mani al guru invitato per dire loro che sono speciali, e adesso con una sprizzata di digitale e community che “tutti a stare insieme a parlare ma non si capisce di che”.

Insomma, la figura HR ha indugiato tanto in questa versione tutta accudente, estemporanea, evasiva, per fare dire alle persone che in fondo “qui non si sta così male”.

Quello che si è fatto molto poco, invece, è intercettare l’adulto dentro ogni persona che compone l’organizzazione, per stimolarlo a dare senso a quello che sta facendo. Perché, con vero senso, l’orientiring diventa una metafora di apprendimento potente, le convention dei veri momenti di incontro, le community luoghi di creatività ed efficienza operativa.

Ma la ricerca di senso chiede che non si pensi alle persone come ad un target, da stimolare, abbagliare, incantare ma come ad un interlocutore che può costruire con noi la migliore organizzazione possibile.

Tutto il management oggi deve porsi domande più ficcanti su come liberare queste energie, ma è pur vero che agli HR questa domanda la dobbiamo fare per prima. Loro devono dare corso ad una stagione di ripensamento vero della partecipazione delle persone.

Hanno tantissime frecce da utilizzare per farlo concretamente attraverso le loro practice: recruiting, induction, learning, performance management, programmi di talent. In ognuno di questi ambiti possono generare e costruire esperienze in cui le persone integrano e arricchiscono il processo.

Nel recruiting ed employer branding o partecipando a programmi di ambassadorship (magari anche portando idee e non solo facendo video in cui sorridono e dicono bene dell’azienda). Nell’induction aiutando realmente i nuovi colleghi ad entrare in ruolo. Nella formazione non solo apprendendo ma anche insegnando quello che sanno ai colleghi. Nei sistemi performance in cui valutazioni ed endorsement possono arrivare da tutti con lo spirito di aiutarsi a crescere. Nei programmi di talent che riconoscono quello che le persone sono e sanno a prescindere dai modelli che il management ha nella testa.

Insomma gli HR non hanno colpe certo per come l’evoluzione e la storia delle organizzazione ha proceduto, ma certo hanno oggi un’occasione importante: sostenere la creazione di contesti adulti.

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