La scienza ha molto da dire, ma fa fatica a imparare come dirlo: esempio ne è la gestione comunicativa della pandemia, che ha intaccato la fiducia dei cittadini nella ricerca. Ne parliamo con il presidente di Frascati Scienza.
I divi del porno italiano sono figli dei paesi
AAA: si caratterizza così il mondo degli annunci perché, chiarisce anche l’Accademia della Crusca, essendo impaginati in ordine alfabetico, la sigla risponde allo scopo di far apparire l’annuncio di interesse prima degli altri. Quindi AAA e leggete un paio di note prima di procedere. AAA: non è una lettura riservata a un pubblico adulto. AAA: […]
AAA: si caratterizza così il mondo degli annunci perché, chiarisce anche l’Accademia della Crusca, essendo impaginati in ordine alfabetico, la sigla risponde allo scopo di far apparire l’annuncio di interesse prima degli altri. Quindi AAA e leggete un paio di note prima di procedere. AAA: non è una lettura riservata a un pubblico adulto. AAA: gli amici degli amici sono persone reali che hanno gentilmente raccontato qualche aneddoto in cambio dell’anonimato. AAA: un grande grazie a coloro dei quali leggerete nome e cognome per la disponibilità e per il tempo dedicato.
Gli esordi del cinema pornografico italiano
Il cinema pornografico in Italia, con i primi film qui prodotti, nasce a partire dal ‘79. “La nascita del genere hard trova impreparate le commissioni censura ma non magistrati e moralizzatori. Se le prime cadono nel tranello dei callidi cinematografari, che presentano in censura copie di pellicole radicalmente diverse da quelle destinate alle sale (le sequenze hard, sostituite con altre di contenuto più blando, vengono rimontate una volta ottenuto il nullaosta), i secondi tentano di contrastare il fenomeno ricorrendo more solito a denunce e sequestri. (…) Un colpo decisivo al fiorente genere, più che da queste sporadiche iniziative, è invero inferto dal Procuratore della Repubblica di Civitavecchia Antonino Lojacono, il quale, tra il gennaio e il marzo 1982, ordina il sequestro di oltre 180 film hard su tutto il territorio nazionale. Il magistrato ipotizza (a ragione) che le pellicole siano state infarcite di sequenze pornografiche dopo il rilascio del visto censura”. Così ne scrive Franco Grattarola, studioso di storia del cinema e critico cinematografico, nel saggio “Il cinema ‘vietato ai minori’ tra petizioni popolari e commissioni censura” (Cinecensura – 100 anni di revisione cinematografica in Italia).
“Tutti noi uomini, in fondo, vorremmo essere attori porno. Penso al classico uomo comune, il vicino della porta accanto. Chi è il pornostar: l’uomo della locandina o quello che la mattina va in ufficio e digita control-alt-canc?”, mi dice chiacchierando un amico di un amico per poi atterrare su una constatazione facile: nella vita di provincia il settore del porno ha sempre avuto, e ha tutt’oggi, un terreno fertile. Qui sono nati nomi poi divenuti noti anche al di fuori dei confini territoriali.
Un esempio: Jessica Rizzo. Esordisce come cantante insieme a Marco Toto. Nel 1989 i due si sposano. Nello stesso anno ricevono e accettano una proposta: partecipare a un film pornografico che, in breve tempo, li porterà alla popolarità. Il fenomeno Jessica Rizzo nasce in un contesto territoriale sui generis. Una piccola provincia dell’entroterra marchigiano, devota al lavoro, chiusa ma al tempo stesso vocata all’internazionale (siamo dove è nata e si sta consolidando, in quegli anni, l’industria degli elettrodomestici).
Nella nativa Fabriano (Genga, per l’esattezza) alcuni spettatori di un cinema a luci rosse riconoscono i due protagonisti. La notizia si diffonde in fretta e il film registra un notevole successo di botteghino e fuori dal cinema Astra si formano lunghe code di curiosi. Anni dopo, la sala fabrianese a luci rosse viene chiusa e l’edificio riconvertito in appartamenti. In uno di questi, in pieno centro storico, finisco anch’io. Tempo dopo un amico tassista mi confida: “Mentre tu ti affannavi a indicarci ogni volta il vicolo, il civico e l’angolo dell’incrocio di casa tua, per noi era sufficiente dire l’ex Astra”. Sono passati vent’anni da quelle code. Ma, si sa, la memoria è più lunga.
Il porno in Italia: né arte, né fisco
Di che mondo del cinema parliamo? “Il cinema pornografico non è cinema, è un qualcosa del tutto diverso. È un cinema a due dimensioni, manca di profondità”, mi spiega Alessandro Boschi, critico, autore e conduttore di Hollywood Party, Rai Radio3. “Sta al cinema come le vignette sui giornali stanno ai fumetti, sono proprio cose diverse. Ho visto il film di Valentina Nappi, ISVN. Banalizza cose che sono già banali. Non si può far passare tutto per arte. Come fa ad essere arte il racconto di una giornata di una pornostar? Di per sé non ha assolutamente nulla di interessante”.
Grattarola (autore, tra l’altro, insieme ad Andrea Napoli di Luce Rossa. La nascita e le prime fasi del cinema pornografico in Italia, Iacobelli, 2014) continua a raccontarmi di quel cinema e mentre me ne parla viene fuori il ritratto di un’Italia profondamente diversa: “Il cinema di questi anni non è un hard divistico, Moana Pozzi ha già girato due film ma con degli pseudonimi. È un mondo caratterizzato da un certo senso di vergogna, sono pochi quelli che vi lavorano. La massima diva è Marina Frajese, prima moglie di un giornalista Rai piuttosto famoso che poi le proibì di utilizzare il suo cognome; l’equivalente maschile è Manlio Cersosimo”.
Cersosimo è un ex bancario, figlio di Vincenzo Cersosimo, giudice istruttore del famoso Processo di Verona con imputato Galeazzo Ciano. A un certo punto decide di lasciare il lavoro in Banca d’Italia (cosa impensabile, allora come oggi), inizia a fare lavoretti minori fino a quando non si fa notare durante un film con l’esordiente Carmen Russo. Da lì inizia una carriera di successo. Ma che mondo è, lavorativamente parlando? “Gli attori sono pagati poco. Gli uomini prendono centomila lire per una giornata di lavoro, le donne un po’ di più. Qualcuno concorda un forfettario di un milione a film. Parliamo di produzioni che durano una settimana; solitamente gli studi sono le case private”. Economicità e velocità le parole d’ordine.
Ancora oggi, raccontandomi qualche episodio, ride di gusto un’amica di una mia amica: “Anni fa sono uscita per un po’ con Franco, non era ancora famoso in quel periodo. Ricordo che si lamentava sempre perché in Italia il suo lavoro non era riconosciuto e quindi lavorava prevalentemente nell’Europa dell’Est; diceva che non avrebbe mai avuto una pensione perché il lavoro del pornoattore non era fiscalmente riconosciuto”. Franco è Franco Trentalance, bolognese, pornodivo internazionale, attivo fino a un paio di anni fa quando decide di chiudere con questo mondo per dedicarsi a tutt’altro.
Il cinema porno italiano che nasce in provincia
“Oggi tutto si è molto più industrializzato. È cambiato tutto: il contesto storico, sociale, culturale. Era un’Italia con un’identità circoscritta: oggi non ci sono più confini, è un’altra era”. Ricorda così quegli anni Giuliana Gamba, regista, sceneggiatrice e produttrice cinematografica, prima e unica donna in Italia a girare film porno: “Negli anni Settanta fare il cinema porno per me, come femminista, è stato un gesto rivoluzionario, di rottura: ho fatto due film ma non avevo alcuna intenzione di lavorare per quel cinema. Oggi si sono ribaltati tutti i canoni, anche quelli comunicativi. Anche all’epoca c’erano piccole star, ma era tutto in un contesto circoscritto. Si è poi realizzata una trasformazione allora inimmaginabile”.
Continua Grattarola: “Il regista più dissennato di questi anni è Angelo Pannacciò, di Foligno. Aveva ambizioni cinematografiche ma le sue produzioni si rivelano fallimentari. Così per togliersi i debiti accumulati iniziò a girare una serie di hard, tutti dentro casa sua, con attori davvero improbabili”. Inizia a farsi strada l’idea che anche per questo mondo del lavoro occorra il professionista: “Per l’hard divistico bisogna aspettare Riccardo Schicchi, con Cicciolina e Moana Pozzi – quest’ultima esplode nel 1987 con il film Fantastica Moana: a Genova, la sua città, la riconoscono e vengono organizzati pullman per andare a vederla”. Con Moana si passa a una pornografia di famiglia: è un’Italia già diversa, si è compiuta un’evoluzione del costume che passa dall’accettazione, ed è agevolata dalle nuove modalità di fruizione del porno, da cinematografica a casalinga. Con l’home video la fruizione si amplia.
L’era del porno su internet e di Rocco Siffredi
Oggi anche il cinema pornografico passa in rete, e viene meno quel senso di trasgressione con cui era nato. Si aprono al contempo nuovi scenari: il porno ha raggiunto il mondo dei cartoni, basti pensare ai manga giapponesi. Non solo. Sono nati siti dedicati davvero estremi: la matita non pone alcun limite alla fantasia e si insegue soltanto il senso di stupore.
“Allora il porno veniva consumato nelle sale a luci rosse, parliamo di un’epoca in cui non c’erano neanche le televisioni private! Oggi la modalità di fruizione è molto cambiata: è diventato un bene di consumo, prima aveva un significato di rottura. Sono stata l’unica donna! All’epoca ho avuto tutti contro, oggi mi hanno capito”. Lo scorso anno a Roma, al cinema Trevi, la Cineteca Nazionale organizza una tre giorni di rassegna. Nel programma un omaggio a lei, Giuliana Gamba Una libertaria nel cinema: “Oggi lo riconoscono… ma lì per lì no”, conclude ridendo.
Torniamo alla provincia, abruzzese. A Ortona nasce un nome ancora oggi tra i più noti sulla scena pornografica internazionale: Rocco Siffredi. Lo ascolto in una sua recente ospitata nel programma di Rai1, Io e te di notte, condotto da Pierluigi Diaco. Chiacchierando, dichiara di fare il lavoro che avrebbe sempre voluto fare sin da bambino (sic) e, aggiunge, “il mio mestiere è divertimento nonostante io lo faccia con molta serietà, però ci si diverte, alla base”. Il senso di vergogna iniziale è scomparso e siamo alla normalità del lavoro scelto, sottolinea Siffredi parlando della conciliazione tra professione e vita familiare. Cersosimo fu selezionato per una pubblicità televisiva ma quando si seppe che aveva girato dei porno fu fatto fuori. Siffredi ha ampliato la propria notorietà proprio pubblicizzando in tv prodotti di largo consumo. Nel 2014 viene scelto, tra qualche polemica, come testimonial di un congresso della Società Italiana di Urologia, un summit di circa 1.500 specialisti. Segni di un Paese che cambia.
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