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Marco Travaglio: il giornalismo non è certo un lavoro intellettuale
Se un marziano sbarcasse in Italia e ti chiedesse che cos’è il giornalismo in Italia, che cosa gli diresti? “Gli spiegherei che è esattamente l’opposto di quello che dovrebbe essere. A mio parere il giornalismo e i giornali dovrebbero essere un forte contropotere, distante da tutti gli altri poteri, capace di essere autonomo e indipendente. […]
Se un marziano sbarcasse in Italia e ti chiedesse che cos’è il giornalismo in Italia, che cosa gli diresti?
“Gli spiegherei che è esattamente l’opposto di quello che dovrebbe essere. A mio parere il giornalismo e i giornali dovrebbero essere un forte contropotere, distante da tutti gli altri poteri, capace di essere autonomo e indipendente. Come tu ben sai da noi il giornalismo è tutt’altro, è l’opposto, é l’espressione di tutte le forme di potere: il potere politico controlla la tv di Stato, il partito di Silvio Berlusconi controlla le tv private e i poteri economici controllano gran parte della carta stampata, con l’eccezione di quotidiani come il Fatto Quotidiano o il Manifesto. Questa è la realtà del giornalismo in Italia. Può sembrare un giudizio drastico ma le cose stanno così in Italia e sfido chiunque a dirmi che questo non corrisponda al vero”.
Marco Travaglio, 52 anni, torinese, direttore e fondatore del Fatto Quotidiano, allievo di Indro Montanelli, per anni collaboratore del Giornale, poi della Voce, poi ancora dell’Unità, dal 2006 al 2011 collaboratore fisso di Santoro nella trasmissione Annozero, la pensa così sul giornalismo italiano. E non ha nessuna remora corporativa a parlarne apertamente malgrado il pianeta giornalismo sia il luogo nel quale naviga ormai da decenni con la passione per le notizie che svelano il malaffare, la denuncia della corruzione e le scomode inchieste sui poteri economici e politici.
Quando gli propongo di fare un’intervista per Senza Filtro, per capire se c’è un legame tra giornalismo e lavoro intellettuale, accetta volentieri ma si fa sfuggire un sorriso.
“Il lavoro intellettuale? Argomento interessante, ma ho i miei dubbi che c’entri qualcosa con il giornalismo. Gli intellettuali meditano, pensano, hanno tutto il tempo per elaborare le loro teorie, noi abbiamo tempi stretti, più simili a una catena di montaggio con continue emergenze. Direi che il nostro è piuttosto un lavoro artigianale. Io per esempio oltre a scrivere editoriali e articoli amo fare i titoli, disegnare le pagine, creare la gerarchia delle notizie, credo che la fattura del giornale sia una parte essenziale del nostro lavoro”.
Secondo te è cambiato molto il giornalismo dopo l’avvento del web?
“Direi di no. A costo di essere banale penso che il giornalismo sulla carta stampata abbia lo stesso ruolo di cento anni fa. Un ruolo di informazione che aiuta o dovrebbe aiutare a raccontare i fatti reali e mettere in ordine le cose. Io, ad esempio non penso che la sovrabbondanza di informazioni sulla rete web tolga spazio alla carta stampata. Il cartaceo è l’unico luogo dove si può lasciare una traccia. In rete è tutto uguale, indifferenziato, mentre i giornali attraverso la gerarchia delle notizie dovrebbero saper scegliere gli avvenimenti più importanti. Certo, se un giornale non è libero da vincoli politici ed economici tenta di nascondere le notizie più scomode ma questo è un altro discorso”.
Torniamo alla rete. A tuo parere la dipendenza dai poteri vale anche per la rete?
“Direi di no. Il web sicuramente è più libero. Nessuno può creare dei monopoli. Gli impedimenti non mancano ma se tu riesci a crearti un blog con centinaia di migliaia di iscritti puoi muoverti in autonomia, senza censure”.
Ma non ti pare azzardato, come avviene ad esempio per il Movimento 5 Stelle, affidare all’web addirittura le primarie? La rete è un magma indistinto e a volte intollerante. A me è capitato di ricevere insulti pesanti per un’opinione diversa che avevo manifestato su un blog, ospitato dal Fatto Quotidiano.
“Pensa che è capitato anche a me sul Fatto Quotidiano. Gianroberto Casaleggio aveva fiducia nelle capacità autocorrrettive del web. Io penso che il commento libero e anonimo sia pericoloso. L’unica soluzione per evitare l’effetto branco è quella di creare una comunità di commentatori che fanno le loro critiche con nome e cognome e non sotto la copertura di uno pseudonimo”.
Di giornalismo investigativo tu ne hai fatto tanto. Che cosa ne pensi di questa forma di giornalismo così diffusa negli Stati Uniti?
“Io distinguerei tra il giornalismo giudiziario e il giornalismo investigativo. Una cosa è raccontare le vicende giudiziarie, i processi, i verbali d’interrogatorio, le carte, le testimonianze. Altra cosa è fare inchieste giornalistiche senza la rete di protezione dei magistrati. Quando abbiamo pubblicato le notizie su Virginia Raggi in merito agli incarichi Asl a Civitavecchia non vi erano implicazioni giudiziarie, abbiamo fatto del giornalismo investigativo. Noi ne facciamo tante di inchieste di questo genere. E abbiamo fatto investimenti per noi importanti quando abbiamo assunto giornalisti che hanno la passione per l’investigazione nei fatti della politica come in quelli dell’economia e della finanza”.
Un’ultima domanda: se tu dovessi dare un consiglio a un giovane che vuole fare il giornalista che cosa gli diresti?
“Gli consiglierei in primo luogo di leggere molto sia i giornali che i libri di Indro Montanelli, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, Luigi Pintor, tutti giornalisti che avevano il dono della scrittura e dell’indipendenza. Anche perché da questo punto di vista i modelli di giornalismo che oggi abbiamo sotto i nostri occhi sono inguardabili. Per accedere alla professione tutto è cambiato. Io ho iniziato la gavetta come abusivo. Oggi quella strada è impraticabile. La cosa più giusta è iscriversi a una scuola di giornalismo, anche noi abbiamo attinto molte risorse da lì”.
[Credits photo: VanityFair.it]
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