La regola dalla parte della divisa

“Le regole sono fatte per essere infrante.” Citazione dal film Assassinio sul Nilo di Marie van Schuyler. Ma c’è chi di regole vive e ne fa uno stile di vita, un esempio per una società ormai votata alle scorciatoie. In ogni campo. Chi fa questo tipo di concorso, sa già a priori cosa lo aspetta. […]

“Le regole sono fatte per essere infrante.”

Citazione dal film Assassinio sul Nilo di Marie van Schuyler.

Ma c’è chi di regole vive e ne fa uno stile di vita, un esempio per una società ormai votata alle scorciatoie. In ogni campo.

Chi fa questo tipo di concorso, sa già a priori cosa lo aspetta. Quando indossi la divisa, sai che sei al servizio dello Stato, della collettività. È come se i filamenti del tessuto della giacca ti entrassero nelle cellule, modificando il DNA stesso e trasformando la persona comune che eri.

Quando difendi la gente, non lo fai solo durante il turno di servizio, lo fai sempre. E’ un ruolo che uno si sceglie. Rispettare le regole, farle rispettare e difenderle.

Quante volte sentiamo di colleghi fuori servizio che intervengono a proprio rischio e lo fanno per la vita?

Lo chiediamo a Maurizio Germanò, Segretario Provinciale del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia.

Come è entrato in Polizia e come ad un certo punto ha deciso di occuparsi di sindacato.

Una scelta che probabilmente, inconsciamente, avevo fatto da ragazzo. Finiti gli studi superiori, colsi al volo l’opportunità di un bando di concorso. Così iniziai il servizio di leva obbligatorio, come era possibile fare in passato e, dopo un primo anno nella Celere e un corso supplementare, divenni Agente della Polizia di Stato. Seguendo una mia innata inclinazione ad aiutare gli altri, cominciai a studiare l’Ordinamento e ad osservare il mondo in cui operavo. Durante le pause dal servizio, iniziai a frequentare un corso sindacale con Gino Giugni e da allora decisi di dedicarmi a tempo pieno ai bisogni dei colleghi e alle loro aspettative, tanto da diventarne in breve tempo un punto di riferimento. Condividevo con loro il servizio giornaliero in divisa e i disagi di alcuni turni. Nei vari uffici dove sono stato destinato, ho cercato di essere di esempio e non ho mai sfruttato il mio ruolo di sindacato o il mio grado. Ho privilegiato il dialogo con tutti e dopo tanti e tanti anni di lavoro, e di vicinanza ai miei colleghi, posso dire di non aver deluso quanti mi hanno dato la loro fiducia e quell’impegno giovanile ancora continua con la stessa passione e con una maggiore maturità. Sto sempre in mezzo ai miei colleghi cui assicuro la mia disponibilità h 24. Per cui posso dire di poter camminare a testa alta anche perché – pur essendoci sempre da lottare per garantire migliori condizioni lavorative, adeguati stipendi, maggiore sicurezza e mezzi adeguati – molti risultati siamo riusciti ad ottenerli rispetto al passato grazie ad un rapporto nuovo e agli spazi che ci siamo guadagnati con l’Amministrazione, frutto del valore della nostra azione.

La regola come stile di vita, il dovere come “mission aziendale”.

Ogni società, o istituzione laica e religiosa, raggruppamento e associazione di persone, per poter esprimere tutto il proprio potenziale e poter raggiungere gli obbiettivi o i progetti per cui viene fondata – o a cui aspira – deve necessariamente darsi delle regole e seguire comportamenti consoni alla propria identità. Non fanno eccezione gli uomini in divisa ai quali, per i compiti che gli vengono affidati da organi costituzionali, è richiesto di vigilare sul rispetto di quelle regole. Ecco allora che vestire una divisa significa doversi sdoppiare, ma soprattutto diventa imperativo avere il giusto equilibrio per poter esercitare funzioni di profilo alto e pieno di responsabilità. Un uomo in divisa deve essere un esempio per gli altri che ci guardano e che da noi si aspettano tanto. E per poterlo fare nel modo più soddisfacente, occorre tanto sacrificio e molta abnegazione per poter garantire ai cittadini la loro sicurezza, oltre ad uno stile di vita corretto.

Come si fa a far rispettare le regole.

Se guardiamo indietro, direi che è cambiato il rapporto con i cittadini. E’ venuta meno la “paura dell’uomo in divisa”, non incute più timore il poliziotto o il carabiniere come in passato. Oggi l’aspetto repressivo lo si esercita solo in casi di palese violazione e avendo riguardo dei diritti che spettano al cittadino garantiti dalla legge. Il peso delle regole infrante crea una distinzione anche nel comportamento di chi deve garantirne il rispetto. Noi rispondiamo alla legge che i Governi sul piano legislativo si danno. Ci sono tuttavia alcuni momenti in cui subentra un aspetto umano e in casi particolari lo si privilegia: una indigente che ruba del latte in un supermercato per darlo alla propria bambina (sono tanti i casi di poliziotti che, in situazioni come queste, in silenzio mettono mano al portafoglio per assicurare questi bisogni), o intervenire nei difficili casi di occupazione di scuole da parte di studenti, o di fabbriche da parte di lavoratori esasperati per il mancato stipendio o per la chiusura dello stabilimento. Noi non siamo questa o quella parte politica ma proviamo a garantire a tutti, e in egual misura, i propri diritti riconosciuti dalla legge. E questo ci viene costantemente e ampiamente riconosciuto.

La regola dell’impunità come timebomb motivazionale.

Il principio fondamentale della nostra professione è quello di servire lo Stato e i suoi organi istituzionali. Abbiamo perciò chiaro che il nostro compito è garantire l’ordine e la sicurezza dei cittadini. Non operiamo sapendo che a volte il nostro operato viene vanificato da provvedimenti della magistratura: assicurare alla giustizia un ladro, uno scippatore, o chi fa smercio di droghe. In una società garantista, dove tutti sono tenuti al rispetto di regole codificate ed emanate da organi superiori, non possiamo porci fuori dal contesto per rispondere a regole dettate da personali modi di vedere la realtà. Noi operiamo quotidianamente svolgendo il compito che ci viene affidato e ci impegniamo a farlo secondo principi riconosciuti. Siamo determinati a fare al meglio quanto ci viene richiesto. Guai ad operare secondo tendenze o ideali personali. I dubbi  e le valutazioni contrarie a certe decisioni possono anche essere legittime ma non possono in alcun modo condizionare il lavoro collettivo di uomini e donne che si spendono per far bene il loro lavoro. Altrimenti non siamo credibili. E la dimostrazione sono i continui risultati che portiamo a termine.

Infrangere le regole. Quando si abusa della divisa?

Come dicevo prima, nel nostro mestiere dobbiamo trovare sempre il giusto equilibrio per poter svolgere al meglio questo lavoro anche perché esistono provvedimenti disciplinari nel nostro ordinamento. Nessuno nega che in questo mestiere qualcuno possa andare oltre il limite, proprio per la particolarità della nostra attività, ma sono pochi i casi a fronte di tanti uomini e donne che svolgono con sacrificio ed impegno la loro azione a difesa dei cittadini. Fa più clamore un abuso che i tanti atti eroici degli uomini in divisa che quotidianamente si spendono per gli altri e mai sufficientemente gratificati per quello che fanno. Pur tra i tanti disagi che viviamo – turni, carenza di uomini e mezzi, contratti non rinnovati, stipendi non adeguati, tante condizioni non ottimali negli uffici – pensiamo sia ingiusto ricevere le gratuite avversioni di certa stampa, per certi versi politicizzata, che punta solo l’indice contro questo mestiere e non riconosce invece il lavoro che viene svolto in difesa delle Istituzioni. Lo ripetiamo fino alla noia, non vestiamo nessuna casacca politica e operiamo secondo i principi costituzionali.

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