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La scienza non è un’azienda. O sì? Tutti gli errori di comunicazione
Essere un consumatore può essere un’esperienza meravigliosa. A volte non c’è bisogno di impegnarsi granché applicando le proprie capacità di scelta e discernimento. Certe aziende fanno di tutto per escludersi da sole lasciando spazio a soluzioni più semplici, intuitive e soddisfacenti. La presenza vincolante di un monopolista storico, autoritario e soffocante, finalmente sostituita dalla magia […]
Essere un consumatore può essere un’esperienza meravigliosa.
A volte non c’è bisogno di impegnarsi granché applicando le proprie capacità di scelta e discernimento. Certe aziende fanno di tutto per escludersi da sole lasciando spazio a soluzioni più semplici, intuitive e soddisfacenti. La presenza vincolante di un monopolista storico, autoritario e soffocante, finalmente sostituita dalla magia di una friendly user experience! Chi mai, potendo, sceglierebbe di rivolgersi a un’entità percepita come astratta e lontana dalla vita quotidiana? Un rito misterioso aperto solo a sacerdoti selezionati che comunicano usando linguaggi imperscrutabili. Un approccio che non lascia spazio a interpretazioni e soluzioni alternative.
Chi non considererebbe meraviglioso poterlo sostituire con soluzioni semplici e di senso comune, facilmente comprensibili perché comunicate da qualcuno proprio come noi (quanta empatia!), che non si fa forte dei suoi lunghi anni di studio per sostenere le proprie proposte, ma esalta e tiene conto della nostra personalissima sensibilità e intelligenza (“perché io valgo”)?
Finché non basta più. Finché l’entità astratta, la scienza, diventa dolorosamente concreta e quotidiana, salvandoci la vita e costringendoci a prendere in considerazione il fatto che le formule esoteriche utilizzate dai suoi sacerdoti, gli scienziati, sono necessariamente astruse perché devono descrivere fenomeni straordinariamente complessi. Così come l’interpretazione cosiddetta alternativa, perché senza basi oggettive, è, molto semplicemente, letale.
Errori di comunicazione scientifica: se la scienza fosse un’azienda, dove avrebbe sbagliato?
Ma come ci siamo arrivati? Come siamo arrivati a considerare la scienza come qualcosa di lontano dalla vita, o come qualcosa che non necessariamente rappresenta l’unica linea di difesa affidabile?
Se accettiamo il fatto che, a un certo punto, abbiamo lasciato che la conoscenza e la competenza basate sullo studio potessero essere trattate alla stregua di una proposizione commerciale in competizione con alternative più smart, rifiutandone gli aspetti maggiormente rigorosi, forse potremmo utilizzare alcune chiavi di lettura proprie del mondo aziendale per provare a comprendere quali errori sono stati commessi e quali opportunità di business development potrebbero essere perseguite.
Ci concentreremo, in questa sede, su due soli aspetti in particolare. Il primo è la distanza tra aspettative del mercato e value proposition dell’azienda Scienza S.p.A.
Scienza, il mercato vuole risposte
Ma la scienza è tale perché si fa domande, non perché dà risposte. O, più precisamente, perché si impone di cercare le risposte con un metodo che richiede dati verificabili e ripetibili.
Quando puoi misurare ciò di cui stai parlando, ed esprimerlo in numeri, puoi affermare di saperne qualcosa; se però non puoi misurarlo, se non puoi esprimerlo con numeri, la tua conoscenza sarà povera cosa e insoddisfacente: forse un inizio di conoscenza, ma non abbastanza da far progredire il tuo pensiero fino allo stadio di scienza, qualsiasi possa essere l’argomento.
Lord William Thomson Kelvin
E se Lord Kelvin, tra i padri della fisica moderna, non avesse più ragione nel mondo odierno, in questi giorni dove schemi collaudati e paradigmi nati nelle accademie, applicati nelle organizzazioni da un paio di secoli per osservare, pianificare e prevedere sembrano essere improvvisamente diventati non solo obsoleti, ma spesso inutili?
Dopotutto in ambito aziendale e manageriale l’approccio meramente numerico e quantitativo ha rappresentato per lungo tempo un sinonimo assoluto di affidabilità e solidità gestionale, con la frase “Se non puoi misurarlo, non puoi gestirlo”, che distingueva chi sembrava avere idee e obiettivi chiari e concreti da chi prendeva in considerazione anche aspetti non immediatamente misurabili.
Peccato che William Edwards Deming, il creatore della suddetta massima, abbia in realtà affermato: “È sbagliato supporre che se non puoi misurarlo non puoi gestirlo – un mito costoso”. L’ingegnere americano, a cui dobbiamo alcuni dei fondamenti teorici dell’approccio lean, con la sua miscela di schemi organizzativi e pensiero innovativo, potrebbe forse fornirci un punto di contatto tra rigore scientifico e percezione dei risultati.
Se la scienza privata della precisione numerica non è più scienza, la traiettoria percorsa sul cammino della conoscenza e gli obiettivi raggiunti hanno però bisogno di essere diffusi tenendo ben presente le aspettative e le capacità di comprensione del mercato. Un mercato che, in quanto tale, non può essere illuso e blandito all’infinito – pena la non sostenibilità nel tempo del brand scienza – ma che va guidato a focalizzare le proprie esigenze con tempi e strumenti adeguati.
Questo ci porta al secondo aspetto che prenderemo in considerazione.
L’altro punto debole della Scienza S.p.A.: consapevolezza e posizionamento
Provando a osservare con (relativo) distacco le infinite dinamiche e dimensioni che si incrociano nel dibattito sul piano pubblico e su quello personale, non ho potuto fare a meno di riflettere su quanto e come la Scienza S.p.A., pur dotata sulla carta di ogni caratteristica vincente in termini di potenziale commerciale, sia trascurata e messa in discussione sia a livello di indirizzi strategici che di comune percezione. Questo lascia campo libero a ogni tipo e genere di teoria complottista, o comunque basata su opinioni non suffragate da evidenze oggettive.
Assistiamo di conseguenza a un fenomeno diffuso, che io chiamo di “aneddotizzazione”: un ragionamento o un qualsiasi fenomeno estrapolato con superficialità dal proprio contesto al solo scopo di renderlo maggiormente di impatto, o di utilizzarlo a conferma di un proprio punto di vista.
Riflettendo su come condurre il mercato ad apprezzare i prodotti eccezionali della Scienza S.p.A. senza sollevare barriere cognitive, mi è tornata alla mente una campagna di comunicazione e posizionamento che ha rappresentato una svolta culturale nelle abitudini nazionali. Sorprendentemente, presenta numerosi punti di contatto con le difficoltà che oggi la scienza, o meglio il metodo scientifico, incontra nell’affermare il proprio perimetro.
Birra… e sai cosa bevi!
Lo ricordate? Compie quarant’anni in questi giorni lo storico slogan pronunciato da un sornione Renzo Arbore agli albori degli anni Ottante, ormai entrato nel linguaggio comune. Qual era l’obiettivo di quella campagna? Quali erano le esigenze che avevano spinto a concepirla? In quale contesto era calata? Che risultati ha ottenuto?
Al termine degli anni Settanta in Italia la birra era ancora un prodotto minore e trascurato, associato a culture nordiche lontane da quella mediterranea, considerato stagionale e riservato alla stagione calda, con un target essenzialmente maschile di livello non elevato, relegato ad accompagnare un solo cibo – la pizza – e che scontava il sospetto di dovere il proprio colore a coloranti potenzialmente cancerogeni. Era necessario affermare la genuinità del prodotto, espanderne il mercato a tutte le stagioni, raggiungere consumatori diversi per età, sesso e abitudini, presentandone vantaggi e versatilità.
Vediamo quali lezioni possiamo trarre da questo spumeggiante (è il caso di dirlo) caso di business.
Le risposte nate dal metodo valgono più delle opinioni
Il punto di svolta fu rappresentato dalla volontà comune dei produttori italiani che, accantonando individualismi e narcisismi aziendali, individuarono una strategia comunicativa precisa partendo dall’ascolto e la valutazione dei pain point del mercato potenziale, a cui si rispose proponendo informazioni in maniera non didascalica.
Ma forse la vera differenza la fece l’altrettanto celebre chiusura dello slogan pubblicitario: quel “meditate gente, meditate” che lasciava aperta in maniera quasi confidenziale la possibilità di una valutazione da parte dell’interlocutore, evitando di farlo sentire costretto ad una scelta. Paradossalmente questa frase oggi viene spesso utilizzata, sui social e di persona, da chi “ha capito” che “i professoroni non ce lo vogliono far sapere”. Ovviamente l’argomento di cui si discute è irrilevante, perché ognuno è titolare della propria opinione sull’intero scibile universale.
Abbiamo dimenticato purtroppo che “meditare” non vuol dire rinchiudersi per creare una personale visione del mondo autoreferenziata, ma significa soprattutto elaborare informazioni certe e verificabili, selezionando i risultati secondo criteri comuni e ripetibili, mantenendo l’umiltà di sottoporre le proprie conclusioni ad altri perché le verifichino con competenza. Esattamente l’essenza della scienza.
Ecco allora un possibile indirizzo d’azione per il business plan della Scienza S.p.A. per riappropriarsi del suo spazio, squalificando succedanei di scarso valore ma grande attrattiva. Puntare a trasmettere il valore intrinseco della propria mission & vision come un messaggio trasversale alle diverse, infinite discipline, suscitando nel mercato una capacità, se non di piena comprensione, almeno di ascolto. Un orientamento all’individuazione strutturata di risposte più che a soluzioni inconcludenti suggerite da qualche improvvisato opinionista.
Anche i più distratti in questi giorni difficili hanno potuto vedere come funziona il meccanismo solitamente nascosto della ricerca. Secoli di osservazioni hanno fornito la base per la definizione, peraltro in continua evoluzione, di soluzioni decisive in momenti di incertezza e complessità senza precedenti.
Il momento è propizio. La scienza e le sue soluzioni hanno armato coloro che ci hanno difeso, restituendo a studio e competenza la rilevanza che devono avere su opinioni e impressioni. Abbiamo visto con i nostri occhi che cercare risposte utilizzando il metodo sperimentale e individuando metriche coerenti fa veramente la differenza.
Manca solo una tag line: “Scienza, e sai cosa chiedere! Meditate gente, meditate”.
Photo by National Cancer Institute on Unsplash
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