Le donne in cattedra che danno una lezione all’università

Sette su ottantaquattro. Questo il numero delle donne rettore nel nostro Paese in base all’elenco del sito della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane. Nonostante rispetto ai colleghi maschi siano di più sia le studentesse iscritte che quelle laureate, i numeri scendono col progredire della carriera accademica. Ad esempio: pur avendo il 52% […]

Sette su ottantaquattro. Questo il numero delle donne rettore nel nostro Paese in base all’elenco del sito della CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.

Nonostante rispetto ai colleghi maschi siano di più sia le studentesse iscritte che quelle laureate, i numeri scendono col progredire della carriera accademica. Ad esempio: pur avendo il 52% di donne fra i dottori di ricerca, la loro presenza diminuisce mano a mano che si sale di livello, sino a raggiungere il 25% fra i professori ordinari (dati Miur).

D’altronde si sentono ancora gli echi dell’intervista del 2018 fatta al prof. Barone, ex direttore della Normale di Pisa, che aveva messo nero su bianco la frequenza delle campagne denigratorie subite dalle colleghe donne quando queste si trovano a raggiungere posizioni di potere in ambito accademico. Illazioni e diffamazioni basate più sull’appartenenza al sesso femminile che sulle capacità professionali.

Eppure, nonostante i dati non siano ancora confortanti, si sta assistendo a una progressiva inversione di tendenza. Secondo una comparazione dei dati del Ministero dell’Istruzione rispetto ai mutamenti avvenuti dal 2000 al 2019 i numeri stanno cambiando, e in meglio.

Guardando ad esempio proprio alla sopracitata fascia di docenza più alta, quella dei professori ordinari, si è passati dalla presenza di 13.026 uomini e 2.005 donne nel 2000 a quella di 9.969 uomini e 3.105 donne nel 2019 (+11%). Lo stesso trend poi si estende anche alle fasce inferiori dei professori associati e dei ricercatori.

Quello che sembra emergere dai dati è quindi un progressivo miglioramento nella presenza femminile in tutte le categorie, che si muove in modo lento ma stabile. I risultati non sono comunque risolutivi del problema, soprattutto se si pensa che, con gli attuali tassi di crescita, si potrà arrivare alla parità di genere nella categoria dei professori ordinari solo nel 2063.

Sembra quindi che ci sia ancora un po’ di strada da fare, e per capire meglio la situazione abbiamo parlato di questo argomento con la prof.ssa Aurelia Sole, ingegnere e rettrice dell’Università della Basilicata. Una donna capace di completare la difficile scalata verso il gradino più alto della carriera accademica, nonostante la chiusura di un sistema che non le ha fatto nessuno sconto.

 

Aurelia Sole, Rettrice Università della Basilicata

 

 

Prof.ssa Aurelia Sole, una delle sette rettrici donne in Italia. Qual è stato il suo primo pensiero quando le è stata comunicata la nomina, nel 2014? 

Ero felice per il risultato, per la stima e l’affetto mostrato dai colleghi che mi hanno sostenuto e votato, ma sentivo forte la responsabilità dell’impegno che stavo assumendo.

Chi l’ha ispirata maggiormente in questo cammino? 

Intanto mi ha molto sostenuto la mia famiglia e mio marito, altrimenti sarebbe stato difficile andare avanti. Poi il femminismo ha rappresentato una parte importante della mia vita; in quelle esperienze abbiamo provato a prendere in mano il nostro destino, personale politico, privato e pubblico. La mia generazione si è spesa molto per questo, il femminismo è stata una pratica di tipo personale, teorico, relazionale e politico. E dunque ho seguito le mie aspirazioni, anche se all’epoca eravamo solo in 5 donne su 300 iscritti a ingegneria all’Università della Calabria.

Un pregio che l’ha aiutata e un difetto che l’ha ostacolata nella sua carriera? 

Sono una persona molto alla mano, mi piace ascoltare e discutere; questo penso sia un pregio. E al contempo ho tanti difetti, tra cui essere donna.

Ha mai vissuto la sensazione di essere discriminata come donna nelle progressioni di carriera? 

Mi ritengo fortunata perché svolgo un lavoro che speravo di fare; intanto diventare ingegnere (è sempre stata una mia aspirazione sin dalle scuole medie), poi dedicarmi alla ricerca e insegnare all’università. Certo, conciliare questo lavoro fuori casa con la famiglia è difficile, specie in assenza dei servizi che possono aiutare le donne a perseguire i loro obiettivi lavorativi. La sede di lavoro diversa da quella di residenza; due figli, soprattutto quando erano piccoli; è stato veramente complicato. Al mio ritorno dalla gravidanza è stato difficile riprendere le attività. Per la verità le mie cose le ho ritrovate impacchettate in un magazzino, pur essendo ritornata abbastanza presto al lavoro. Le donne che si dedicano alla ricerca non hanno sconti sulla produttività in presenza di gravidanze.

Una fotografia della presenza femminile nel mondo dell’università?

Be’, è un dato di fatto che le donne raggiungono con difficolta l’apice della carriera. Non per demerito, ovviamente, ma per un sistema che a ogni gradino del percorso lavorativo vede le donne rinunciare (spesso per i figli, per la famiglia, per cultura, o perché ostaggio di stereotipi ancora molto presenti). Eppure ormai più del 59% dei laureati sono donne, che si laureano prima e meglio, edil numero delle donne che scelgono discipline cosiddette STEM (acronimo inglese per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è in costante aumento. Contemporaneamente assistiamo alla femminilizzazione dei corsi di laurea in cui si formano gli/le insegnanti per la scuola dell’infanzia e primaria e delle professioni sanitarie, dunque ancora una volta un ruolo legato all’educazione e alla cura, storicamente assegnato alle donne.

La presenza delle donne in posizioni apicali nel mondo accademico è ancora molto lontana dalla parità di genere. Eppure, secondo i dati Miur, la situazione negli ultimi anni sta iniziando a mutare. Qual è la sua percezione a riguardo? Ci troviamo davanti a un cambiamento progressivo della cultura e delle consuetudini che riguardano il ruolo delle donne nell’università? 

Penso che quando si innesca un processo poi è difficile frenarlo. Come dicevo prima, nelle posizioni da ricercatore e nei corsi di dottorato di ricerca le donne sono ormai al 50%, dunque le carriere si alimentano con una base di donne sempre più consistente. Se guardiamo la distribuzione man mano che si va verso i ruoli apicali, è interessante osservare che nel ruolo di RTDB (ricercatore a tempo determinato tipo B, dopo tre anni se si consegue l’abilitazione si transita al ruolo di prof. di II fascia) le donne sono presenti al 41% circa, nel ruolo di prof. di II fascia sono presenti al 40%, e infine nel ruolo di prof. di I fascia al 25%, ovviamente con distribuzioni variegate nei diversi settori disciplinari. Ma si nota che nelle fasce inferiori le donne si stanno affermando: adesso bisogna fare ancora qualcosa in più.

Nel 2018 è stata istituita la Commissione tematica di genere della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, da lei presieduta. Come e perché si è arrivati a questo risultato? 

Nel 2018 con le rettrici presenti in CRUI abbiamo avviato un tavolo sui temi del bilancio, del linguaggio e della violenza di genere. Quest’anno quel tavolo è diventato una commissione permanente, che coordino, per promuovere azioni e buone pratiche negli atenei nella direzione delle pari opportunità e nel contrasto alle discriminazioni. Nella Commissione di genere abbiamo proposto le linee guida per la redazione del bilancio di genere nelle università, per avere uno strumento condiviso di valutazione uguale per tutti gli atenei, integrato nel bilancio economico patrimoniale e inserito nei documenti strategici degli atenei, per promuovere le pari opportunità e rimuovere ostacoli nelle carriere.

Prof.ssa Sole, che cosa spera di lasciare come eredità di cambiamento? 

Penso che questo sia un tema per il quale mi sono molto battuta, e insieme a questo anche quello per le pari opportunità dei territori e degli atenei, cercando di promuovere un sistema di distribuzione dei fondi di finanziamento ordinario delle università più equo e solidale nell’ambito del sistema universitario nazionale.

Se potesse, oggi rifarebbe lo stesso percorso? 

Certamente.

 

 

Photo credits: liveuniversity.it

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