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Freelance: le garanzie sul lavoro aumentano la produttività
Il mondo del lavoro sta attraversando un delicato momento dove si riscontra un continuo cambiamento delle normative contrattuali: co.co.co, co.co.pro, occasionale, voucher, tutele crescenti, stage, garanzia giovani. L’occupazione a tempo indeterminato, nel buon nome della invocata flessibilità, arretra fortemente lasciando spazio ai freelance, completamente privi di quelle necessarie garanzie sociali e contributive che riguardano proprio […]
Il mondo del lavoro sta attraversando un delicato momento dove si riscontra un continuo cambiamento delle normative contrattuali: co.co.co, co.co.pro, occasionale, voucher, tutele crescenti, stage, garanzia giovani. L’occupazione a tempo indeterminato, nel buon nome della invocata flessibilità, arretra fortemente lasciando spazio ai freelance, completamente privi di quelle necessarie garanzie sociali e contributive che riguardano proprio i lavoratori dipendenti.
Crescono con determinazione quelle nuove figure professionali capaci di sostituire il vecchio impiegato, già accantonato ormai da diversi anni; la crisi economica è solo un pretesto per abbassare gli investimenti delle imprese sul personale, le quali potrebbero aumentare la produttività. La miopia dei manager stupisce. Potremmo affermare, senza alcun dubbio, che le imprese non vogliono conoscere le giuste soluzioni business che metterebbero a riparo imprenditori e lavoratori. La produttività registra notevoli conseguenze negative direttamente sui consumatori, i quali vedono un considerevole abbassamento della qualità dei prodotti e dei servizi.
«Il rischio personale dei freelance: la consapevolezza che tutto dipende davvero da se stesso e non c’è alcun tipo di tutela o sostegno in caso di difficoltà. Il freelance (inteso come lavoratore autonomo, paragonabile a un imprenditore di se stesso) – commenta Nicola Corsano, imprenditore di prima generazione fin dai tempi dell’università e membro eletto del Consiglio Centrale Giovani Imprenditori Confindustria, è consapevole che più produce, più ha probabilità di acquisire nuovi clienti e di far crescere non solo le entrate bensì anche la sua fetta di mercato. Il freelance non costa a se stesso, quanto meno all’inizio perché disposto a non incassare per seminare il più possibile. Questo aspetto incide sulla produttività perché può lavorare anche più ore, giorni festivi compresi, rispetto a un dipendente che, volente o nolente, si trova inquadrato nel contratto di categoria. Riassumendo possiamo affermare che incide il collegamento della retribuzione con i risultati e la flessibilità; il valore dato al tempo; l’entusiasmo (un dipendente in genere ne ha meno, non è corretto generalizzare,ma spesso la routine gli è nemica); l’aspetto sociale perché i freelance tendono a non sentirsi parte del gruppo. Tutto questo genera solitamente due tipi di comportamento opposti: in alcuni casi si sentono sollevati dalla condivisione di responsabilità, quindi meno partecipi di quello che accade in azienda, limitandosi a compiere il proprio compito senza voler entrare nelle dinamiche di quello che accade. In altri casi, invece, sentendosi meno partecipi, vogliono integrarsi con determinazione dimostrandosi più volenterosi, cercando di portare valore aggiunto. È questa seconda tipologia che risulta la più produttiva, forse proprio perché come freelance ha la possibilità di vedere realtà e progetti diversi».
«Un freelance, in genere, ha operato la sua scelta – continua Nicola Corsano – derivando da esperienze di dipendenza; negli ultimi anni vedo che sono i dipendenti a guardare al freelance con invidia, senza immaginare nemmeno cosa voglia dire e cosa comporti quella parola che definisce uno status lavorativo. Per il freelance potrebbe, in momenti piuttosto complicati, essere invece frustrante. Ci si sente impotenti e soli in mezzo a tanto perbenismo di facciata. Tuttavia queste sensazioni sono esattamente quelle che funzionano da propulsore (per chi davvero crede in ciò che sta facendo), al fine di dare un nuovo slancio e ritrovare una grande forza per raggiungere e oltrepassare addirittura gli obiettivi che si è posto. Diventa una questione di principio, una dimostrazione verso se stesso che riesce a superare le difficoltà nel lavoro nonostante sia considerato invisibile e non degno nemmeno di una pacca sulla spalla da quasi tutto il contesto in cui opera.
La differenza forse più importante si manifesta in caso di malattia, conosco freelance completamente abbandonati a se stessi senza alcuna tutela. Per migliorare la situazione di lavoro dei freelance – conclude Nicola Corsano – è necessario operare diversi cambiamenti: abolire il sostituto d’imposta; promuovere formazione, competenza, consapevolezza del rischio e soprattutto merito; più flessibilità e collegamento tra la retribuzione e il risultato; tassazione del reddito in misura inversamente proporzionale al rischio di perderlo; promuovere maggiormente il welfare aziendale. Nei Paesi europei, quando leggo e mi confronto con i colleghi e con i clienti, osservo con grande evidenza un sistema più liberale nel fare impresa: meno vincoli, meno burocrazia, una politica industriale, maggiore welfare».
La situazione italiana deve cambiare drasticamente a favore dei freelance poiché il rischio di non assistere adeguatamente questi lavoratori potrebbe incidere pesantemente sulla produttività e sull’occupazione. Serve con urgenza introdurre in maniera strutturale alcune correzioni fondamentali come il welfare per garantire una maggiore tutela.
«Il mondo del lavoro, in questo preciso momento storico italiano, possiamo immaginarlo – commenta con una sua testimonianza Claudia Crocioni, Responsabile editoriale di Omnia One Group Editore – come un cono rigirato dove alla base, la porzione più comoda dell’area, ci sono tutti quei dipendenti adulti, spesso statali, che hanno potuto mantenere un impiego acquisito almeno un ventennio fa, lavoratori affermati, lontani dalle insicurezze dei precari e lontani tuttavia anche dal pensionamento, tirano avanti consapevoli della loro posizione che, per quanto stazionaria, resta privilegiata in termini di stabilità. Risalendo lungo il cono lo spazio si fa più stretto, ci sono i nuovi adulti, quei giovanotti nati negli anni ’70 che sono appena riusciti a entrare nel mondo del lavoro a fatica, magari dopo anni di mini contratti interrotti e poi ripresi, ora si vedono assegnare il tanto agognato tempo indeterminato; forse sulla soglia dei quarant’anni possono finalmente pensare di mettere su un loro nucleo familiare. Sopra loro, la punta del cono, è frequentata dai giovanissimi e da tutti quegli adulti che, perdendo il lavoro da dipendente di un tempo, non si sono arresi alla disoccupazione, o semplicemente non hanno rinunciato a rimettersi in gioco. Questo è stato il decennio dei freelance, delle partite Iva, dei regimi fiscali forfettari e del minimo. Cosa cambia rispetto al lavoro dipendente? Molto, tutto. Ci si libera della figura del datore di lavoro, sempre meno avvezzo a fare buona imprenditoria e sempre più orientato a sfruttare il dipendente minacciato ovunque da una concorrenza spietata. Ci si libera, cosa importantissima e forse più importante, di tutti quei paletti come gli orari prestabiliti, pause di cinque minuti contati, richieste di permessi anche per andare al bagno. Il freelance lavora quando vuole, dove vuole, insomma sembra quasi di uscire dal liceo per entrare all’università: l’indipendenza, specie in una società tanto frenetica, diventa un bene preziosissimo».
«Dulcis in fundo, il lavoratore autonomo – continua Claudia Crocioni – quasi sempre fa il lavoro che ha sempre desiderato fare, si sveglia la mattina e guadagna con i suoi hobby. All’apparenza il tutto sembra somigliare a una realtà idilliaca e il mondo del freelance rasenta a tratti quello che sembrerebbe il modo perfetto di vivere. E allora perché, perché molti giovani imprenditori di se stessi non smettono di auspicare al posto fisso, magari anche dentro a un supermercato, magari anche dopo il faticoso conseguimento di una laurea? Semplicemente perché rimettersi in gioco ogni giorno costa molta più fatica di quanto si possa pensare, semplicemente perché la pressione fiscale nel nostro Paese consente di guadagnare poco più del 20% del ricavato totale, semplicemente perché proporre alla gente un servizio oppure un prodotto che non abbia dietro grossi brand pubblicitari, che esca dagli standard commerciali di massa è diventato pressappoco impossibile. Il rischio per i giovanissimi è quello della rinuncia a coltivare i propri interessi, soprattutto quando si entra nella fascia d’età in cui bisogna produrre; una passione può essere sinonimo di genialità, estro, brillantezza intellettiva, ma se non tira fuori soldi a una certa età bisogna abbandonarla. Questo è un vero peccato, è un peccato che lo Stato chiuda gli occhi di fronte a questo fenomeno che conduce a un impoverimento socio-culturale molto più che grave».
«Personalmente sono giunta a un compromesso – conclude Claudia Crocioni – piuttosto snervante, nel dubbio faccio tutto, mi occupo di editoria a 360° amministrando una start up, free per gli autori meritevoli; ho studiato e lavorato contemporaneamente per cinque anni fino alla laurea, aiutando anche full time i miei genitori nella loro ditta artigianale. Da quando ho 19 anni faccio due lavori al giorno, nella speranza di raggiungere una stabilità dignitosa senza rinunciare alle mie ambizioni personali. Bisognerebbe semplicemente ricominciare a investire sulle idee delle persone, senza se e senza ma. È quello che faccio nel mio piccolo, trasformando le storie di molti in libri, e aspettando di uscire da questa crisi economica che sta sopprimendo il fervore di molte buone menti».
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