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“Non è più il tempo dei legami, ma delle connessioni” Luciano De Crescenzo  Nell’ubriacatura generale di iper connessione da cui nessuno è escluso (nemmeno il sottoscritto) diventa sempre più difficile riconoscere i Dottor Jekyll dai loro Mister Hyde. Giganti del post su Linkedin che presi in disparte, negli angoli dei buffet allestiti all’esterno dei convegni […]

“Non è più il tempo dei legami, ma delle connessioni”

Luciano De Crescenzo 

Nell’ubriacatura generale di iper connessione da cui nessuno è escluso (nemmeno il sottoscritto) diventa sempre più difficile riconoscere i Dottor Jekyll dai loro Mister Hyde. Giganti del post su Linkedin che presi in disparte, negli angoli dei buffet allestiti all’esterno dei convegni a cui sono stati invitati a illuminarci sul senso della vita l’ Universo e tutto quanto (cit.), si nascondono omuncoli senza carattere, dallo sguardo basso e la favella balbettante.

In genere si vestono di nero, la divisa che una volta identificava il becchino o tutt’al più i prestigiatori, che sdoganata da Steve Jobs e da Marchionne, aiuta la sparizione delle pance e in un certo senso anche dei contenuti.

Giovani fenomeni emergenti : dispensano teorie, ma pratica zero.

Ne ho visti diversi, sui palchi e i palchetti degli ultimi anni. L’ultimo era a Torino alla consueta riunione dell’Associazione dei (Finti)Giovani Figli di, invitato a ispirarci, grazie ad un numero spropositato di like accumulati sui profili social corredati di faccine sorridenti, missili e fulmini che da qualche tempo Linkedin ha implementato per migliorare ulteriormente la comunicazione, soprattutto fra coloro che una prestigiosissima rivista internazionale nella sua edizione per il Paese dei Manager da Apericena e Titolari di Capannoni, ha decretato quali “leader del futuro”. Un’operazione che sembra sia costata poco più di un migliaio di euro, sacrosanti, considerando l’abbinata online/offline e un paio di ribattute sulle sponsorizzate di Facebook. Un’offerta così, nemmeno sulla free press.

Il tempo delle connessioni, fortunatamente accessoriato dalla funzione “silenzia”, mi propone quotidianamente i video girati rigorosamente in auto, della giovane CEO per un mese. In quel mese deve avere accumulato un’esperienza enciclopedica visto che riesce a dispensare ogni santo giorno consigli e suggerimenti indistintamente su qualsiasi argomento che (pare)  le vengano richiesti  da follower e ammiratori che evidentemente vivono un periodo di grande difficoltà esistenziale, orfani di punti di riferimento.

C’è poco da scherzare. E se invece i video in auto nascondessero un disagio sociale? Talenti incompresi costretti a lavorare nell’ombra:

“E’ pronta la cena! Lavati le mani e vieni fuori dal garage!”

“Si Mamy, arrivo!”

Il garage. Da cui (quasi) tutto nasce, da Hewlett & Packard a Egomnia. Dalle spalle dei giganti è stato partorito uno dei più discussi casi di (in)successo, a metà strada fra la fuffa e la truffa.

Ma si sa, l’importante è fallire.

Gli spacciatori di lavoro e i manager della felicità.

L’ego© serious play© ha preso una brutta deriva al punto tale che moltitudini di disoccupati, sfiduciati dalle pessime pratiche dei recruiter – o forse ulteriormente preoccupati per l’avvento dei navigator – hanno ben pensato di affidarsi a persone prive di una benchè minima possibilità di supportare chiunque in un percorso di collocamento, essendo questi a loro volta disoccupati o titolari di ruoli secondari in Enti sconosciuti di Paesi non mappati, (nella peggiore delle ipotesi) o non meglio qualificati specialisti del settore turistico senza alcun ruolo strategico da poter inserire candidati nemmeno in qualità di addetti alla scavatura dei coni gelato. Dall’alto di un piedistallo di marzapane si propongono come “ripetitori”, attraverso le loro bacheche. di miserie umane che anelano a un posto di lavoro, qualsiasi esso sia.

Accanto a questi sconosciuti che ottengono pericolosamente migliaia di follower, si sono uniti nella pratica del “dillo a me che lo dico a tutti” anche la famosa ex presentatrice di canali di nicchia che con un birbante lavoro di personal branding è atterrata tacchi a spillo sulle cattedre della Bocconi e poi lanciata in ruoli internazionali. Meno fortunato il tristo Alessandro Cecchi Paone che ha provato a illuminarsi d’immenso con medesima pratica, ma non se l’è filato nessuno.

Bacheche come discount del collocamento, ai cui titolari qualcuno deve aver detto che questo sistema, attraendo migliaia di follower (come effettivamente, ingenuamente e inspiegabilmente accade), prima o poi attrarranno anche investitori e pubblicità. Come, non è dato sapere.

Fortunatamente è sparito dai radar il signore che voleva vendere azioni inesistenti di Linkedin Italia seguito da decine di promotori finanziari, responsabili amministrativi di piccole e medie aziende e esperti di finanza. Dio non voglia che i loro clienti e i titolari di azienda  li abbiano mai sorpresi a chiedere informazioni sull’acquisto di titoli azionari mai esistiti. Proponeva  metodologie di selezione applaudite dai più, che andavano dalle escursioni sui piedi delle candidate a furti di caffè nei bar.

Al momento, il nostro, risulta “trattenuto”.

In una chiesetta sconsacrata della riviera romagnola vive il Charles Manson del marketing internazionale che si vanta di “tirare su” l’umore dei suoi dipendenti erogando in busta paga qualche grammo di cannabis. In una delle sue perle comunicative spiegava come ha fatto ad essere l’utente italiano più seguito su Linkedin, mentre qualcuno meno guru di lui, gli spiegava che il dato si riferisce a una mail che Linkedin ha spedito praticamente a tutti, in funzione della PROPRIA rete personale.

Il peccato veniale di chi è in overdose da L’Ego© Serious Play©

A questa allegra brigata di buontemponi naturalmente si aggiunge tutto il mondo degli startupper baciati dal destino su cui ultimamente si sta accanendo con grintoso spirito giornalistico Germano Milite, giovane editore di You.ng e Marco Camisari Calzolari nella rinnovata veste di inviato di Striscia. Dichiarano fatturati miliardari, clienti multinazionali, consulenze e operazioni finanziarie che Lupo di Wall Street, nasconditi. Si fanno fotografare sul bordo di piscine hollywoodiane sorseggiando cocktail fruttolosi o sui palchi di innominabili convegni quasi sempre dalle parti di Dubai. Hanno dei nomi improbabili come “Big Luca” o “Mik Cosentino” che insieme a Serpico e Frank Merenda sarebbero sufficienti per fare poker o uscire di soppiatto dal set di un film di Francis Ford Coppola.

E poi il selfone.

Il selfone aziendale, il selfone con lo sportivo (che ha lo sguardo classico da intrappolato suo malgrado a sorridere felice con orde di sconosciuti), il selfone con l’aula in cui stai facendo il corso di comunicazione, il selfone del meeting, il selfone della cena di gruppo. il selfone del selfone.

Ma non sarebbe più onorevole e rispettoso che a testimoniare la qualità di un incontro fossero coloro che vi hanno partecipato e come un modello tripadvisor si sentissero motivati e felici di chiedere LORO una foto tutti insieme per ricordare il momento, anzichè essere usati come testimonial di un evento di cui sono anche sponsor (e che fra le altre cose potrebbe anche avergli fatto schifo)? Ci tengo a precisare, NON SONO CONTRARIO ALLE FOTO DI GRUPPO. Sono contrario alle AUTO-FOTO di Gruppo. 

Se un corso è stato efficace e il docente coinvolgente, saranno i partecipanti a chiedere una foto di gruppo, non il faccione deformato in primo piano lato sinistro e il gruppo di incastrati a fare da sfondo. Sono due cose diverse. Se uno speech è stato ispiratore, non c’è niente di più appagante che condividere la foto ed il post di chi ti ha fotografato ed espresso un bel commento. O meglio ancora, citare una frase che lo ha colpito.

Le referenze devono essere motivate.

Siamo passati dal chiedere ai nostri contatti quale sia il posto migliore per alloggiare a Barcellona (giusto per far sapere a tutti che stiamo andando a Barcellona gnegne) a chiedere alla propria rete di referenziare professionisti e manager.

Dopo qualche risposta, ho chiesto a Luca Carbonelli che recentemente ha pubblicato un post simile chiedendo ai suoi contatti di indicare donne manager di spessore. se avesse potuto aggiungere alla domanda anche una specifica: “Perchè le ritenete tali?” mentre fioccavano nomi improbabili e addirittura numerose auto candidature.

Qualche tempo fa per un reportage per questo giornale che voleva approfondire buone e cattive pratiche del modello startup chiesi ai miei contatti Facebook di farmi nomi di Persone che fossero esperti conoscitori di luoghi di innovazione o che avessero avuto a che fare con incubatori ed acceleratori. Sono venuti fuori circa una cinquantina di espertoni inspiegabilmente referenziati. Con la redazione li abbiamo contattati tutti. Non ce n’è stato nemmeno uno che ci abbia confermato attinenza con il settore, conoscenza di dati o di fatti riscontrabili, competenze in materia. Nemmeno uno.

E adesso… il #plasticfree.

La sostenibilità non poteva di certo mancare nel teatrino della sfida all’ultimo like. Anche le aziende da un paio di mesi a questa parte, stanno infestando le bacheche di foto in cui improvvisamente ci si scopre ambientalisti. Tutti insieme, tutti in contemporanea, tutti coerentemente ambientalisti.

Non è passato nemmeno un giorno dall’ultimo pallet di minerale scaricato sul piazzale, che già si sentono eroi per un giorno avendo sostituito le bottigliette di plastica con le borraccette d’acciaio. (Solo una domanda: dove le andate a riempire quelle borracce?).

Anche il sindaco più growth hacker d’Italia non ha resistito ai suoi 5 minuti di Greta Serious Play. Naturalmente a favore di fotografi e telecamere.

Siamo serious. Passiamo al prossimo play.

 

 

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