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Madre Russia, figlio COVID-19
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha ridisegnato le abitudini. Ci ha costretti al necessario, abbandonando il superfluo; a uscire di casa con un’autocertificazione in mano e una motivazione valida per le forze dell’ordine. Le immagini che ci arrivavano dalla Cina sembravano lontane e ovattate, figlie di una cultura diversa dalla nostra. In pochi giorni una […]
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha ridisegnato le abitudini. Ci ha costretti al necessario, abbandonando il superfluo; a uscire di casa con un’autocertificazione in mano e una motivazione valida per le forze dell’ordine. Le immagini che ci arrivavano dalla Cina sembravano lontane e ovattate, figlie di una cultura diversa dalla nostra. In pochi giorni una “banale influenza” è diventata una pandemia che genera quotidiani bollettini di guerra: persone che se ne sono andate, ospedali riconvertiti per il COVID-19, medici e infermieri al fronte per combattere contro qualcosa che la scienza sta ancora studiando.
Non siamo solo noi, anche se l’Italia ha pagato finora un prezzo altissimo. Il mondo intero si è ritrovato a convivere con il virus, con le misure di contenimento, con l’ignoto di una malattia che svela ogni giorno nuovi elementi da studiare.
Tra i Paesi che inizialmente sembravano non essere stati nemmeno sfiorati dal coronavirus c’è la Russia, che inviava all’Italia personale specializzato e macchinari medici per ventilazioni e disinfezione. Attualmente, il numero dei nuovi casi COVID-19 nelle città russe sta salendo. Sono 6.361 in più, secondo i dati forniti dall’agenzia Tass. Il numero dei casi confermati sale a 80.949. Nel momento in cui scriviamo le persone decedute sono 747, mentre sono 6.767 quelle dichiarate guarite dopo aver contratto l’infezione.
Sono riuscita a contattare due italiani che abitano in Russia. Ho chiesto loro di spiegarmi come stanno vivendo quest’emergenza, tra il pensiero delle loro attività commerciali, che potrebbero avere ripercussioni dopo l’emergenza sanitaria, e quello dei loro familiari, che si trovano a Brescia e Treviso, e che possono sentire solo telefonicamente o via Skype.
Russia e COVID-19, l’italiano a Mosca: “All’inizio lo hanno sottovalutato. Solo adesso si sono resi conto della sua gravità”
Valentino Bontempi è un imprenditore che ha scelto Mosca come sede di sei locali tra ristoranti e pizzerie.
“Sono a Mosca dal 2005, quando sono arrivato per alcune consulenze come chef di cucina. Nel 2009 ho aperto il mio primo ristorante Bontempi con partner russi, e nel 2014 ho aperto il primo dei miei sei ristoranti Pinzeria by Bontempi, sempre a Mosca. Ho una ditta di importazione e una fabbrica dove faccio la preparazione di pasticceria e pasta fresca, che distribuisco per i miei ristoranti. In totale 198 dipendenti.”
Come ti sei reinventato nel pieno dell’emergenza sanitaria da coronavirus?
Chiaramente è una situazione non facile da sostenere. Devo dire che non ero del tutto impreparato, questa emergenza coronavirus l’ho seguita tramite la televisione italiana dall’inizio, fin dai primi casi in Cina, e sapevo che con ritardo questa onda sarebbe arrivata anche qui. E infatti anche qui è arrivata, ancora non sono in grado di rendermi conto con che intensità e gravità. Anche qui le restrizioni prima sono cominciate in modo lieve, sotto forma di vacanze pagate, fino ad arrivare a limitazioni più disciplinate e alla chiusura di tutte le attività. Da subito ho ridotto il grafico lavorativo in modo da diminuire i costi. Fortunatamente un anno fa ho aperto la delivery e ho convertito parte del personale in driver per le consegne a domicilio. Questa conversione non mi salva sicuramente, ma credo che possa farmi da cuscino, e se si resiste renderà probabilmente meno complicato ripartire. Ho circa 25/30 ragazzi che per il momento sono in sospeso; ho pagato il mese di marzo con vacanze, pagherò loro lo stipendio sicuramente per il mese di aprile, e poi vedrò. Le decisioni le prendo passo passo.
In Russia, nello specifico a Mosca, dove vivi e lavori, qual è la percezione che avverti rispetto al rischio dei contagi da coronavirus?
Per ciò che riguarda la gente comune, non hanno preso sul serio questa epidemia sin dall’inizio: è stata sottovalutata. Solo adesso si sono resi conto della sua gravità. Tutti passeggiano con mascherina e seguono alla regola le decisioni prese a livello governativo, anche perché sono rigidi nel sanzionare e far rispettare le decisioni prese dal governo. A livello statale hanno invece preso provvedimenti sin da gennaio, hanno chiuso le frontiere con la Cina, alcune scuole e università sono state messe in quarantena da subito, ma non è bastato, credo. Da quando è esploso ufficialmente in Lombardia il virus era già presente anche qui; controllare una metropoli di 14 milioni di persone è difficile, e questo virus a quanto pare non perdona. A essere sincero ho fiducia nella gestione di questo problema da parte del governo russo, anche se so che saranno molto rigidi nel far rispettare quello che decidono. La Russia è una nazione che ha da sempre a che fare con situazioni difficili come sanzioni, conflitti, guerre, e probabilmente anche situazioni batteriologiche. Per ciò che riguarda me e i miei dipendenti sul posto di lavoro, siamo tutti preoccupati e cerchiamo di lavorare in sicurezza con guanti, mascherine e disinfettanti.
I tamponi che permettono di verificare la positività al COVID-19 a Mosca vengono effettuati a tutti. Nello specifico, hai avuto modo di fare il test?
I tamponi venivano fatti in aeroporto a chi proveniva dall’Europa, ma solo a chi proveniva dall’Italia, non a chi proveniva da altre nazioni, per cui non sono serviti a fermare il virus. Vengono fatti a chi si ricovera, credo. Sono comunque disponibili in qualche clinica. Io non ho fatto nessun tampone, anche perché appena sono stati disponibili gli ambulatori sono stati presi d’assalto per fare il test, e ho avuto l’impressione che avrei potuto contagiarmi proprio andando lì a verificare il mio stato di salute. Per cui ho deciso di non farlo.
Sei originario di Brescia. Hai famigliari lì? Comunichi facilmente con loro?
Sì, sono originario di Brescia, una delle città maggiormente colpite dal virus. A Brescia vive mia madre, che sentiamo in videoconferenza almeno tre volte al giorno, quando mi sposto in macchina da un ristorante all’altro. La copertura internet è molto buona, e capita anche che ceniamo assieme la sera. Chiamiamo spesso soprattutto per essere vicini psicologicamente: so per certo che potrò incontrarla di persona tra molto, molto tempo.
Quali sono le misure di contenimento adottate?
Il sindaco di Mosca ha firmato un nuovo decreto che chiarisce le modalità di utilizzo dei pass digitali per muoversi sul territorio della città di Mosca e della Regione di Mosca, con i trasporti pubblici e con mezzo proprio. I pass sono emessi da lunedì 13 aprile 2020 e sono obbligatori per effettuare viaggi da mercoledì 15 aprile 2020. Per ora è possibile muoversi all’interno della città a piedi, osservando rigorosamente le regole e le restrizioni stabilite, come non allontanarsi più di 200 metri dalla propria abitazione per far passeggiare con il cane e andare al supermercato non più di due volte il giorno. Il sistema di pass ha carattere dichiarativo: tutti possono ottenere un pass digitale e l’elenco delle motivazioni per le quali è possibile viaggiare rimane aperto. In ogni caso le autorità cittadine si riservano il diritto di verificare l’accuratezza delle informazioni fornite. I controlli verranno effettuati con sistemi informativi e con controlli diretti sulle strade e sui trasporti pubblici. Il pass può essere richiesto sul portale MOS.RU con una procedura molto semplice; viene rilasciato in forma elettronica e consiste in un codice speciale composto da numeri e lettere: i primi 4 caratteri indicano la data di scadenza del pass, i restanti 12 caratteri consentono di identificare il proprietario e lo scopo del viaggio. Il codice QR sul pass permette una verifica rapida delle informazioni da parte degli organi di controllo.
San Pietroburgo, non lockdown ma auto-isolamento. E i russi scappano nelle dacie
L’altro italiano che lavora in Russia è Manlio Casagrande, che si trova a San Pietroburgo.
“Vivo qui da circa 14 anni. Per quanto riguarda la mia agenzia turistica, il nostro core business sono i visti per la Russia, che sono crollati in quanto le dogane ora sono chiuse, e gli appartamenti in affitto in centro a San Pietroburgo. Con quest’ultima tipologia, anche se a prezzi più bassi rispetto alla media degli altri anni, stiamo continuando a lavorare. Riceviamo gli ospiti con modalità di self check-in, che abbiamo attivato già un anno fa, una forma di accoglienza senza contatto personale apprezzata dai clienti in questo periodo. Inoltre abbiamo messo a disposizione i nostri alloggi per tutti coloro che desiderano stare in isolamento dai famigliari più anziani, con particolare attenzione alla pulizia con disinfettante. Devo dire che fino a quando non hanno soppresso voli e treni dalla Russia per San Pietroburgo, quindi fino a metà marzo circa, anche senza stranieri ma solo con i russi abbiamo lavorato abbastanza bene: avere buone recensioni ci fa stare nella parte alta dell’algoritmo dei portali di prenotazione. Tuttavia il turismo è incentrato sui trasporti, e con i trasporti fermi è difficile reinventarsi completamente. Stiamo però ora portando avanti delle idee parallele che potrebbero trovare sbocco alla fine dell’anno. Con la ristorazione abbiamo preso la palla al balzo e inserito la consegna a domicilio.
Anche Manlio Casagrande ha tutti i familiari in Italia, in provincia di Treviso: “Sì, più precisamente di Vittorio Veneto, paesino sulle Prealpi in provincia di Treviso, quasi al confine con il Friuli. C’è la mia famiglia, con cui sono in contatto tramite Skype: naturalmente il lockdown non è un fenomeno che passa inosservato e chiunque viva in zona ha dovuto cambiare drasticamente il proprio stile di vita. Fortunatamente nessuno è stato direttamente coinvolto con la malattia, e in fin dei conti è questa la cosa più importante”.
“Come mi pare in tutti gli stati, la popolazione all’inizio sottovaluta fortemente l’impatto che può avere questo fenomeno nella vita di tutti i giorni. Ma a mano a mano che si alzano le misure protettive, anche le persone capiscono l’importanza e la responsabilità di dover assumere atteggiamenti corretti. Qui a San Pietroburgo hanno alzato l’asticella ogni 2-3 giorni: le misure sono diventate sempre più restrittive con gradualità, forse per non spaventare la popolazione (qualcuno tra i più anziani ricorda ancora gli scaffali vuoti e le lunghe file degli anni Novanta). Qui non c’è un vero e proprio lockdown, ma auto-isolamento: il che significa che quasi tutti i negozi sono chiusi, oppure lavorano con modalità di consegna a domicilio; i parchi sono chiusi, non ci sono possibilità di grandi assembramenti, tuttavia in strada le persone camminano e non c’è quel livello di controllo che ho visto in Italia. E in più tantissimi sono alla dacia: è un’eredità sovietica, la casa di campagna che molti russi possiedono per rifiatare dalla vita metropolitana, e dove stanno trascorrendo questo periodo. La dacia non si trova in paesini, ma proprio in appezzamenti di terreno sparsi nell’infinita campagna russa; pertanto, se non si hanno sintomi da coronavirus, è il luogo ideale per trascorrere queste ferie forzate.”
“Da quello che so è possibile fare il test a San Pietroburgo solo se si presentano dei sintomi da coronavirus, rivolgendosi a delle strutture ospedaliere. Tuttavia al momento non abbiamo richiesto di poter effettuare il test, e non saprei dare una risposta precisa sulla fattibilità o meno della cosa. Parlando per esperienza, devo dire che a San Pietroburgo in genere è possibile fare test clinici con una facilità sorprendente: ci sono cliniche che lavorano h24, e se una persona ha bisogno di fare degli esami in genere in 1-2 giorni può farli e avere risposta tramite mail. Quando ne ho avuto bisogno ho trovato una rapidità che non pensavo potesse esistere a dei prezzi tutto sommato contenuti. Però, ripeto, per quello che riguarda il COVID-19 la situazione potrebbe essere più complicata. Non me la sento di dare un’opinione: sarebbe meglio chiedere a qualcuno realmente informato sui fatti.”
Photo credits: Sky tg24
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