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Malattia e visita fiscale, la (non proprio sottile) linea di confine tra pubblico e privato
«Malattia». Quante volte questa parola è comparsa sui certificati medici di un lavoratore? E quante volte la cronaca ci ha restituito casi di «furbetti» malati che poi così malati non erano? Più che disquisire sulle effettive motivazioni di certe assenze dal lavoro, abbiamo provato ad andare alla base, per capire come va gestita la malattia, […]
«Malattia». Quante volte questa parola è comparsa sui certificati medici di un lavoratore? E quante volte la cronaca ci ha restituito casi di «furbetti» malati che poi così malati non erano?
Più che disquisire sulle effettive motivazioni di certe assenze dal lavoro, abbiamo provato ad andare alla base, per capire come va gestita la malattia, lavorativamente parlando, e quali sono le novità in ambito normativo sulla cosiddetta visita fiscale, ossia la modalità di accertamento della malattia da parte del datore di lavoro. Malattia che deve essere innanzitutto testimoniata dal lavoratore attraverso certificato medico da inviare telematicamente all’Inps da parte del medico curante entro 24 ore dalla visita. A effettuare le visite fiscali è, nel caso del settore privato, l’Inps, che può svolgerle già a partire dal primo giorno di malattia, per il pubblico sono le Asl.
Ad approfondire con noi il tema è Francesco Rotondi, giuslavorista e tra i soci fondatori di LABLAW studio legale, partendo proprio dalle novità, «non molte in verità», spiega, contenute nel Jobs Act. Quando è in malattia, il lavoratore ha diritto a restare a casa e a essere pagato, purché sia necessariamente a casa negli orari previsti per la visita fiscale, tranne in caso di determinate malattie contenute in un elenco nel decreto legge 206 del 18 dicembre 2009, che giustificano l’assenza dalla visita. Lista che con la nuova normativa è stata ampliata: «si tratta di una serie di patologie, legate al lavoro, cancerogene, psichiche o malattie che mettono a rischio la vita stessa del dipendente», commenta Rotondi.
Da gennaio 2015, attraverso un provvedimento della Pubblica Amministrazione, è stata estesa la fascia di reperibilità legata alla visita fiscale per i dipendenti pubblici. «Per il settore privato la fascia di reperibilità va dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 tutti i giorni della settimana. Nel pubblico è ora stata estesa: 9-13 e 15-18 sono gli intervalli di tempo interessati». Queste fasce orarie valgono dal primo giorno, sette giorni su sette, anche per tutti i festivi.
Questo aggiornamento introduce un aspetto rilevante, forse il più significativo nell’approccio al tema: la discrepanza tra settore privato e pubblico. Al di là della novità legata alla fascia di reperibilità, c’è più di una questione sul tavolo. Primo, la differenza tra i soggetti che effettuano la visita e le modalità: «nel privato è l’Inps ad avere questo compito, che può agire a campione o su richiesta del datore di lavoro e il costo è a carico di entrambi. Nel pubblico impiego sono le Asl a occuparsi delle visite su richiesta della Pubblica Amministrazione cui fa capo il lavoratore. Il costo è totalmente a loro carico e non sempre c’è un numero sufficiente di medici disponibili». Tutto questo comporta una forte differenza di cifre tra privato e pubblico, «per un rapporto dieci volte maggiore del primo», continua Rotondi.
Una possibile soluzione è la previsione di un «polo unico per le visite fiscali, previsto dal ddl Madia».
Un secondo tema riguarda le sanzioni in caso di assenza. Attualmente, nel settore privato, nell’eventualità di un’assenza alla visita fiscale si perde il diritto alla retribuzione in malattia (la decurtazione è del 100% per i primi 10 giorni di malattia e del 50% in quelli successivi). Il lavoratore ha comunque 15 giorni di tempo per giustificare la propria assenza attraverso le opportune certificazioni. Nel pubblico invece non è prevista questa disposizione: «oggi nel pubblico l’assenza dalla visita fiscale non ha rilevanza disciplinare. Si sta pensando di inserire tra le cause di rottura del rapporto di lavoro l’assenza alla visita fiscale. Attualmente molti licenziamenti sono frenati dalla presenza del danno erariale, che, qualora il licenziamento fosse avvenuto senza un motivo valido, l’azienda è costretta a pagare», conclude Rotondi.
Anche questi ultimi temi rientrano nel cosiddetto ddl Madia, che punta a rivedere alcuni aspetti della Pubblica Amministrazione, dalla riorganizzazione dell’amministrazione statale alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
I punti critici sono stati individuati, ora tocca solo aspettare e sperare.
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