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Meno fashion e più stile: la manifattura dialettale pugliese
“A uomini e donne pugliesi, maestri della sartoria, chiediamo una nuova collezione che affondi le radici nella storia della migliore sartoria, un vero esercizio di stile e di creatività nel nome di un impeccabile Made in Puglia”. (Kean Etro) Pensavo di aver letto male. Maestri? No, non siamo abituati ad essere chiamati così. Al massimo […]
“A uomini e donne pugliesi, maestri della sartoria, chiediamo una nuova collezione che affondi le radici nella storia della migliore sartoria, un vero esercizio di stile e di creatività nel nome di un impeccabile Made in Puglia”. (Kean Etro)
Pensavo di aver letto male. Maestri? No, non siamo abituati ad essere chiamati così. Al massimo succede quando l’oggetto della discussione è il cibo. Le friselle, le bombette, l’olio d’oliva. Benvenuti in Puglia. Allora sì che possono chiamarci maestri. Ma il Made in Puglia, così come il Made in Campania, associato alla sartoria non l’avevo ancora considerato. Ma il lavoro tramandato di padre in figlio, o di madre in figlio, è uno dei punti di forza della mia regione, ancora di più adesso che i lavori del futuro sembrano essere tornati quelli di un tempo. Non è un paradosso pensare che la manualità faccia la differenza, in termini di branding e fatturato, in un’epoca in cui la digitalizzazione, a volte forzata, sembra padroneggiare la scena. Sembra, perché in realtà il digitale può essere anche omologazione, e la manifattura digitale diventa, ad esempio, per Etro “manifattura dialettale“: un progetto che si colloca al centro della più bella regione del mondo (perdonate lo spirito campanilistico), in quella Valle D’Itria che piace sempre di più ai VIP (qui si è sposato Justin Timberlake, hanno comprato casa Paola Barale e Raz Degan, ha passato recentemente le vacanze Leonardo Di Caprio), così come piace, e molto, ai Maya, che l’avevano eletta terra di salvezza nel 2012 quando la fine del mondo avrebbe dovuto colpire tutto il mondo tranne Cisternino.
A cavallo tra numerosi dialetti la Valle D’Itria è un distretto nel distretto, perché comprende paesi che fanno parte di diverse province. Da Alberobello, provincia di Bari a Martina Franca, Taranto. Fino, appunto, a Cisternino, nel brindisino. Ad accomunarle ci sono i trulli, un tipo di costruzione a secco unica nel suo genere che affascina tutti i turisti del mondo, giapponesi in primis. Una terra rigogliosa, rossa come la fatica di chi la coltiva, una brezza fresca che spira anche nelle notti d’estate, quando altrove il clima è afoso mentre qui ti puoi godere un bicchiere di vino e l’aria buona della valle. Un posto dove mangiare è un’esperienza mistica e ancora alla portata delle tasche dei turisti, i prodotti sono a chilometro zero e i pomodori sanno ancora di pomodori, specialmente se l’olio è quello buono del frantoio. Ecco, è in questo contesto che il distretto del tessile pone le basi per diventare una Sartoria felice, un’occasione preziosa per riflettere su nuovi modelli imprenditoriali dotati di una importante componente etica e di una forte dote di sostenibilità.
Per chi vive, per chi lavora, per chi deve ideare, lontano dal fashion a tutti i costi e più vicino allo stile, alla sartoria italiana. Qui Kean Etro ha deciso di fare impresa in maniera responsabile, oltre 300mila capi l’anno e che partecipano con il loro “sapere, trasmesso di generazione in generazione”, alla realizzazione della collezione uomo. A Martina Franca (Ta), a pochi minuti da Alberobello, Etro annuncia di prevedere per il 2015, per i laboratori pugliesi, un incremento di commesse nell’ordine del 15% circa nonché l’apertura di un ufficio di rappresentanza. Non è semplice in periodi come questi trovare imprenditori che vogliono investire al Sud, ma evidentemente il richiamo della Valle d’Itria è forte anche per un marchio internazionale.
“Da vent’anni – dice Kean Etro – scelgo di produrre parte dei miei capi in laboratori pugliesi, talvolta rappresentati da piccole realtà matriarcali nelle quali l’arte sartoriale artigianale si esprime in prodotti di alta qualità e viene tramandata di madre in figlia nel rispetto dei ritmi di vita e lavoro. Ho iniziato questo mestiere a Napoli e a Bari in sartoria, passando lunghe giornate a creare e a giocare con i maestri. Sono ancora profondamente coinvolto in questo fare tutto locale che cerco sempre, su e giù per la penisola”.
Non è una caso che, in un periodo di delocalizzazione, e di aumento esponenziale dei ritmi della produzione, alcuni tra i brand più forti del settore del tessile siano rimasti ben ancorati al proprio distretto, al territorio, aumentando anzi la peculiarità della propria presenza, a scapito di una presunta internazionalità che alle volte si è rivelata un boomerang. È il caso di Marinella che non solo sceglie di non investire sull’e-commerce, ma addirittura rinuncia a qualsivoglia strategia social in cambio di una promessa: veniteci a trovare a Napoli e vi offriremo il caffè e la sfogliatella la mattina. In Puglia i maestri sono ex ragazzi di bottega: è cresciuto così, a Latiano, in provincia di Brindisi, Carlo Pignatelli, mentre è partito da Ginosa, per restarci, Angelo Inglese dell’omonima Sartoria. Cosa hanno in comune questi modelli: indubbiamente il saper fare, che è molto più affascinante del know how. Perché è frutto di esperienza, di un lavoro iniziato molto presto, poi raffinato e perfezionato con vecchie Singer.
“Da mia nonna ho ereditato la grande curiosità – ha dichiarato Angelo Inglese a Repubblica – e la voglia di scommettere sulla qualità. Di mio ho messo la voglia di trasferire all’estero la vera essenza del made in Italy. Che non può ridursi ad una griffe. Ma deve tradursi in eccellenza. È questo che il mondo si aspetta dagli italiani. E nel campo della moda la qualità per noi resta la scelta vincente“. Oggi l’artigiano pugliese è corteggiato da mezzo mondo. Gli hanno offerto cifre da favola per vendere il suo marchio, così come hanno fatto i cinesi con Marinella. O semplicemente per trasferire da un’altra parte il suo talento. Lui però non vuole lasciare Ginosa. «È cominciato tutto da qui. Ed è qui che deve continuare». Nel rispetto dei ritmi di vita e del lavoro, nel distretto più bello del mondo.
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