Arbitri, nuove opportunità per un hobby serio

Gli appassionati la definiscono una delle attività più interessanti che si possa svolgere. È nobilitante, insegna il rispetto per il prossimo e il valore delle regole. Forgia il carattere abituando l’essere umano a relazionarsi nella quotidianità, e quindi anche nel mondo del lavoro, con il massimo rispetto possibile per se stessi e per gli altri. […]

Gli appassionati la definiscono una delle attività più interessanti che si possa svolgere. È nobilitante, insegna il rispetto per il prossimo e il valore delle regole. Forgia il carattere abituando l’essere umano a relazionarsi nella quotidianità, e quindi anche nel mondo del lavoro, con il massimo rispetto possibile per se stessi e per gli altri.
Ma il “mestiere” di arbitro richiede anche un’enorme responsabilità. La difficoltà più grande non è tanto diventare arbitro. Per quello è indispensabile passione, forza di volontà, perseveranza. La vera difficoltà è operare sul campo. Ci vuole calma, sangue freddo, fermezza e spirito di sacrificio. In pochi minuti si è chiamati a prendere decisioni che possono cambiare le sorti di una partita. Diventare bravi arbitri è un processo continuo che non si arresta neppure quando si raggiungono i massimi livelli.

In Italia i “fischietti” iscritti alle varie sezioni AIA (Associazione Italiana Arbitri) sono circa 35.000.
Si possono iscrivere alle sezioni territoriali dell’AIA tutti i ragazzi di ambo i sessi dai 15 ai 35 anni. Si inizia a seguire gratuitamente un corso per arbitri al termine del quale gli aspiranti sostengono un esame finale, acquisendo una specifica qualifica. A quel punto, si consegue l’abilitazione per l’esercizio dell’attività. Si comincia dal settore giovanile sotto la supervisione di un tutor, l’Osservatore arbitrale che lo segue nei primi passi. Poi ci sono gli allenamenti: gli arbitri devono superare i test atletici periodici e, ogni anno, si sottopongono a visite medico-agonistiche.

Gli arbitri di calcio, che operano nelle massime serie, guadagnano somme che permettono loro di sostenere un tenore di vita agiato. Ma si tratta pur sempre di una diaria, che si percepisce per ogni partita disputata. Compensi neppure paragonabili ai lauti profitti dei calciatori e di tutti coloro che gravitano attorno al “business marketing” del calcio mercato. “Gli arbitri percepiscono un’indennità con cessione dei diritti d’immagine, che va dai 28.000 ai 55.000 euro annuali per gli arbitri di serie B; dai 45.000 agli 80.000 euro per un arbitro di Serie A. Per gli assistenti di Serie A si va dai 14.000 ai 23.000 euro annui; per quelli di serie B, dai 9.000 ai 15.000” spiega Marco Musolino, assistente arbitrale uscente di CAN A. Le spese per le trasferte sono a parte e rendicontate con regolare fatturazione. Fino a una decina d’anni fa, il Regolamento dell’AIA vietava agli arbitri di fare sponsorizzazioni. Si ricorda il caso di Collina che nel 2004 fu richiamato all’ordine dai vertici del direttivo nazionale per aver stipulato un contratto pubblicitario con la Opel, sponsor del Milan. Negli ultimi anni c’è stata una deroga al Regolamento.  L’AIA può autorizzare con il permesso del Presidente Nazionale la stipula di un contratto pubblicitario purché non ci sia conflitto di interesse tra la sponsorizzazione dell’arbitro e quella delle società di calcio.

A differenza dei calciatori, non hanno un ingaggio contrattuale vero e proprio. Neanche se si arriva a disputare una finale di Premium League, un Mondiale di Calcio o un Campionato Europeo si può parlare di professionismo. “Le sezioni arbitri vivono delle quote associative e degli eventuali contributi che l’AIA trasmette attraverso la FIGC” argomenta Nicola Favia, presidente della Sezione AIA di Bari. Se un arbitro si fa male durante gli allenamenti o durante una gara, la FIGC mette a disposizione in qualunque categoria, con un contributo minimo di 5 euro, un’assicurazione che prevede una indennità di risarcimento in caso di infortunio.

Fare l’arbitro è un “hobby professionale” che richiede grande responsabilità. Gli arbitri sono tenuti a conoscere e a seguire un Regolamento che è unico, dal calcio professionistico a quello dilettantistico. Sono sottoposti ad uno sforzo atletico e psicologico molto elevato. Forse superiore a quello di un calciatore. Sono costantemente nel mirino dell’opinione pubblica che al minimo errore li giudica. “Ciò che manca in Italia è l’accettazione dell’errore dell’arbitro. Siamo più propensi ad accettare l’errore del calciatore o del portiere che non para un rigore” sottolinea Favia.

Grazie al presidente dell’AIA, Marcello Nicchi si è costituito negli ultimi anni un Osservatorio contro la violenza, con un “pool” di avvocati che seguono gratuitamente i “fischietti” che subiscono atti vandalici, in qualunque categoria. È stata istituita dalla FIGC la responsabilità amministrativa delle società di calcio che dovranno risarcire nel caso in cui a compiere gli abusi nei confronti degli arbitri siano i tifosi. Attualmente, quando un calciatore o un dirigente ha una squalifica per un certo numero di giornate o accadono incidenti in campo, la società viene punita con una multa il cui pagamento va sui fondi della FIGC. L’obiettivo di Nicchi è creare un fondo specifico per gli arbitri che subiscono atti di comprovata aggressione fisica.

Quando si arriva ad arbitrare le partite delle massime serie, l’attività assume un contorno più professionalizzante perché assorbe maggiori energie fisiche e mentali. In quel caso, può accadere che gli arbitri lascino il lavoro a tempo pieno, che fino a quel momento era stata la primaria fonte di sostentamento. È difficile conciliare i due impegni, tenendo conto i ritmi serrati con cui avvengono gli allenamenti (almeno tre volte a settimana), i ritiri (il giovedì ogni 15 giorni) e le trasferte (dal venerdì alla domenica).

La maggior parte degli arbitri di Serie B e di Serie A svolgono la libera professione (commercialista, avvocato etc.) che permette di gestire più autonomamente i tempi e gli spazi. Al di sotto della serie B invece è opportuno che gli arbitri conservino ben stretto il loro lavoro. Man mano che si scende verso il dilettantismo, infatti, gli introiti diminuiscono vertiginosamente. Gli arbitri a livello sezionale prendono un rimborso spese chilometrico a partire dai 30-35 euro per ogni partita del settore giovanile.

Quelli delle massime serie, vengono sottoposti  al vaglio dell’Osservatore arbitrale e dell’Organo tecnico, una èquipe di gestione delle risorse umane. Anche se i veri “talent scout” dei giovani arbitri sono all’interno della sezioni AIA, dove veramente si comprende chi ha la stoffa per proseguire a livelli agonistici. La serie B, poi, è una categoria delicata. “Lì ti giochi tutto, se hai arbitrato bene sali in A, altrimenti rischi di tornare a casa o viene designato in un altro ruolo. L’arbitro è al banco di prova non solo nelle massime serie ma anche in tutte le altre categorie” commenta Musolino. Ogni 15 giorni, i “fischietti” sono sottoposti a continui controlli e visite sanitarie a Coverciano (Firenze) e a Sportilia (in Umbria), a prove di conoscenza del Regolamento e a test atletici periodici. Fino alla Can Pro, questi avvengono in media tre volte a stagione.

Negli ultimi anni stanno nascendo sul territorio nazionale degli short master, con il patrocinio della FIGC e la compartecipazione dei poli accademici e delle sezioni arbitrali. Per esempio, quello che sta nascendo a Bari, con il contributo dell’UniversitàAldo Moro” di Bari, le sezioni pugliesi dell’AIA, l’Ordine regionale degli Avvocati e dei Commercialisti prevede il riconoscimento della qualifica di esperto in “Organizzazione e Gestione delle Società e degli enti Sportivi” con percorsi che delineano nuove figure professionali (ad esempio manager ed avvocati specializzati in diritto dello sport). Specializzazioni che potrebbero essere utili anche al potenziamento della classe arbitrale. Il settore dunque è in grande fermento.

[Credits immagine: Primocanale.it]

 

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