La solidarietà in una tazza di caffè. Napoli ha fatto scuola, ispirando diverse iniziative solidali in Italia e nel mondo. E, in periodo di pandemia, si estendono anche a tamponi e mascherine.
“Mi chiamo Michele Monina e, sì, la faccio più lontano degli altri”
“Con Fedele Confalonieri ho fatto una gara di pipì, a chi la facesse più lontano. Mi son fatto la pipì sulle scarpe, ha detto poi lui. Allora hai vinto tu, ho risposto.” L’aneddoto raccontato da Silvio Berlusconi, nello stile del machismo classico, dice del più antico desiderio maschile e umano: fare qualcosa in più dell’altro, […]
“Con Fedele Confalonieri ho fatto una gara di pipì, a chi la facesse più lontano. Mi son fatto la pipì sulle scarpe, ha detto poi lui. Allora hai vinto tu, ho risposto.”
L’aneddoto raccontato da Silvio Berlusconi, nello stile del machismo classico, dice del più antico desiderio maschile e umano: fare qualcosa in più dell’altro, arrivare dove gli altri non arrivano. Per qualcuno il modo per segnare il proprio traguardo nelle gare della vita, per altri un desiderio di verità che, “sì, mi porta a pisciare più lontano degli altri”.
“Per non parlare di un artista racconto dei cavalli che affogano dal sedere”
Dentro la metafora, che non deve eccellere per eleganza, c’è il senso di questo incontro. Quello con Michele Monina, 50 anni, nato ad Ancona, casa e famiglia a Milano. “Tutti sanno che ho una moglie, Marina, e quattro figli, di cui due gemelli. Io sono uno scrittore e sono anche il protagonista delle storie che racconto”.
Monina, per chi non ne avesse coscienza, è il critico musicale più riconoscibile. Colui per il quale: “Siccome un determinato disco non merita di essere raccontato, io ti racconto qualcos’altro che ritengo più interessante, per esempio dei cavalli che affogano dal sedere”.
Nella giungla comunicativa vuol dire fare il gioco delle arance, per cui, nel maneggio vorticoso dei frutti, c’è un equilibrio che crea ipnosi. A questa, però, deve seguire una verità, o meglio, una credibilità: “Ho delle competenze che mi vengono riconosciute dal sistema musica. Quindi sì, io piscio più lontano. So che dire questo può risultare arrogante e fa parte del mio personaggio”.
I no a Maria De Filippi, i sì al DopoFestival: “Questo mi ha indebolito”
Già, il personaggio. Quello di “uno scrittore con 78 libri all’attivo”, tra cui tre libri autobiografici scritti con Vasco Rossi, il “fiore all’occhiello”. “Ho venduto più con quei tre libri – rimarca – che con gli altri 75, che comunque hanno fruttato un 1.200.000 copie”.
Uno scrittore tornato alla musica cinque anni e mezzo fa. Capito il meccanismo dei social, il resto è stato schermaglia, fino a scambi violentissimi con i lettori: “Non mi sono mai arrabbiato davvero. Vivo con serenità”. Dentro il racconto del personaggio ci sono stati dei no pesanti, a Maria De Filippi e Domenica In “quando i miei colleghi erano con la palettina in mano nei talent”. E ci sono stati anche dei sì, ai DopoFestival con Pierfrancesco Favino: “Questa cosa mi ha anche indebolito, perché io sono diventato una faccia e una voce, che non corrispondono alla mia cifra stilistica quando scrivo. Amen, ce ne facciamo una ragione”.
Il Tour de Force di Sanremo 2020: “Voglio spostare l’attenzione da Elettra Lamborghini agli emergenti”
È stata, però, l’occasione che ha spalancato a Monina le porte di Rtl 102.5, per cui nei prossimi giorni condurrà Noi dire Sanremo, i serali del Festival dal 4 all’8 febbraio, con Mara Maionchi e la Gialappa’s.
Raggiungiamo Monina prima di un tour de force di “12, 13 ore al giorno”: accanto a Rtl, una lunga scaletta (qui i dettagli) tra “parole, immagini, musica, pagelle”, e la regia di Mattia Toccaceli. “Ho deciso di ospitare gente che a Sanremo non ci sarebbe arrivata, accanto agli artisti in gara. Credo che questo sia il mio ruolo di divulgatore. Approfitto del fatto di essere seguito per spostare l’attenzione da Elettra Lamborghini a una delle cantautrici che vengono da me. In totale ospiteremo circa 100 artisti”.
Michele, che cosa rispondi a chi, leggendoti, dice che ti arroghi l’immagine del più cattivo?
Stiamo parlando di quello che scrivo e dico. Io sono uno scrittore prima che un critico. Ho ben presente che se scrivo qualcosa ottengo un determinato risultato. Fatto salvo che quello che scrivo è vero, perché non ho mai ricevuto una querela, ho una cifra violenta, corrosiva se vuoi. Lavoro in questo settore da vent’anni, sono coetaneo di buona parte dei discografici. Conosco gli affari di tutti, ma non ho mai fatto riferimenti alle vite private, perché mi occupo di musica. Parlo di persone che fanno cose, o di opere. Ritenendo che la forma sia sostanza, sono impietoso ma non cattivo. Non infierisco sui deboli. Ragiono per paradossi. Ad esempio, se dico o scrivo che Patrizia Laquidara è dio e Laura Pausini il grado zero dell’arte sto usando un paradosso. Non è vera nessuna delle due cose, ma quella è una cifra stilistica. Semplicemente, quando scrivo sono dritto. Non devo nulla a nessuno, posso dire quello che penso senza aver paura di ritorsioni, che comunque mi fanno quotidianamente. Io per esempio non ho accesso a una serie di artisti, non metto piede in Rai da due anni dopo Tv Talk, i dopo Festival di Favino, e una puntata con Edoardo Leo.
Ti è stato detto di voler trasformare i dibattiti in una gara a chi piscia più lontano.
Il mio personaggio ha delle caratteristiche specifiche: io sono quello che scrive articoli di 18.000 battute in un mondo, quello del web, in cui il grado di attenzione è di 28 secondi. Invece per leggere i miei pezzi ci vogliono almeno 5 minuti. Sono uno che va in giro con i capelli lunghi, che si fa fotografare con la mazza da baseball, che indossa le sciarpe degli hooligans. Sono uno che ha delle caratteristiche da immaginario. Il mio punto di forza, e su questo piscio più lontano dei miei colleghi, è che dico semplicemente le cose come stanno. È lo stesso motivo per cui sono credibile ed esisto in questo mondo, essendo un outsider. Ho delle competenze che mi vengono riconosciute dal sistema musica. Quindi sì, io piscio più lontano. So che dire questo può risultare arrogante e fa parte del mio personaggio.
La metafora che torna è quella dell’articolo sui cavalli che affogano dal sedere.
Siccome un determinato disco non merita di essere raccontato, io ti racconto qualcos’altro, che ritengo più interessante; per esempio racconto dei cavalli che affogano dal culo. È la metafora di quello che faccio. Sono seguito perché la gente mi riconosce e riconosce che in quello che faccio c’è una verità. Altrimenti non sarei seguito e sarei stato fatto fuori.
A volte ingaggi delle “risse verbali” via social con i tuoi lettori.
Per me uno non vale uno. Ognuno ha le sue competenze, e poi il mio lavoro non prevede che io venga criticato. Non esiste il critico del critico. Esiste un altro critico che si contrappone a me. Che il lettore si senta critico del critico non esiste. Da che ci sono i social, questo avviene. In un mondo normale io nemmeno dovrei sapere chi mi legge. Se avessi voluto avere un rapporto col pubblico avrei fatto il barista, ovvero un lavoro che contempla il fatto che ci possa essere un pubblico. Io sto a casa in ciabatte e scrivo, questo è il mio lavoro. Quando sui social leggi di scambi violentissimi non è che se mando a cagare qualcuno resto a casa nervoso e arrabbiato. Non mi interessa. Lo faccio perché so che va fatto, ma vivo con grandissima serenità. Non mi sono mai arrabbiato per quello che succede sui social, nemmeno quando mi hanno segnalato e bloccato gli account.
Come nasce il “personaggio” Michele Monina?
Ho ricominciato a scrivere di musica cinque anni e mezzo fa, quando Peter Gomez mi ha chiamato a Il Fatto Quotidiano. Io vent’anni fa ero quello cattivo di Tutto Musica, in un giornale che faceva marchette. Ho ripreso a fare la stessa cosa, cioè dire quello che penso. Non sapevo però dei social, c’ero ma in modo diverso. Ho scoperto come funzionano e ho deciso di creare un personaggio. In tutto questo, però, ho fatto un grosso errore di valutazione. Cioè sono andato al DopoFestival, mossa che mi ha permesso di avere una faccia e una voce, e questo tra l’altro mi ha portato a Rtl 102.5. È stato un errore, perché io non ho una voce che corrisponde alla mia lingua quando scrivo. Quando scrivo sono violento, quando parlo non ho una voce cattiva. Se uno mi guarda capisce che non sono uno psicopatico come si potrebbe pensare quando mi si legge. Questa cosa mi ha anche indebolito, perché io sono diventato anche una faccia. Amen, ce ne facciamo una ragione.
Hai scritto molto di libertà di critica.
Io sono arrivato nel momento in cui tutti i miei colleghi erano da Maria De Filippi con la palettina in mano a dare i voti, come succede adesso. Ti si nota di più se non ci vai, cosa che ho fatto. Quando è toccato a me, dopo essere stato invitato da Maria, non ci sono andato perché sono contro i talent show e quindi non ci vado, anche se sarebbe stata un’occasione importante perché ero stato invitato a tenere delle lezioni, ma io non sono interessato. Due o tre anni fa, quando le mie pagelle su Sanremo facevano più di un milione di lettori al giorno, numeri più alti del Corriere della Sera o Repubblica per intenderci, sono stato invitato a Domenica In e non ci sono andato, perché è ovvio che se io contesto quel tipo di entertainment non ci vado. Molti mi hanno accusato di essermi venduto quando sono entrato in Rtl 102.5. Ma lì io dico quello che penso. Quando trasmettevano i Modà, per esempio, dicevo che quella musica mi faceva cagare. Si chiama libertà, e si paga, nel senso che pagano me e pago io per poterla avere. Se fossi andato da Maria avrei avuto più visibilità, avrei fatto più soldi e una serie di cose che mi sono negate, ma scelgo io cosa fare. Va bene così.
Veniamo al Sanremo 2020 condotto da Amadeus. Tra le immancabili polemiche, una su tutte. La partecipazione del rapper romano Junior Cally, criticato per una vecchia canzone, Strega, definita sessista e troppo violenta. Nelle frasi incriminate, in particolare: “Si chiama Gioia perché fa la troia. L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa”. Le tue parole su Junior Cally hanno fatto discutere.
Tutto questo casino è scattato non per una canzone che Junior Cally porterà a Sanremo, ma perché andrà a Sanremo. Un errore fatto, e che davo per scontato, è stato pensare che i ragazzini possano scoprire Junior Cally attraverso Sanremo. Non è così, perché il pubblico di Sanremo ha un’età media di 61 anni. I nonni o i bisnonni dei ragazzini scopriranno Junior Cally a Sanremo e non ne scopriranno il repertorio, perché non andranno su Youtube o su Spotify a scoprire le canzoni vecchie. Nella bolla di Sanremo Junior Cally è un artista, e l’arte è arte. È amorale per sua natura, che non significa che va contro la morale, ma nel senso non ce l’ha proprio una morale. Non è sottoposta ai codici della morale a cui siamo fortunatamente sottoposti noi per il resto della vita. Quindi Junior Cally può dire quello che vuole. Il che significa che nel mondo dell’arte può esserci per assurdo un antisemita, uno che istiga all’uso delle droghe o che parla per sublimazione. Se poi mi si chiede quello che penso di Junior Cally, da critico musicale dico che non è un artista e che non dovrebbe nemmeno fare dischi. Ma tutto questo clamore si traduce col fatto che Cally prima aveva quattro milioni di views su YouTube con quella canzone che si chiama Strega e oggi va verso i 6 milioni. Tutto questo perché gli è stato fatto il più grande regalo che si possa fare a uno che ha fatto un prodotto: parlarne in continuazione. Se fossi un discografico non lo pubblicherei e da critico musicale non ne scrivo. Io ho deciso di occuparmi di Junior Cally perché mi occupo di Sanremo.
Chi apprezzi di questa edizione del Festival?
Devo dire che il livello generale non è neanche che così basso. Ci sono delle canzoni belle, penso a Rancore, Tosca, Masini, Pelù, anche Irene Grandi, nel pezzo scritto da Vasco e Curreri, Bugo e Morgan, e per finire Levante. Ci sono una decina di canzoni di ottimo livello. E alla fine la media non sarà così bassa come lo è stata l’anno scorso, che per me è stato uno dei Sanremo musicalmente più brutti degli ultimi anni. Questo è un Festival molto slabbrato, che non ha un’idea dietro. Hanno fatto una scelta come nelle vecchie edizioni: c’è dentro un po’ di tutto. E non mi scandalizzo neppure di Elettra Lamborghini, perché vorrei pacatamente ricordare che sul palco dell’Ariston ci sono stati Marisa Laurito, Francesco Salvi, Pippo Franco. Sanremo è un programma televisivo, quindi Elettra Lamborghini ci sta perfettamente.
Chi sono i grandi assenti?
Quello che manca è il cantautorato femminile. In generale ci sono poche donne, ma questo è un problema dell’Italia tutta. Poi mi sarei aspettato qualche asso nella manica per i settant’anni del Festival, un Cocciante, un Vecchioni, un Venditti. Credo che un po’ abbia influito il fatto che nell’edizione 2017 di Sanremo la Mannoia non vinse, quando tutti sapevano che avrebbe vinto, e arrivò seconda dietro il Gabbani di Occidentali’s Karma. Quest’anno mancano anche i cantautori indie. Manca cioè il Calcutta del caso.
Non ti chiedo se manca Tommaso Paradiso, avendolo tu stroncato diverse volte
Nel sottolineare che mi fa cagare, anche abbastanza profondamente, però ci stava a Sanremo, se guardi alla classifica. Quest’anno ci sono i Pinguini Tattici Nucleari, che fanno grandi live ma non vanno in classifica. Amadeus ha detto che stava guardando alla contemporaneità, ma è un’operazione spuntata. Allora avrebbe dovuto fare come il Concertone del Primo Maggio, che ha ripreso la classifica di Spotify e l’ha sputata sul palco. C’è tantissimo talent all’Ariston, ma i talent non contano più niente.
Hanno esaurito il loro compito?
Al volo: chi ha vinto l’ultimo X Factor? O quello dell’anno prima, o prima ancora? I Måneskin che non hanno vinto, ma sono arrivati secondi tre anni fa, sono quelli che forse hanno avuto il maggior successo discografico. Sofia, che ha vinto X Factor, ce la siamo scordata, Anastasio ha vinto un anno fa ma non è che abbia fatto numeri clamorosi. Giò Sada e Soul System, non pervenuti. Il mondo dei talent che cosa ha prodotto di importante? Giordana Angi e Alberto Urso, che provengono da Amici, nei loro ultimi album non hanno superato le 10.000 copie. Non stiamo parlando di campioni, non riempiono i palasport. A Sanremo avrei piuttosto chiamato un Brunori Sas, che è uno dei padri dell’indie italiano, ed è credibile per chi guarda Sanremo.
A Sanremo, oltre la conduzione per Rtl 102.5 ospiterai vari artisti nell’Attico Monina.
Avrei potuto limitarmi a fare il serale su Rtl con Mara Maionchi e la Gialappa’s, e le pagelle sull’Huffington Post. Ho deciso di ospitare gente che a Sanremo non ci sarebbe arrivata, insieme agli artisti in gara. Credo che questo sia il mio ruolo di divulgatore. Approfitto del fatto di essere seguito per spostare l’attenzione da Elettra Lamborghini a una delle cantautrici che vengono da me. In totale ospiteremo circa 100 artisti per 12 o 13 ore di diretta nei quattro giorni e mezzo del Festival.
Il tuo nome è rimbalzato, e molto, nei tre libri scritti con Vasco e nell’essere tra gli autori del film Non stop live.
Io ho scritto 78 libri, di cui tre con Vasco. Questi tre hanno venduto più degli altri 75. Con i miei libri ho venduto 1.200.000 copie, quelli di Vasco hanno venduto tanto e sono anche il fiore all’occhiello di quello che faccio. Vasco mi ha adottato, mi ha visto come un outsider, nel senso che non scrivo per Il Corriere della Sera, e ha deciso di avere stima di me. Credo che chiunque avrebbe voluto scrivere la sua autobiografia.
Chi ti legge ha una finestra con vista sulla tua vita.
Hemingway diceva che “non si può scrivere se non delle cose che si sono vissute”. Ecco, io scrivo di musica, e nella musica mi sono ricavato un ruolo abbastanza da protagonista. Chiunque sa che ho una moglie e quattro figli, di cui due gemelli, e che sto con la stessa donna da 32 anni. Vorrei far capire che ho una vita, anche se so che posso risultare uno che si vuole mangiare il cuore di Biagio Antonacci. Io sono uno scrittore e sono anche il protagonista delle storie che racconto.
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