Nuove malattie professionali in regalo col 2020

Lo stress lavoro correlato ha una precisa sintomatologia: 1 italiano su 4 ne soffre ogni giorno, e colpisce alcuni mestieri più di altri.

Calano i morti sul lavoro, ma non infortuni e malattie. E aumentano i disagi da stress. Le cosiddette tecnopatie sono in crescita e colpiscono tutti i settori lavorativi, non solo quelli che tradizionalmente sono considerati più a rischio.

Andare al lavorare nel 2020 comporta ancora problemi di salute. Stando ai dati forniti dall’Inail, aggiornati al 2019, nell’ultimo anno si è riscontrata una diminuzione delle denunce di infortunio (-0,1%), che in termini assoluti significa 592 casi. In totale le denunce sono state 644.803. Ma non si tratta di un dato confortante, anche perché nel medio periodo (2015-2019) i casi di infortunio sono saliti del 1,3%. Nota positiva è il calo dei morti sul lavoro, 1.156, con una diminuzione dell’8,5% rispetto all’anno precedente (-108). Anche la lieve decrescita di casi del 2019 (-0,1%) non è molto significativa. L’unico settore nel quale emergono significativi miglioramenti è quello dell’agricoltura, dove si è verificato un decremento degli infortuni del 13% sul medio periodo.

Nuovi lavori, nuove malattie

Se ci si protegge di più dagli incidenti sul lavoro, grazie a una più diffusa cultura della sicurezza, contro le malattie c’è ancora molto da fare. L’elenco dei disturbi legati alla professione è aumentato, grazie ai progressi della medicina, ma anche a causa di una legislazione che contempla nuove malattie, che un tempo avrebbero avuto solo una definizione generica.

«Nel 2019 – si spiega nel rapporto Inail – sono stati protocollati all’Inail 61.201 casi con un aumento del 2,9% rispetto ai 59.458 dell’anno procedente. In tutto sono 43.732 i lavoratori coinvolti (+655 sul 2018). Circa l’81% delle tecnopatie denunciate nel 2019 hanno coinvolto i lavoratori del settore industria e servizi, con una crescita pari al 4,2% (da 47.286 a 49.277 casi) sull’anno precedente. Seguono l’agricoltura (18,4% del totale denunce) e l’impiego statale (1,0%) che hanno avuto una diminuzione del numero di patologie rispettivamente dell’1,9% (da 11.502 a 11.283) e del 4,3% (da 670 a 641) sul 2018».

Ma non ci si ammala nello stesso modo in tutta Italia. Emergono forti differenze tra le varie regioni: le malattie professionali si concentrano per un terzo nel Centro del Paese, con un aumento del 2,5% rispetto al 2018. Nel Nord Ovest in tutto si sono registrate 7.000 denunce, con un calo dell’1,3%, mentre l’incremento più massiccio è quello delle isole con +11%. Tra i settori crescono le denunce in agricoltura, dove dal 2010 al 2019 si è passati da 6.400 casi a 11.300, con un incremento del 77% in un settore che copre il 18% delle malattie denunciate.

Le nuove malattie da lavoro, tecnopatie che colpiscono i lavoratori d’ufficio

Lo spartiacque è il nuovo elenco delle malattie da lavoro che risale al 2008, nel quale rientrano più tecnopatie. Prima molte delle malattie oggi definite professionali non c’erano o avevano una definizione generica come “malattia da…”. Una classificazione più accurata ha così portato a denunce più precise da parte di chi le contrae, e a individuare una miglior correlazione con la mansione lavorativa esercitata.

Il numero più alto di casi denunciati è quello delle malattie osteomuscolari, soprattutto le dorsopatie e i disturbi dei tessuti molli. La dorsopatia nell’accezione comune è il mal di schiena, mentre nei disturbi dei tessuti molli rientra un problema che colpisce da anni i lavoratori, cioè il tunnel carpale. Si tratta di patologie che non colpiscono soltanto quanti svolgono lavori di fatica, ma anche chi trascorre sempre più ore in ufficio.

Sotto pressione a causa del COVID-19

Il lockdown e la pandemia hanno cambiato la percezione della vita lavorativa in molti lavoratori. Al classico mobbing, che fino a poco tempo fa era uno dei problemi per i quali si finiva dallo psicologo, si sono aggiunti altri malesseri. I sintomi sono molti simili.

«Di solito – dice la psicologa Silvia Celentano, che opera in diverse aziende – chi ha problemi di stress da lavoro correlato presenta problemi di tachicardia, secchezza fauci e ricorrenti pensieri negativi. Per capire se ci sia una correlazione tra questi e la situazione lavorativa bisogna iniziare a capire come la persona si sente fuori dal contesto lavorativo. Se i disturbi insorgono nel momento in cui si reca al lavoro, è molto probabile che ci sia una correlazione. Va allora analizzata nel dettaglio la sua vicenda lavorativa».

Negli ultimi tempi è in aumento sia il malessere legato alla vita professionale in generale, sia quello legato alla tranquillità delle persone nella vita lavorativa. «Alle classiche cause – spiega Marisa Campagnoli, HR director di ADP Italia – bisogna aggiungere lo stress da COVID-19: i problemi di autoisolamento e sicurezza sul lavoro incidono molto sui lavoratori, mentre il “superlavoro” rappresenta un rischio per chi lavora in smart working, ovvero per chi si trova a dover imparare a gestire il tempo».

È del 23% la percentuale di coloro che in Italia dichiarano di risentire mentalmente e fisicamente di ansia e stress da lavoro ogni giorno: praticamente un italiano su quattro. Un altro 43% dice di vivere questa situazione non giornalmente, ma settimanalmente, spesso anche due o tre giorni a settimana. Circa il 18% prova malessere solo poche volte al mese. I numeri emergono dal survey The Workforce View 2020 – Volume Uno realizzato da ADP, multinazionale leader nell’ambito della gestione delle risorse umane, che ha intervistato circa 32.500 lavoratori in tutto il mondo, di cui 2.000 in Italia. La fascia d’età più colpita è quella tra i 35 e i 54 anni; al secondo posto quella dopo i 55 anni. Seguono quanti hanno tra i 25 e i 34 anni.

Quali sono le cause dello stress lavoro correlato?

Il mito degli anni del boom economico, secondo il quale il lavoro di ufficio terrebbe al riparo da problemi di salute e causerebbe meno problemi, è tramontato da diversi anni. Secondo l’accordo europeo sullo stress lavoro correlato del 2004, lo stress è “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.

Dal punto di vista legale anche l’Italia ha fatto la propria parte, visto che dal 2008 i datori di lavoro hanno l’obbligo di valutare e gestire il rischio stress lavoro correlato al pari di tutti gli altri rischi. Nel rapporto di ADP si traccia anche una classifica dei settori in cui i lavoratori risentono maggiormente di stress. Al primo posto il settore della finanza (bancario, assicurativo, intermediazioni) con una percentuale del 93%; seguono i servizi professionali con il 90% (pubblicità, pubbliche relazioni, consulenza, servizi commerciali, legge, contabilità, architettura, ingegneria, progettazione di sistemi informatici) e chi lavora nel campo media/informazione (editoria, radio, televisione, cinema) con l’87%.

Le cause dello stress sono molteplici: ansia da risultato, eccessiva mole di lavoro, senso di frustrazione derivante da una paga poco premiante o da una carriera che stenta a decollare nonostante i numerosi sacrifici, ma anche la preoccupazione di non poter coniugare al meglio lavoro e vita privata. Un altro dato interessante che emerge dal survey riguarda il fatto che il 27,5% degli italiani dichiara che non vorrebbe parlare a nessuno di un eventuale disagio di stress. Alcuni ne parlano con il capo o con colleghi fidati, ma anche con il proprio terapeuta.

«Le persone – spiega Celentano – avvertono all’interno delle loro vite un senso di fatica legato al lavoro, sia che si tratti di dirigenti, che di dipendenti, che di freelance. Ci sono liberi professionisti che fino a poco tempo fa non avrebbero messo in discussione il proprio lavoro, che era una scelta, che ora lo fanno, arrivando a dire di desiderare un posto da dipendente anche per metà dello stipendio. Pesa la precarietà nelle partite Iva, il non avere contratti. Negli ultimi mesi, poi, qualcuno ha trovato nel vuoto del lockdown la voglia di fare altro o le stesse cose in altro modo, e questo può anche generare stress e pressioni».

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