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Partite Iva, lo scenario è dietro il sipario
Lo scenario italiano quando si parla di partite Iva è abbastanza confuso: è difficile riuscire a definire il confine fra il numero di autonomi sempre “tartassato”, e i cui guadagni risultano non certo da capogiro, rispetto a chi invece fattura cifre importanti. Riuscire a mappare questo mondo in maniera approfondita e analitica non è affatto […]
Lo scenario italiano quando si parla di partite Iva è abbastanza confuso: è difficile riuscire a definire il confine fra il numero di autonomi sempre “tartassato”, e i cui guadagni risultano non certo da capogiro, rispetto a chi invece fattura cifre importanti.
Riuscire a mappare questo mondo in maniera approfondita e analitica non è affatto semplice, ma in questo reportage di Senza Filtro sulle partite Iva ci abbiamo provato.
Un’istantanea sulle partite Iva in Italia: quante sono e quanto guadagnano?
Per cominciare, l’ultimo studio Istat sui lavoratori indipendenti è del 2018 e prende come riferimento il II Trimestre del 2017.
Nel 2017, i lavoratori indipendenti sono stimati in 5.363.000, il 23,2% degli occupati, incidenza molto più elevata rispetto alla media Ue (15,7%). Tra loro il 68,1% è un lavoratore autonomo senza dipendenti (3.652.000). Si possono distinguere tre grandi raggruppamenti: autonomi con dipendenti, cioè datori di lavoro (1.401.000), autonomi “puri” senza dipendenti (3.314.000) e lavoratori parzialmente autonomi (338.000), che comprendono quanti, generalmente in condizione di mono-committenza, presentano alcuni vincoli di subordinazione tra cui un orario di lavoro stabilito principalmente dal cliente o committente, il dover lavorare presso il cliente, l’impossibilità di assumere dipendenti, il mancato possesso degli strumenti del lavoro o l’essere divenuti indipendenti a seguito della richiesta di un precedente datore di lavoro.
Secondo il Dipartimento delle Finanze, i ricavi totali dei contribuenti soggetti ai “vecchi” studi di settore riferiti all’anno di imposta 2017 sono risultati pari a 729 miliardi di euro. Il reddito medio dichiarato è stato pari a 25.290 euro per le persone fisiche e 34.260 euro per le società di persone. Il reddito medio dichiarato più elevato si registra nel settore delle attività professionali, a 49.190 euro, seguito dal settore delle attività manifatturiere, 37.680 euro, e dal settore dei servizi, 27.330 euro.
Prima ancora che il coronavirus si abbattesse su di noi, alla fine del 2019, Federdistribuzione aveva lanciato un grido d’allarme dichiarando che solo negli ultimi tre anni erano spariti tre milioni di partite Iva: un milione ogni anno. E ancora, secondo una stima della stessa associazione, circa il 25% degli autonomi vivrebbe sotto la soglia di povertà.
Eppure proprio nel 2019 l’estensione della soglia dei minimi a 65.000 euro l’anno per il regime forfettario, che differisce da quello ordinario per tassazione semplificata, aveva fatto registrare un’impennata delle nuove attività. Secondo l’Osservatorio sulle partite Iva del Dipartimento delle Finanze, nel 2019 è stata registrata l’apertura di circa 545.700 nuove partite Iva: quasi il 73% sono persone fisiche, il 21,4% società di capitali, il 3,6% società di persone, quasi il 2% soggetti non residenti e il resto altre forme giuridiche.
Bisogna dirlo chiaramente: esistono davvero professionisti a partita Iva i cui guadagni sono di tutto rispetto a fronte di partite Iva povere, che con le loro attività professionali riescono a malapena a far quadrare i conti, e che spesso, rateizzano i pagamenti a loro carico. La chiusura causata dal coronavirus non ha fatto altro che acuire ancor di più la situazione critica. La sospensione delle loro attività o l’impossibilità di proseguire regolarmente non consente loro di fatturare, e quindi non hanno neppure un’entrata al di fuori dei 600 euro varati dal governo attraverso il DL 17 Marzo 2020 n. 18 – decreto Cura Italia – e considerati una tantum.
Per molti di loro una misura assai modesta rispetto alle perdite subite, una sorta di terapia con “acqua fresca”, nonostante in passato non ci fossero mai state iniziative a favore di questa categoria da parte del governo. Eppure su Twitter, appena è stato reso noto il provvedimento dei 600 euro a favore delle partite Iva, diversi giornalisti, tra cui Riccardo Bocca, Paolo Condò e Pierluigi Diaco, hanno dichiarato che non li avrebbero accettati per lasciarli a disposizione di chi ne necessita realmente.
Sempre sui social, invece, coloro che “arrancano” maledicono quel poco che arriva, perché ritenuto assolutamente insufficiente ad aiutarli e a supportarli in questo momento che sembra non voler finire. Ed è proprio lì che si consuma il dramma sociale: se le partite Iva cosiddette “povere” non riescono con soli 600 euro a far fronte alle perdite, ci sono anche gli autonomi con dipendenti che cercano di comprendere se le persone a loro “carico” possono usufruire della cassa integrazione in deroga. Per non parlare dei parzialmente autonomi, che talvolta vengono definiti come quelle partite Iva che in realtà, avendo un solo rapporto diretto e subordinato con unico datore di lavoro, dovrebbero essere assunti direttamente dal committente. Il rischio per loro, dopo questa crisi, è che possano essere i primi di cui fare a meno.
La ricerca di Nidil a Firenze: servono ammortizzatori sociali universali
La Nidil – la categoria che si occupa degli autonomi – della Cgil, a Firenze ha condotto una ricerca, I nostri lavori sono andati in quarantena, effettuata tra circa 300 lavoratori indipendenti della città gigliata. La maggior parte di loro lavora nel turismo e nella cultura, ma oltre che segnalare lo stop della propria attività professionale (il 97%) ha denunciato come nel loro periodo di malattia e/o obbligo di quarantena, al quale sono stati sottoposti, non hanno avuto diritto a coperture da parte dell’Inps o delle Casse professionali (il 98%).
“Più del 97% ha visto una flessione o un arresto della propria attività e le perdite sulle attività già preventivate sono state così ripartite: quasi il 40% ha già perso più di 3.000 €, poco più del 38% dai 1.000 ai 3.000 € e intorno al 22% sotto 1.000 €. Molte professioni hanno già subito cancellazioni di commesse su un arco temporale che riguarda i prossimi mesi o comunque commesse che avrebbero coperto più mesi di lavoro, mentre altri hanno ancora difficoltà a quantificare le perdite future. Pensiamo alle guide turistiche che hanno tour cancellati fino al mese di giugno o a chi opera su eventi che sono stati tutti cancellati o rinviati”, riporta l’indagine.
Ilaria Lani è la segretaria generale di Nidil nel capoluogo toscano, e dichiara: “Non tutte le professioni sono colpite allo stesso modo. Qualcuno potrà riprendere il 4 maggio, altri affronteranno una fase molto critica che potrebbe durare mesi, se non addirittura fino al prossimo anno. Penso che il tema sulle partite Iva sarà anche quello di sollevare la questione e provare a individuare gli strumenti di sostegno – sia in termini di ammortizzatori che in termini di ripartenza – che siano anche adeguati alle singole professioni, ai singoli settori. La caduta di reddito per COVID-19 è stata emblematica: ha fatto capire sia ai lavoratori sia alle istituzioni che anche il mondo del lavoro autonomo è bisognoso di tutele”.
“È la prima volta nella storia che si introducono gli ammortizzatori sociali universali che guardano anche al lavoro autonomo, sebbene non siano stati fatti in maniera molto raffinata, facendo emergere tante contraddizioni: da segmenti lavorativi esclusi, per esempio i lavoratori occasionali, ai collaboratori sportivi ripescati all’ultimo, e su cui ci sono ancora molti interrogativi aperti. Per noi, come categoria sindacale, un banco di prova che ci è servito per fare – per la prima volta – una riflessione già necessaria da tempo, e che ci consentirà di discutere su come si introducono le misure a livello universale che sappiano guardare anche a questi mondi per non ritrovarsi più in una situazione di affanno come in questo caso.”
Istat, in una memoria scritta in questi giorni per il Senato, ha tracciato un quadro degli impatti su imprese e occupazione degli ultimi provvedimenti presi per l’emergenza COVID-19: “Nell’attuale contesto di incertezza, che non ha precedenti nel dopoguerra, cominciano a essere annunciati i risultati di esercizi volti a costruire scenari di previsione. Anche quando basati su modelli previsivi robusti e ben collaudati, essi hanno una validità molto limitata, che viene azzerata nel giro di pochissimo tempo dai nuovi sviluppi della situazione. Gli esercizi non hanno, per ora, la possibilità di tenere conto degli effetti combinati delle misure, applicate in un insieme sempre più ampio di Paesi, che modificano i comportamenti sociali e degli operatori economici”.
In uno scenario costellato da un enorme punto interrogativo sul futuro prossimo, ma inevitabilmente anche su quello a medio e lungo termine, fare previsioni diventa davvero impossibile.
Che cosa serve alle partite Iva?
Cerchiamo almeno di capire, per le partite Iva, che se non fatturano non guadagnano, cosa può succedere e cosa concretamente si può fare per venire incontro alle necessità di una categoria, quella degli autonomi, sempre in balia delle onde di un mare in tempesta. Sperando non si tratti di uno Tsunami.
Il 1 aprile – nel primo giorno utile per la richiesta di accredito dei 600 euro – sul sito Inps si sono verificati crash down del sistema e qualche pasticcio: una volta entrati nel sistema, per un errore tecnico risultavano visibili i nomi di altri utenti che avevano inoltrato richiesta. Sistema informatico inadeguato e violazione della privacy.
Era comunque immaginabile che il primo giorno ci sarebbe stata una sorta di assalto alla diligenza, sebbene non si trattasse del cosiddetto click-day, dato che l’indennità verrà erogata a tutti coloro che la richiederanno – avendo ovviamente i requisiti necessari.
Nonostante questo, il 1 aprile si sono succeduti troppi disguidi senza che si trattasse di un pesce d’aprile, con il sito andato in malware e presunti attacchi hacker segnalati dal governo. E con Nunzia Catalfo, Ministra del Lavoro, che giovedì 16 aprile, in audizione alle Camere con un’informativa urgente del governo al Parlamento sulle iniziative di competenza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha spiegato il malfunzionamento del sito Inps durante il primo giorno utile per richiedere l’una tantum: “Alle ore 9:00 del 1 aprile erano già pervenute oltre 300.000 richieste per l’indennità di 600 euro”.
Intanto il 21 aprile il profilo ufficiale Inps su Twitter comunicava quanto segue:
Proprio alla luce di queste continue polemiche per la platea dei beneficiari generalizzata che ha ottenuto i 600 euro c’è stato un innalzamento dell’importo a 800 euro, ma nel governo – tra i due partiti della maggioranza – è in discussione il principio, e quindi la stessa platea dei beneficiari: offrire come per il mese di marzo un contributo per i titolari di partita Iva senza paletti, oppure prendere a riferimento i redditi dichiarati nel 2018 e – se inferiori ai 35.000 euro – erogare solo a loro gli 800 euro?
E ancora: con il Decreto Liquidità le microimprese e le partite Iva (quelle con un fatturato annuo non superiore a 100.000 euro) potranno accedere a un prestito fino a 25.000 euro, garantito dallo Stato, con il pagamento della prima rata dopo due anni e l’estinzione del prestito entro 72 mesi. Il Ministero dello Sviluppo economico e il Mediocredito centrale sono i gestori del Fondo di garanzia (sul cui sito è possibile scaricare la modulistica per la richiesta del prestito), e con l’Associazione Bancaria Italiana e i principali istituti di credito del Paese fanno in modo che siano resi disponibili nel più breve tempo possibile tutti i sistemi informatici e la modulistica necessaria alla richiesta di garanzia per i beneficiari.
Notai e avvocati che richiedono il bonus: il paradosso dei professionisti poveri
Ma tra quelli che hanno incassato i 600 euro ci sono da considerare anche coloro che sono iscritti alle casse previdenziali professionali a cui versano i contributi, che sono, tra le altre: quella dei Notai (CNN), quella degli Avvocati, meglio conosciuta come Cassa forense (CNPAF), quella dei Geometri (CIPAG), dei Ragionieri (CNPR), dei Dottori commercialisti (CNPADC), quella dei Biologi (ENPAB), dei Consulenti del lavoro (ENPACL), quella dei Farmacisti (ENPAF), quella dei Periti agrari (ENPAIA), quella dei Medici (ENPAM), quella degli Psicologi (ENPAP), quella dei Veterinari (ENPAV), quella dei Chimici e Geologi (EPAP), quella dei Periti industriali (EPPI), quella degli Ingegneri e Architetti (INARCASSA), quella dei Giornalisti (INPGI) e quella degli agenti di commercio (ENASARCO).
I professionisti e i lavoratori autonomi già dal 1 marzo, a differenza delle partite Iva che versano contributi all’Inps, per ottenere i 600 euro dovevano garantire la regolarità di contribuzione al fondo di categoria, e di avere i requisiti per poter accedere al bonus, tra cui i due più importanti:
- avere percepito, nel 2018, un “reddito complessivo” (al lordo di eventuali canoni di locazione percepiti e soggetti alla cd “cedolare secca”) non superiore a 35.000 euro e aver visto la propria attività “limitata dai provvedimenti restrittivi emanati in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”;
- avere percepito, nel 2018, un “reddito complessivo” (al lordo di eventuali canoni di locazione percepiti e soggetti alla cd “cedolare secca”) compreso fra 35.000 € e 50.000 € e avere “cessato o ridotto la loro attività autonoma o libero professionale in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
E qui rimane la divisione netta tra chi, pur essendo professionista, non è detto che riesca a raggiungere la soglia di reddito dei 35.000 euro l’anno, evidenziando così la presenza, nel nostro Paese, anche di professionisti “poveri”.
Inoltre la categoria dei giovani che ha appena iniziato la propria attività professionale tra il 2019 e il 2020 ha potuto beneficiare dei 600 euro grazie al Reddito di ultima istanza, e sempre a una sola condizione: che gli abbiano percepito, in quello stesso anno, un reddito complessivo non superiore a 35.000 euro, ovvero compreso tra i 35.000 e i 50.000 euro come indicato dall’art. 1 del decreto 28 marzo 2020.
L’Adepp (Associazione degli Enti Professionali Privati) ha condiviso un primo rapporto parziale sulle istanze presentate entro il 14 aprile, tra quelle che sono state ammesse e successivamente erogate. Le richieste gestite da tutte le Casse sono 454.541, così ripartite tra quelle più significative in termini di erogazioni effettuate ai propri iscritti:
Il disperato bisogno di un sistema universale per difendere il mondo del lavoro
Ma il tema di fondo di questo reportage è un altro: le partite Iva hanno un punto di riferimento o brancolano nel buio? Chi sono quelli che gli indicano la strada: commercialisti, associazioni di categoria, sindacati, ordini professionali? Ce lo siamo chiesti anche noi, per un popolo vario, parcellizzato, e a tratti così articolato da renderne difficile una mappatura precisa e circostanziata.
In ultimo, così come vengono considerati dal “sistema”, ci sono poi tutti i lavoratori atipici, precari che non sono stati presi in considerazione dal governo nella platea dei beneficiari; anche se in questi ultimi giorni si sta definendo per il mese di aprile il reddito di emergenza, che ha l’obiettivo di rispondere alla platea di tutti quelli che sono rimasti tagliati fuori da ogni forma di tutela.
La mancanza di un sistema universale che punti a proteggere tutti è un tema urgente di cui discutere – soprattutto nell’emergenza – al fine di trovare soluzioni strutturate e che non abbiano l’unico obiettivo di tamponare nel breve termine, ma quello di trovare soluzioni strategiche e di programma su un mondo del lavoro ancora troppo diviso, segnato marcatamente da disuguaglianze che nel 2020 risultano inaccettabili.
Photo by Marco Bianchetti on Unsplash
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