La vaghezza dei contenuti dietro gli slogan si ricollega a tanti mali antichi delle competizioni europee per come sono vissute da noi. Si è parlato pochissimo, ad esempio, del merito dei problemi dell’Unione europea; anche se, a dir la verità, tale mancanza è dovuta sia alla complessità di spiegare e comprendere i meccanismi decisionali dell’UE, sia al ruolo dello stesso Parlamento europeo, che non è davvero quello di dirigere il corso futuro dell’Unione. Ma nei veri motori decisionali dell’UE, come la Francia e la Germania, l’idea di come l’Europa debba essere e di come la si voglia far diventare è ben più netta, come dimostrano i discorsi muscolari di Macron.
È ricomparsa poi l’abitudine, anomalia italiana, di candidare i leader dei partiti e addirittura del governo, anche se tutti sanno che in caso di elezione non si dimetteranno certo dalle cariche per andare a fare gli europarlamentari. Anche in questa scelta si vede il trionfo dell’apparenza sulla sostanza, l’uso della candidatura come un altro degli stratagemmi per vendere un prodotto.
Un prodotto sempre più difficile da vendere, nel caso della politica, vista la crisi dell’interesse da parte dei cittadini. Il grafico dell’affluenza mostra un calo inesorabile: l’elezione diretta del Parlamento europeo esiste dal 1979 e quell’anno andò a votare l’85% degli aventi diritto, surclassando la media dell’Unione che si fermò al 62%. Da allora però le percentuali nostrane sono andate quasi sempre in discesa, fino al 66,5% del 2009 e al 54,5% della tornata precedente, quella del 2019.
Per cercare di arrivare al cittadino, disinteressato quando non ostile al mondo della politica, la comunicazione deve inventarsi trucchi sempre nuovi. Perfino quello di mettere da parte la politica in senso stretto. Non a caso Matteo Salvini sceglie da tempo una comunicazione sui social network che commenta di frequente casi di cronaca a uso dei suoi 2,3 milioni di follower su Instagram: omicidi, incidenti stradali, casi di animali abbandonati, la reazione di un genitore a un’insufficienza scolastica della figlia. Se il prodotto principale (il sostegno a un partito e a una linea politica) vende poco o è in crisi, uno dei modi per provare a tenere alte le vendite (nella nostra analogia, i voti) è provare a proporre qualcosa di diverso (il commento ai casi di cronaca), sperando che il beneficio in termini di immagine e di ampliamento del pubblico si estenda anche al core business.
La politica odierna, non diversamente dalla pubblicità, prevede la passività implicita del cittadino-consumatore. Proprio come nell’ambito commerciale, al cittadino non si richiede di essere parte attiva del processo democratico, né che le sue attività vadano oltre il voto: un’azienda non può certo ambire a che i suoi clienti diano una mano a produrre quanto vendono. Allo stesso modo, i partiti oggi cercano dal cittadino-consumatore un comportamento che si esaurisce nell’urna: a guardare la comunicazione dei leader, le campagne di tesseramento passano in sordina, e la partecipazione alle attività di partito nei circoli – peraltro in crisi da anni anche per i partiti più strutturati – non è mai parte del messaggio.