Puglia, transizione ecologica: le promesse se le è portate via l’eolico?

L’Assessore regionale allo Sviluppo economico Alessandro Delli Noci intervistato da SenzaFiltro: “È la sfida più grande, ma può risanare intere aree, far ripartire l’agricoltura e favorire l’occupazione”.

Si fa presto a dire transizione energetica. Prendete la Puglia: a metà degli anni Novanta del secolo scorso era la terra promessa delle energie rinnovabili e oggi fioriscono comitati civici contro pannelli fotovoltaici e pale eoliche praticamente in ogni angolo baciato dal sole e scosso dal vento. Un conflitto, quello tra comunità e multinazionali, permanente ed effettivo, fondato su almeno due ragioni: il sacco paesaggistico nelle zone collinari e montuose; il tradimento della promessa di lavoro e contributi finanziari.

Eppure eolico e fotovoltaico, insieme all’idrogeno verde, sono l’unica soluzione alternativa al carbone o al gasolio; o al gas che brucia, ad esempio, nella seconda centrale d’Italia per dimensioni (2.640 megawatt installati, realizzata e gestita da Enel a pochi chilometri da Brindisi) o nel motore delle acciaierie Arcelor Mittal (poco più di 1.000 megawatt). Per garantire l’energia immessa in rete annualmente da questi due soli impianti sarebbero necessari 7.000 ettari di pannelli fotovoltaici e 4.000 pale da 3 MW. Con una differenza sostanziale: le fonti fossili alimentano un rubinetto che può essere aperto o chiuso alla bisogna; sole e vento decidono loro quando splendere e tirare.

Transizione energetica in Puglia, l’assessore Delli Noci: “Energia pulita per abbattere i costi e avviare nuove filiere”

La sfida, allora, è di quelle tanto affascinanti quanto complesse, oltre che inevitabili. Ne è consapevole l’Assessore regionale allo Sviluppo economico Alessandro Delli Noci, titolare del dossier insieme alla collega all’Ambiente Anna Grazia Maraschio. La transizione energetica è indicata come uno degli obiettivi programmatici di maggiore spessore del rieletto presidente Michele Emiliano: ai suoi delegati il compito di strutturare il percorso all’interno del rinnovato Piano per l’Energia e l’Ambiente, elaborato quindici anni fa.

Assessore Delli Noci, l’iniziale diffusione degli impianti eolici e fotovoltaici è stata favorita anche dall’infondata promessa di posti di lavoro. La transizione energetica porterà nuova occupazione?

L’idrogeno porta molta occupazione, altrettanto l’agrovoltaico. E poi ci sono reddito energetico e comunità energetiche: occasioni di coinvolgimento attivo della cittadinanza nel processo di autoconsumo.

Reddito energetico?

Una misura sociale adottata nella precedente legislatura, su proposta del M5S, e che stiamo regolamentando per gestire il contributo di 7 milioni ottenuto dal Gestore dei Servizi Energetici, a cui la regione ha aggiunto una quota delle royalties derivanti dall’estrazione di idrocarburi, con cui finanzieremo circa 1.500 impianti per autoconsumo energetico destinati alle famiglie con ISEE sotto i 20.000 euro. La Regione Puglia ha anche istituito le comunità energetiche, che vorremmo diventassero autonome: piccoli comuni, aree industriali, grandi condomini. Immaginate quest’ultima soluzione per gli alloggi di edilizia popolare: solleveremmo da un peso le persone e le famiglie che hanno difficoltà reale a pagare le bollette.

Come si passa dalla transizione energetica a quella economica?

La transizione energetica è un pezzo dell’economia circolare su cui punta la regione. È la più grande sfida ambientale ed economica che affronteremo, anche con l’ausilio del sapere scientifico: abbiamo sottoscritto un protocollo con ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, N.d.R.) per l’attivazione del Centro di ricerca sull’Economia Circolare nella Cittadella della Ricerca di Mesagne, dove vogliamo introdurre anche il Centro di Decarbonizzazione che guiderà la transizione energetica in Puglia. E all’interno di questa struttura affronteremo anche il tema dello sviluppo di opportunità imprenditoriali e occupazionali.

Spesso si legge e si sente urlare, da chi si oppone a nuovi impianti energetici, “la Puglia ha già dato”. A suo parere, che cosa ha dato la Puglia e che cos’ha ricevuto?

Il riferimento è a tutto ciò che è stato fatto dagli anni Settanta in poi sul carbon fossile, soprattutto a Cerano e Taranto, quindi a tutto l’inquinamento generato. E poi c’è la considerazione che la Puglia produce molta più energia di quanta ne consumi. Secondo me è una visione troppo schematica che non inquadra il contesto nazionale. Prendiamo ad esempio l’acqua: noi pugliesi la riceviamo dalla Basilicata e dalla Campania. Allora, se davvero vogliamo costruire una transizione energetica, dobbiamo comprendere che bisogna spegnere i grandi impianti alimentati da fonti fossili e costruire una diversificazione fondata su idrogeno verde e fonti rinnovabili. Con una differenza positiva rispetto al passato: utilizzare la leva energetica per ridurre i costi aziendali e avviare nuove filiere industriali, come quelle agricole.

Le centrali di Cerano e Taranto sono realmente “portabili” nella transizione energetica?

Assolutamente sì. È l’obiettivo del governo e della regione. È un processo di medio-lungo periodo, ma deve iniziare puntando su fonti alternative come l’idrogeno.

L’idrogeno sembra la panacea di tutti i mali. Nel medio termine è reale il suo utilizzo su così ampia scala?

L’idrogeno verde è un’opportunità reale se associato agli impianti di produzione da fonti alternative. Noi abbiamo avviato l’iter legislativo per attivare impianti nei Siti d’interesse nazionale, quelle che ospitavano industrie dismesse e sono da bonificare. O, perché no, affiancare l’idrogeno alle centrali eoliche e fotovoltaiche esistenti.

Perché i SIN – Siti di interesse nazionale? E le bonifiche?

L’obiettivo è: prima bonificare, poi produrre. Prevediamo, in capo agli investitori, l’obbligo di procedere alla bonifica. È un’occasione straordinaria per restituire salubrità a quelle aree e renderle nuovamente produttive, pur non essendo coltivabili. È uno schema che potremmo utilizzare anche per le cave dismesse.

Assodato l’orientamento contrario ai campi fotovoltaici “a terra” su terreni coltivabili, come si realizza l’agrovoltaico indicato nel piano della transizione e che differenza c’è?

La disposizione dei pannelli è distanziata e sopraelevata, per cui si può continuare a coltivare il terreno. Attiveremo un dibattito politico su questa idea, perché può essere l’occasione per costruire un’industria agricola. Gli impianti energetici di questo tipo sono grandi, quindi prevedono investimenti consistenti e noi vogliamo provare a industrializzare il ciclo produttivo agricolo immaginando che il ricavo ottenuto dall’energia bilanci i piani economici delle aziende agricole, oggi particolarmente deboli. Anche in un’ottica di sostenibilità: compensare con l’energia prodotta dal sole quella “spesa” nella produzione. Stessa cosa vorremmo realizzare per l’acqua. È un processo circolare che genera occupazione, industrializzazione, logistica.

Altro tema divisivo è l’occupazione di specchi di mare con impianti eolici off shore. Si risolve o si galleggia?

È un tema che deve essere discusso a livello nazionale e non regionale o locale. Le regioni devono avere la loro linea e svolgere il loro ruolo, ma il contesto normativo deve essere più ampio; sulla falsariga di quanto fatto, ad esempio, per TAP (Trans-Adriatic Pipeline o Gasdotto Trans-Adriatico, N.d.R.) in Puglia o per l’estrazione di petrolio in Basilicata.

E che ne sarà degli impianti esistenti? Le vecchie convenzioni, sostanzialmente, non hanno più valore. Come si risolve e si riequilibra il rapporto tra produttori e territori?

È uno dei temi più importanti che abbiamo oggi sul tavolo. Faremo la mappatura degli impianti esistenti e del fabbisogno di energia tenendo in conto il fondamentale dato della caduta di tensione inevitabilmente connesso alle condizioni meteo-climatiche, problema che oggi risolviamo grazie alle centrali a carbonfossile o metano. Fatto questo, prenderemo in considerazione le autorizzazioni: alcune sono perenni e sostengo si debbano aggiornare; quelle scadute dovranno terminare e, se c’è l’interesse al revamping, si dovranno richiedere nuove autorizzazioni e stipulare nuove convenzioni. Sappiamo di aziende che hanno realizzato impianti e li hanno abbandonati; quindi, il termine della convenzione può essere l’occasione per dismetterli.

Photo credits: figliodellafantasia.wordpress.com

CONDIVIDI

Leggi anche