Scuole chiuse per coronavirus. Ma i genitori a casa chi li paga?

Le scuole in Emilia-Romagna sono chiuse da lunedì 24 febbraio. Il presidente della regione Bonaccini inizialmente aveva disposto la chiusura fino al primo di marzo, ma è di ieri la decisione governativa che prolunga la chiusura anche alla prossima settimana. Una misura preventiva che apprezzo, perché so per esperienza che i bambini sono un veicolo […]

Le scuole in Emilia-Romagna sono chiuse da lunedì 24 febbraio. Il presidente della regione Bonaccini inizialmente aveva disposto la chiusura fino al primo di marzo, ma è di ieri la decisione governativa che prolunga la chiusura anche alla prossima settimana.

Una misura preventiva che apprezzo, perché so per esperienza che i bambini sono un veicolo enorme di virus e batteri, e soprattutto i più piccoli non sono controllabili con mascherine e dosi massicce di disinfettanti. Molte le polemiche. Sui social ho sentito commenti di ogni tipo: perché le scuole sì e gli aeroporti no? Che senso ha tenere chiuse le scuole se poi riaprono le palestre per le attività sportive? Non voglio entrare nel merito della questione, ma una domanda inevitabilmente me la sono fatta.

 

Come si devono gestire i genitori?

Non tutti hanno la fortuna di avere i nonni a disposizione per periodi prolungati e non tutti possono pagare una babysitter per una settimana intera (sempre che se ne trovino, e che non siano diventate più rare e più costose dell’Amuchina). Quindi chi non ha nonni o babysitter come si gestisce sul lavoro? È costretto a prendere ferie o permessi? Semplicemente sta a casa e non viene pagato?

Mi è bastato raccogliere qualche testimonianza dalla chat delle mamme della scuola materna di mia figlia per capire che le situazioni tranquille sono ben poche. Alcune rapidamente e brutalmente mi hanno risposto: “io sono libera professionista, se non lavoro non guadagno”. Altre sono dipendenti e l’impatto sul loro stipendio è forse un po’ meno deprimente, ma comunque difficile da gestire.

Paola ad esempio lavora in un’azienda metalmeccanica del territorio bolognese che ha 200 dipendenti. Quando le ho chiesto come aveva reagito la sua azienda alla chiusura delle scuole, mi ha spiegato che domenica 23 (giorno della disposizione regionale) ha ricevuto un messaggio dal capo del personale che recitava più o meno così: “Tutti i dipendenti che, a causa del coronavirus, hanno la necessità di rimanere a casa con figli o parenti anziani, hanno la possibilità di usufruire di ferie e permessi senza preavviso”.

Bello sforzo”. Non sono stata molto delicata, lo so, ma mi è venuto spontaneo dirlo. Soprattutto considerando che, arrivati a fine anno, in teoria tutte le aziende dovrebbero far smaltire ferie e permessi ai dipendenti, e considerando che siamo appena all’inizio di un nuovo anno lavorativo immagino che non tutti abbiano un monte ore sufficiente per coprire una situazione che si potrebbe anche prolungare.

Paola ha confermato e aggiunto: “Per fortuna, anche se mio figlio ha cinque anni, io ho ancora la maternità e in questi giorni ho usufruito di quella. Ovviamente vengo pagata al 30% e ci rimetto il 70% dello stipendio, ma non potevo fare altrimenti. In realtà speravo che si potesse arrivare a un compromesso diverso con l’azienda, anche perché per chi ha i figli alle superiori e indipendenti il problema non si pone, ma per chi ha i figli piccoli il problema non è risolvibile. Pensando di agevolarmi, il mio responsabile mi ha anche detto che potevo portare il bambino al lavoro, ma che senso ha? Li teniamo a casa da scuola per evitare il diffondersi del virus e in risposta li porto in azienda?”

A mio parere non ha neanche senso che lei debba utilizzare la sua maternità per un’emergenza sanitaria nazionale, ma c’è anche chi, per il momento, è meno coperto di lei.

 

Aziende in panne, viaggi bloccati: per le famiglie la coperta è corta

Michela ad esempio è una libera professionista, con un marito libero professionista. Tra i due è Matteo a stare a casa con la bambina. Lui fa il consulente per una importantissima azienda bolognese legata al settore alimentare che esporta in tutto il mondo. I viaggi per i dipendenti sono stati bloccati; invece ai consulenti esterni inizialmente è stata data la possibilità di scegliere se partire o non partire. Una posizione che sembrava a tutti ingiusta, e dopo la richiesta da parte degli esterni di prendere una posizione precisa – e solo dopo la richiesta, lo ribadisco – l’impresa ha scelto di non farli partire.

Matteo aveva scelto a prescindere di non partire, non tanto per paura del virus, ma per il timore di non poter riuscire a rientrare a causa di eventuali e non tanto improbabili quarantene. La decisione presa martedì gli ha fatto saltare tre settimane di lavoro all’estero, con un conseguente ammanco economico di 2500 euro. Nel corso di questa settimana l’azienda ha poi cercato di bilanciare la perdita offrendogli per qualche giorno un’altra attività su Bologna, quindi il danno per ora è potenzialmente ridotto, ma bisogna vedere quanto durerà l’emergenza. In questo caso, indipendentemente dal fatto che il bambino sia o meno a scuola, per la famiglia è impossibile regolarsi con i conti.

Da qualche giorno sento dire che “il governo sta studiando un decreto che favorisca le imprese delle ‘zone rosse’. Prevista cassa integrazione straordinaria anche per PMI e aiuti alle partite Iva”. Ma il territorio di Bologna e dintorni, dove lavorano queste persone, non è nella zona rossa, e le partite Iva sono danneggiate lo stesso. Con o senza figli. Da ieri si parla di definire le zone colpite in tre colori e di disporre i giusti ammortizzatori sociali al di fuori della zona rossa, ma ancora non c’è nulla di definito che possa far star tranquille le famiglie.

Marta è un’altra delle mamme della chat ed è nella posizione opposta. A lei i bambini li hanno tolti. Lei è titolare di un PGE (Piccolo Gruppo Educativo), praticamente un piccolo nido privato. Gestisce otto bambini insieme ad altre due educatrici. Mentre scrivo (sabato 29 febbraio) non sa ancora come si devono muovere le sue dipendenti. Il suo nido è chiuso e non sa se le ragazze dovranno prendere ferie o permessi o se interverrà qualche ammortizzatore sociale.

“Si parla anche – mi spiega – di un possibile sconto per le famiglie perché in effetti non è giusto che paghino interamente l’asilo, ma neanche lo sconto è stato ancora quantificato. Io posso non pagare me, ma le ragazze le devo pagare e lo sconto alle famiglie lo devo fare. Nel pubblico sono tutti tutelati, ma io, che ho la stessa attività nel privato, mi attacco al tram”. Queste le sue testuali parole.

 

Scuole chiuse e insegnanti pagati a ore: il virus li lascia senza stipendio?

La realtà è che il problema non riguarda solo gli asili privati, e anche chi lavora per il pubblico non è sempre tutelato. Da tempo nella scuola italiana ci sono insegnanti di serie A e insegnanti di serie B. Gli insegnanti di serie A, quelli di ruolo, in caso di una disposizione di emergenza come questa sono sicuri di essere comunque pagati. Ma tutti quegli educatori che lavorano nelle scuole pubbliche, ma che sono impiegati dalle cooperative, che stipendio si devono aspettare alla fine di febbraio? Ancora non lo sanno.

Ieri ho chiamato un’educatrice che mi era stata segnalata da un’amica e lei mi ha spiegato che tutti i mesi deve consegnare alla cooperativa le ore fatte a scuola e riceve lo stipendio sulla base di quel monte ore. La comunicazione che hanno dovuto dare prima di consegnare le ore è: “Assenza generica provvisoria dal 24 al 28 febbraio”. Come e se saranno pagati ancora non è lecito saperlo. Alcune cooperative sociali hanno chiesto un tavolo urgente di salvaguardia regionale per tutelare il reddito e il pagamento delle ore non lavorate, ma la situazione non è ancora definita.

La domanda che vi ho fatto nel titolo per me ad oggi resta senza una risposta, ma ci impegneremo ad aggiornarvi sugli sviluppi che saranno messi in campo.

 

 

Foto di copertina by Ivan Aleksic on Unsplash

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