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Sisma Marche: la politica ha fatto utili con le macerie
Le macerie del 2016 ingombrano ancora le zone più colpite dal sisma delle Marche. All’origine un pasticcio burocratico tra regione e società vincitrice dell’appalto per lo smaltimento.
Fermo immagine per lo smaltimento delle macerie del terremoto nelle Marche: si va a un ritmo di 300, 400 tonnellate al giorno per gli intrecci della burocrazia, un quarto della velocità a pieno regime degli impianti.
A oltre quattro anni dalle scosse più forti, quegli edifici che potevano essere demoliti con ordinanze dei sindaci, per motivazioni di necessità e urgenza, ora restano fermi ad attendere insieme ai calcinacci ancora da rimuovere. Se ne dovranno occupare i proprietari delle case quando andranno a ricostruire: le macerie diventeranno “private”, saranno classificate come semplici rifiuti speciali.
Marche, dopo il terremoto le macerie sono ancora lì
Nelle Marche sono stati spesi 48 milioni di euro e rimangono, principalmente nelle zone rosse, circa 400.000 tonnellate di macerie, che se non saranno smaltite entro la fine dello stato di emergenza, a fine dicembre 2021, saranno classificate come rifiuti speciali da smaltire con i fondi per la ricostruzione privata, con un allungamento dei tempi e difficoltà di tracciamento dei materiali.
Il fabbisogno finanziario per smaltire le macerie ancora da rimuovere è stato stimato in 32 milioni di euro. La Regione Marche ha affidato l’onere di provvedere allo smaltimento delle macerie pubbliche, pari a un milione e 130.000 tonnellate, al Cosmari, il consorzio di smaltimento rifiuti della provincia di Macerata, i cui proprietari sono tutti i comuni della provincia e la vicina Loreto. Il principale impianto per smaltire le macerie, costruito con i fondi della regione in località Piane di Chienti a Tolentino, dove si trova la sede principale del Cosmari, è costato oltre 4 milioni di euro, e a regime secondo i dati regionali dovrebbe smaltire 1.650 tonnellate di macerie al giorno, mentre attualmente la velocità stimata di smaltimento è pari a 450 tonnellate al giorno.
Secondo le stime fornite dalla regione al commissario straordinario alla ricostruzione Giovanni Legnini nel marzo 2020, finora sono state smaltite 780.000 tonnellate di macerie, al 30 settembre scorso. Nella sola provincia di Macerata, la più danneggiata dalle scosse con una percentuale del 65% dei danni sul totale regionale, sono state smaltite 387.000 tonnellate. A dicembre 2017 è stato inaugurato l’impianto per la selezione e lo smaltimento delle macerie sito accanto alla sede Cosmari di Tolentino, entrato pienamente in funzione solo nel novembre 2018. Da Tolentino sono uscite selezionate 200.000 tonnellate di macerie, per una struttura costata 3 milioni e 925.000 euro e mai sfruttata a pieno regime, con un costo di ammortamento dell’impianto stimabile in circa venti euro a tonnellata.
Quanto costa lo smaltimento delle macerie nelle diverse regioni terremotate?
Il costo di smaltimento delle macerie nelle Marche è ufficialmente di 50 euro a tonnellata, secondo il contratto di servizio tra Cosmari e Regione Marche.
In Umbria lo smaltimento, affidato a Valle Umbra Servizi, società a totale capitale pubblico, costa 60 euro a tonnellata. Nel Lazio ha vinto l’appalto pubblico la Garc di Modena, che con 66 euro a tonnellata conferisce, smaltisce e seleziona le macerie, comprese le spese di demolizione degli edifici, unico caso nel cratere sismico. A prevedere questo un’ordinanza a firma del capo nazionale della Protezione Civile Angelo Borrelli, sulla gestione congiunta delle macerie e delle demolizioni, che altrove è stata sistematicamente ignorata.
Nelle Marche inizialmente le demolizioni sono state affidate all’esercito, ma solo per un periodo limitato a inizio del 2017. Successivamente e fino a oggi, le demolizioni di edifici su via pubblica sono state affidate dai comuni a ditte private, con costi medi di 30.000 euro per demolire un edificio di due piani e quattro unità immobiliari. Ci sarà a breve un ritorno all’antico: il commissario straordinario Legnini firmerà una nuova ordinanza in cui tornerà l’esercito a demolire edifici distrutti.
In Abruzzo è l’Aciam a essersi aggiudicata lo smaltimento delle macerie, per una cifra pari a 66 euro a tonnellata, gli scarti della selezione delle macerie sono stati usati per la coltivazione e il recupero ambientale della cava di Capitignano.
Molti impianti, tante spese, pochi risultati
Nelle Marche oltre a Tolentino ci sono altri due siti: quello dell’area Unimer di Arquata del Tronto,che smaltisce le macerie derivanti da una delle zone più gravemente devastate in regione, e quello di Monteprandone, un capannone industriale attualmente fermo, che ha lavorato solo pochi mesi. Per entrambi, di proprietà privata, la regione paga un affitto di circa seimila euro mensili, e sono stati effettuati interventi di adeguamento degli impianti, per renderli operativi, per circa 732.000 euro a struttura. Alla fine del ciclo di trattamento il tutto tornerà ad essere di proprietà privata.
Ad Arquata si lavorano circa 250 tonnellate al giorno. A Monteprandone sono state conferite 50 tonnellate di macerie all’inizio di novembre, ma l’impianto rimane fermo. Una ventina le tonnellate di macerie conferite a Tolentino, dove si lavora molto al di sotto delle potenzialità.
Cosmari è subentrato nella gestione delle macerie a Picenambiente, con cui la regione ha risolto il contratto nell’ottobre del 2018 a causa della sospensione di alcuni giorni del servizio di raccolta. L’azienda per questo “disservizio” ha dovuto versare una penale di 5.000 euro, mentre delle sospensioni avvenute al Cosmari la politica locale non ha chiesto pubblicamente conto.
Sisma Marche, dove sono finiti gli utili dello smaltimento?
Il Cosmari, secondo quanto previsto dall’articolo 28 del decreto 189 sul terremoto, avrebbe dovuto trasferire ai comuni i proventi della vendita di ferro, legno, inerti e altri materiali ricavati dalla selezione delle macerie, quale compensazione.
Nonostante fosse previsto dal contratto di servizio con la regione, Cosmari non ha mai attuato e reso pubblica una contabilità separata per le macerie; gli utili dello smaltimento vanno a beneficio dei comuni del maceratese, nella contabilità ordinaria dello smaltimento rifiuti. A comuni come Castelsantangelo sul Nera (Mc), praticamente raso al suolo dal terremoto, sino ad oggi delle macerie smaltite non è entrato nemmeno un centesimo. Secondo una stima forfettaria, sulla base delle macerie fino a oggi smaltite, dalla vendita dei materiali avrebbe dovuto avere circa 150.000 euro, cifra che per un comune di duecento residenti è di tutto rispetto.
A darne conferma il sindaco Mauro Falcucci: “Non ci sono state autorizzate ulteriori demolizioni nel nucleo storico del paese. Fino a oggi sono state conferite al Cosmari circa 75.000 tonnellate. Si rischia l’effetto domino: se si tocca un edificio gli altri rischiano di crollare, data la struttura dell’abitato e il livello di devastazione. Quello dello smaltimento sarà un costo ascritto alla ricostruzione, quando si interverrà nel centro storico. Non abbiamo ricevuto nessun contributo dalla vendita dei materiali ricavati dalle macerie. Se i ricavi dello smaltimento sono stati impiegati per compensare il bilancio della raccolta dei rifiuti, posso solo dire, oltre al danno la beffa”.
Sono 100.000 le tonnellate di macerie stimate per il solo comune di Castelsantangelo. Essendo trascorsi quattro anni ormai lo smaltimento delle macerie in zona rossa è fermo. Le demolizioni necessarie non hanno ricevuto l’autorizzazione di spesa, sia per la complessità degli interventi richiesti che per il tempo ormai trascorso. Quando partiranno i cantieri di ricostruzione, si farà un progetto per ciascun comparto di intervento in cui sarà diviso il nucleo abitato.
Un altro sindaco che nel 1997 si è trovato il paese raso al suolo dal sisma che colpì Marche e Umbria, Venanzo Ronchetti, racconta l’esperienza di smaltimento delle macerie a Serravalle di Chienti: “Per noi smaltire le macerie non è stato un problema. Inizialmente si era offerta una ditta, che le smaltiva gratuitamente in cambio dei ricavi della vendita degli inerti, guadagnando dal riciclo. Una parte l’avevamo fatta conferire in una cava dismessa nel territorio comunale, in modo da provvedere al recupero del sito. Più tardi la regione intervenne con un provvedimento che diede in appalto il servizio ai privati, dietro compenso forfettario per ciascuna tonnellata smaltita. Questa ditta che lo faceva gratis aprì un contenzioso, ma alla fine dovette tenere fede al contratto firmato”.
I numerosi stop di Cosmari
Nel disciplinare regionale di affidamento del servizio di smaltimento macerie si legge che gli eventuali utili ricavati da questa attività, possono essere dati come compensazione alla regione. Nel bilancio 2019 del Cosmari si legge che dalla vendita di ferro ricavato dalle macerie sono stati ricavati 126.000 euro, ma dai documenti pubblici sul sito aziendale non si riesce a rintracciare la destinazione di questi fondi.
Inizialmente l’appalto per lo smaltimento delle macerie nelle Marche era stato dato all’Htr, società del Lazio che per 60 euro a tonnellata provvedeva alle varie fasi dello smaltimento, demolizione compresa. L’affidamento dello smaltimento delle macerie nelle province di Fermo e Ascoli è stato dirottato al Cosmari nel dicembre del 2018, mentre il sito di Arquata è entrato in funzione solamente nel gennaio 2020, senza gara d’appalto, ma con affitto dai privati.
Nel conto economico dello smaltimento si arriva a 48 milioni e 25.000 euro spesi, che fanno 75 euro a tonnellata, cifra superiore ai 50 euro previsti nel disciplinare regionale di affidamento del servizio. Aggiungendo i costi sostenuti dalla regione per gli impianti, il reale costo di smaltimento a tonnellata si aggira intorno ai 100 euro. A Tolentino nei due anni di funzionamento sono state smaltite 200.000 tonnellate di macerie, che secondo i dati di smaltimento giornalieri indicati dalla regione avrebbero dovuto essere smaltite in soli quattro mesi.
In realtà non si è mai lavorato a pieno regime, sia per ragioni interne alla gestione che a causa della burocrazia. Cosmari si è bloccato per ben tre volte nello smaltimento, a gennaio e a giugno di quest’anno, al di fuori del blocco imposto dalla pandemia. Nel marzo 2019 l’azienda ha annunciato un primo stop nella raccolta delle macerie, dato che era stata avviata un’indagine penale sulla presenza di amianto nelle macerie, motivando il fermo con la necessità di avere chiarezza nelle procedure di smaltimento.
A gennaio 2020 il problema è stato una “svista” del governo Conte, che nel decreto sisma non aveva autorizzato la proroga ai siti di deposito delle macerie, che potevano essere solo trasportate ma non lavorate. L’attività è rimasta ferma un mese, fino a quando un intervento interpretativo dell’allora commissario straordinario alla ricostruzione Piero Farabollini ha sbloccato tutto. Un altro stop alla raccolta è avvenuto lo scorso aprile, quando il direttore del Cosmari Giuseppe Giampaoli ha scritto alla regione, soggetto attuatore sisma, per mancati pagamenti di fatture relativi allo smaltimento macerie per 8 milioni e 200.000 euro. A sbloccare la situazione, a giugno, il finanziamento di nove milioni di euro, dirottato alla regione dal commissario straordinario Giovanni Legnini.
Le macerie del sisma marchigiano hanno una data di scadenza
Adesso di questa organizzazione restano le “macerie” di un sistema che ha funzionato parzialmente, lasciando ferme ben 400.000 tonnellate rispetto alle stime iniziali.
A luglio sono state riviste al ribasso le stime di smaltimento, contrariamente alle esperienze di altre regioni vicine come l’Umbria, che hanno invece rivisto al rialzo le quantità. Secondo le nuove stime resterebbero al massimo 150-200.000 tonnellate di macerie da smaltire. Se si lavorasse alla piena potenzialità di smaltimento degli impianti, ci vorrebbero al più quattro mesi per smaltirle, ma ai ritmi attuali si va da un minimo di un anno a un massimo di un anno e due mesi per completare la rimozione delle macerie pubbliche.
Una corsa contro il tempo, perché lo stato di emergenza terminerà, stando alle disposizioni attualmente in vigore, il 31 dicembre 2021, e non si sa se verrà prorogato. Le macerie pubbliche saranno allora classificate come rifiuto speciale e smaltite secondo le modalità di quelle private, a sedici euro al metro cubo per edificio demolito, equivalente ad una cifra stimabile tra 10 e 20 euro a tonnellata, inclusi i costi di trasporto, a cui va aggiunto il conferimento in discarica. Un risparmio per le tasche dei contribuenti, ma che ha come contropartita un allungamento dei tempi e l’incertezza sulla destinazione finale del materiale. Nessuna filiera di tracciabilità è stata ancora implementata, nemmeno ipotesi di attivazione di un circolo virtuoso di riciclo e impianti di economia circolare, che avrebbero consentito di produrre utili da reinvestire nel territorio devastato da cui le macerie provengono.
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