Troppo terrorismo sul lavoro del futuro

La visione del lavoro del futuro non è fosca come qualcuno vuole far credere. La tecnologia, però, ha bisogno di essere regolata per apportare benefici.

Il mondo ha un sacco di problemi, e a Nobìlita scopri che ci sono tante persone impegnate a trasformarli in opportunità.

L’uomo è un essere abitudinario. Dagli studi sui cacciatori paleolitici a quelli decisamente più recenti sulle tracce dei movimenti individuali sui cellulari, emerge con chiarezza che la nostra specie è poco incline al cambiamento: preferisce la comfort zone della routine rispetto all’ignoto. Sarà per questo che ogni mutamento è vissuto con un sentimento misto di paura e ansia. La paura non va mai negata, ma paralizza le nostre risposte razionali ed esalta la nostra tradizionale autocommiserazione.

La tecnologia contro la paura di innovare

Anche le innovazioni tecnologiche non sono immuni da questo sentimento: ogni tecnologia introdotta dall’uomo ha sempre suscitato stupore e paura, anche se nella realtà gli ha permesso di migliorare la sua vita e ha rappresentato, nel corso dei millenni, la materializzazione della sua intelligenza per superare i limiti fisici della nostra specie. Per questo ogni tecnologia, nel bene e nel male, contiene in sé i valori della cultura umana che l’ha progettata.

Dalla prima grande rivoluzione nella storia dell’umanità, quella neolitica, ci vollero all’incirca diecimila anni per fare il successivo passo avanti di portata paragonabile: l’introduzione di nuove tecniche industriali a cui diamo il nome di Rivoluzione industriale. Oggi con la Quarta Rivoluzione industriale, siamo al secondo balzo in avanti dell’umanità.

Se nella prima “era delle macchine” la tecnologia aiutò a superare i limiti della potenza muscolare umana, in questa seconda era delle macchine lo stesso stimolo verrà applicato a potenziare e liberare le capacità cognitive. Un cambio totale di paradigma, che sta già avvenendo grazie alla diffusione delle tecnologie TLC e al digitale con una progressione esponenziale.

Ciò genera un sentimento di paura su cui alcuni stanno speculando per interessi di vario tipo. C’è chi addirittura va preconizzando un futuro in cui solo il 10% dell’umanità iper-professionalizzata lavorerà mentre il 90% vivrà di sussidi. Si sono moltiplicati in questi anni pubblicazioni e studi, che non di rado hanno fatto la fortuna degli autori, secondo cui i robot cancelleranno migliaia di posti di lavoro. Si preferisce ignorare che i robot nelle nostre fabbriche sono presenti da oltre 40 anni. La Fiat Ritmo, che forse pochi ricorderanno, era assemblata in una catena già robotizzata sul finire degli anni Settanta del secolo scorso.

Il lavoro del futuro, migliore di quello del presente

La verità è che la tecnologia non farà scomparire il lavoro. Seguendo un cammino chiaramente tratteggiato nella storia dell’economia, le innovazioni tecnologiche determineranno come in passato una crescita della produttività, che si tradurrà poi in aumento dell’occupazione e condizioni di vita migliori per tutti. Il lavoro, come è sempre successo, grazie alla tecnologia si trasformerà, e saranno necessarie – sta già accadendo – nuove competenze per i nuovi lavori che nel frattempo verranno creati.

Secondo un citatissimo studio del World Economic Forum, il 65% dei bambini che frequentano la scuola elementare da grande farà un lavoro che oggi non esiste nemmeno. Per questo è vitale per il futuro del nostro Paese e del nostro sistema economico e sociale lavorare alla transizione tecnologica. Come? Ricalcando le orme del governo tedesco, ad esempio, che ha lanciato il nuovo patto digitale, un piano da 5 miliardi di euro che dovrebbe trasformare le 40.000 scuole del Paese in una fucina capace di dotare le nuove generazioni delle competenze necessarie ad affrontare il futuro mercato del lavoro digitale. Tutto il contrario di ciò che avviene in Italia, dove si riducono le risorse e le ore anche sull’alternanza scuola-lavoro.

Più anticiperemo il cambiamento, quindi, tanto più avremo la possibilità di limitare l’effetto disruptive che ogni tecnologia porta con sé, cogliendo al meglio le opportunità che la tecnologia e il nuovo lavoro ci riservano, senza lasciare nessuno indietro. Chi dice che il lavoro finirà racconta consapevolmente una fake news (ne parlo ampiamente nel mio ultimo libro, Contrordine Compagni, Rizzoli). Nei panel di Nobìlita si trova questo spirito comune in due snodi: guardare con fiducia in avanti senza mai scadere nella retorica del nuovismo.

In Italia in questi anni abbiamo perso migliaia di posti di lavoro proprio per la mancanza di investimenti in tecnologia e innovazione. L’ho constatato di persona nelle tante vertenze di cui mi sono occupato, dall’elettrodomestico all’automotive alla siderurgia. Personalmente continuo a pensare che la tecnologia rappresenti una grande opportunità per umanizzare il lavoro, sollevando l’uomo dai lavori più pericolosi e ripetitivi.

Il lavoro del futuro sarà sicuramente più complesso; gli ecosistemi digitali e biotecnologici intorno a cui stiamo costruendo le nostre smart-city e smart-factory saranno sempre più interconnessi e complessi, nella loro apparente semplicità. Dipenderà da noi se mettere o no l’uomo al centro di questa grande trasformazione.

Il lavoro è l’elemento fondante della nostra democrazia, ed è qualcosa che va oltre la dimensione del sostentamento. Non è solo un’esperienza sociale: la sua comprensione va infatti allargata alla sfera etica, morale e realizzativa dell’uomo; una sfera in cui a mio giudizio occupano un posto privilegiato valori, competenza, complessità, cura, condivisione.

È su questi valori che vanno costruiti i lavori del futuro e orientata la tecnologia.

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