L’Ucraina e il lavoro: quando l’azienda ti salva la vita

A volte un business continuity plan può salvare i collaboratori, oltre all’impresa. Uno spaccato della situazione ucraina e dell’esodo dei lavoratori all’estero, a due anni e mezzo dall’inizio della guerra: abbiamo raccolto la testimonianza di Olga Afanasyeva, responsabile per l’azienda Eleks

14.06.2024
I dipendenti di un'azienda ucraina al lavoro in tuta blu

Lasciare la propria nazione è una scelta molto importante. Chiamare “casa” un altro posto, un luogo in cui non siamo cresciuti e magari arriviamo senza conoscere nessuno, può essere un’esperienza dura e formativa, e allo stesso tempo una sfida con se stessi.

In Polonia, il Paese in cui vivo, nel 2021 vivevano 1,45 milioni di cittadini ucraini legalmente registrati secondo i dati dell’ufficio stranieri. Persone che avevano scelto di vivere in un altro Paese, e magari di sviluppare una carriera, in una nazione membro dell’Unione europea dal 2004. Un’economia in espansione più rapida rispetto agli altri Stati; l’unico Paese in costante crescita, che non aveva o quasi subito rallentamenti nella crescita economica (escludendo il periodo del COVID-19).

I dati della presenza ucraina in Polonia sono drammaticamente incrementati dopo il 24 febbraio 2022, il giorno maledetto in cui la Russia ha invaso l’Ucraina. Secondo il sito statista.com, oltre 18 milioni di ucraini sono transitati oltre i confini polacchi (soprattutto donne e bambini), e secondo i dati del Consiglio europeo circa un milione è rimasto in Polonia.

L'impatto demografico in Ucraina

Dalle stime di Ella Libanova, uno dei più stimati demografi ucraini, che opera presso l’accademia scientifica nazionale, la popolazione si sarebbe ridotta da circa 40 a 28 milioni, considerando sia chi ha lasciato il Paese, sia chi ha perso la vita nel conflitto.

Ma perché tanti ucraini hanno scelto la Polonia? Di sicuro che la Polonia confini con l’Ucraina, sia simile sotto il profilo linguistico, e in alcuni casi sotto quello culturale, sono stati fattori determinanti nella scelta. Oltre a questi aspetti, sia Polonia che Ucraina sono ben note per essere centri di eccellenza nel settore informatico, specie per l’IT outsourcing.

Dal triste giorno dell’attacco russo ho parlato con molti ucraini che mi hanno raccontato le loro storie. Storie che, in molti casi, riguardano anche il loro lavoro.

All'estero grazie al lavoro: il business continuity plan che salva i collaboratori

Tra le aziende che sono state costrette a espandere le proprie operazioni in Polonia troviamo il caso di Eleks, una nota società appunto di outsourcing IT in cui lavorano oltre 2.200 dipendenti, creata da una famiglia di ingegneri lo stesso anno della fondazione dello stato ucraino: il 1991.

Uno dei racconti che mi ha colpito di più è quello di Olga Afanasyeva, che fino al febbraio 2022 era responsabile dell’ufficio di Kyiv (scritto con la grafia ucraina, non con quella russa “Kiev”: per gli ucraini è una distinzione importante, a rimarcare che non appartengono alla Russia), e ora dirige anche l’ufficio polacco di Cracovia, città in cui vive. Fin dal primo giorno del conflitto ha cercato di aiutare non soltanto la sua famiglia e i suoi amici, ma anche i suoi colleghi nel processo di trasferimento in luoghi più sicuri all’estero (come per esempio Cracovia, o Spalato, dove hanno aperto i nuovi uffici), o nella parte occidentale dell’Ucraina (ritenuta meno pericolosa). Il trasferimento da Kyiv non ha coinvolto soltanto le persone, ma anche le mascotte dell’ufficio Eleks nella capitale ucraina: la coniglia Lola e il ragno Matilda.

 

Olga Afanasyeva, responsabile per l’azienda Eleks per la Polonia e Kyiv. Photo credits Kristina Parioti

 

Inoltre, sfruttando abilità di project management e di coordinazione logistica Olga si è dedicata anche alla ricerca dei prodotti più diversificati e necessari: dalle derrate alimentari a lunga conservazione fino ai kit di pronto soccorso.

È interessante notare come la sua azienda avesse già sviluppato un business continuity plan in cui, immaginando lo scenario più tragico, poi avvenuto, hanno invitato i dipendenti a spostarsi in Polonia o in Croazia.

Operando nel settore del recruitment IT mi è capitato altre volte di conoscere cittadini ucraini che si erano spostati circa un mese prima dell’inizio del conflitto. Ora capisco meglio il perché.

Olga sorride quando ripensa alla solidarietà ricevuta dalle persone e nei modi più disparati. Anche i clienti dell’azienda, dislocati in diverse parti del mondo, si sono dimostrati molto empatici nei confronti dei dipendenti di Eleks, offrendo le loro case, o quelle di altre persone del loro network, per ospitare i rifugiati.

Inoltre, in Polonia diverse associazioni l’hanno contattata su LinkedIn offrendo di supportare l’azienda in termini di consulenza legale, o fornendo informazioni pratiche per lo stabilimento in Polonia: il senso di “community allargata” aveva portato aziende e persone di svariati settori a cercare di aiutare – ciascuno con le proprie risorse – chi poteva averne bisogno.

Il management sotto le bombe

Descrivere in modo razionale un evento di così forte impatto emotivo non è semplice, né immediato.

Afanasyeva sottolinea l’importanza del lavoro, inteso anche come uno strumento per non pensare, almeno per alcune ore, alla guerra e alla terribile situazione in cui si trovano familiari e amici. In una situazione simile anche i fine settimana, che di norma sono considerati un momento di riposo e di svago, diventano un momento in cui pensare ai tragici eventi che riguardano la propria terra di origine. La guerra ha conseguenze imprevedibili e multiformi sulle persone.

Oltre che negli uffici, per Olga e i suoi colleghi il lavoro è continuato ovunque i programmatori avevano accesso a un computer e una connessione internet. In questo senso, il lockdown è stato un buon addestramento per poi lavorare da remoto in una zona di guerra. Olga sottolinea come anche con i raid aerei sulla testa, subendo alti livelli di stress, quasi tutti sono riusciti a lavorare.

Questo anche grazie al supporto psicologico offerto in azienda: “Tutti i nostri dipendenti ne hanno diritto, in sessioni individuali o di gruppo. Anche noi manager, che dobbiamo gestire le persone, stiamo lavorando con un’ottima psicoterapeuta originaria di Dnipro (una delle aree più colpite dagli attacchi), che viene spesso nei nostri uffici per fare dei workshop e aiutarci a gestire al meglio la situazione”.

Se l’esilio diventa un’altra patria

Purtroppo, la permanenza all’estero che gli ucraini speravano fosse temporanea sta diventando forzata. Anche se la guerra terminasse domani, cosa che purtroppo non accadrà, molti si stanno convincendo a rimanere oltre i confini dell’Ucraina. Piccoli cambiamenti nel modo di agire testimoniano questa triste presa di coscienza: ad esempio, alcuni conoscenti di Olga residenti in Polonia, di recente, hanno sottoscritto un contratto di assicurazione automobilistica per un anno intero, quando prima lo rinnovavano ogni tre mesi.

Sarà dura ritornare in alcune zone dell’Ucraina (come il sud e il confine a est) perché flagellate dalla distruzione causata dagli ordigni russi, e ci sarà bisogno di bonificare dalle mine alcune parti del Paese.

L’invasione russa ha cambiato per sempre e in modo terribile la vita di milioni di persone. Le sue conseguenze sono destinate a durare a lungo, con effetti che forse neppure la trama intessuta dal lavoro può sperare di ricomporre del tutto.

 

 

 

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Photo credits: eda.admin.ch

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