L’università cerca nuovi lavori

La formazione scolastica e universitaria in Italia è sotto i riflettori per svariate ragioni. La politica non se ne occupa perché non trova interesse a investire nel settore ai fini elettorali, le associazioni di categoria e le imprese la additano perché retrograda e poco attenta al mondo del lavoro, le famiglie pretendono che garantisca la […]

La formazione scolastica e universitaria in Italia è sotto i riflettori per svariate ragioni. La politica non se ne occupa perché non trova interesse a investire nel settore ai fini elettorali, le associazioni di categoria e le imprese la additano perché retrograda e poco attenta al mondo del lavoro, le famiglie pretendono che garantisca la sicurezza di un posto di lavoro per i giovani che vanno a iscriversi.

Manca il rispetto di queste istituzioni anche da parte degli addetti ai lavori, che si trovano a dover fronteggiare problemi organizzativi e burocratici, creando così strutture del corpo docente e dell’attività didattica incerte. I nuovi strumenti di avvicinamento del mondo professionale all’attività quotidiana in aula vengono calati dall’alto senza direttive precise, dando largo spazio all’improvvisazione e all’approssimazione.

Le aziende altresì non ottengono i profili che desiderano dagli istituti secondari superiori né dalle università, perché questa mancanza di organizzazione crea un disallineamento tra le competenze offerte e quelle richieste proprio dalle stesse aziende.

Raccontato così il panorama non è dei migliori, eppure la soluzione sarebbe a portata di mano. Ma temo che stiamo andando nella direzione opposta.

 

Conoscenza vs competenza

L’università e la scuola hanno mutato negli anni il loro obiettivo primario, ovvero quello di trasferire conoscenza agli alunni. Sempre di più, infatti, si tendono a valorizzare le competenze a discapito delle conoscenze, perché più utili a fini professionali.

Nell’epoca della nascita di nuovi tipi di economie basate sull’individualismo e sull’autoimprenditorialità come la gig e la quitting economy (rispettivamente l’economia sulle collaborazioni on demand e l’economia basata sulla volontà di dipendenti di lasciare l’attuale impiego per mettersi in proprio), le competenze trasversali, per esempio, assumono di gran lunga più importanza di quelle tecniche, in quanto sono facilmente rispendibili su ambiti diversi e in svariati contesti professionali.

Pensiamo alle competenze tecniche legate ai sistemi informatici. Possederle non è più indispensabile; se per esempio non so utilizzare un determinato software posso adottarne uno diverso oppure affidare il tutto a un’azienda esterna. Nell’organizzazione interna poi, l’azienda si adopererà per offrirci la formazione necessaria per utilizzarlo e interagirci. È importante invece possedere una predisposizione al lifelong learning (desiderio di imparare e aggiornarsi durante tutta la vita professionale di una persona), che aiuterebbe al continuo cambiamento di software informatici o procedure aziendali complesse.

Sono molte le competenze di moda in questo momento, tra cui quelle legate all’intelligenza emotiva, ovvero all’empatia. Un’apertura alla relazione e un rispetto nell’approccio con l’altro (che sia collega o cliente) aiuta sicuramente a eccellere nel lavoro di squadra e a imparare e comprendere attività diverse dalla nostra.

Ecco che questa moda si allarga anche alla scuola: nascono nuove tipologie di didattica per favorire l’insegnamento di tali competenze già dalla prima infanzia, come l’applicazione del famoso metodo Montessori basato sulla libertà e sull’autonomia dei bambini. In Italia sono già 198 le scuole riconosciute dall’Opera Nazionale Montessori, la maggior parte delle quali si trovano in Lazio (44), in Lombardia (35) e nelle Marche, regione di origine della pedagogista (37). Ulteriore sviluppo delle competenze avviene grazie al progetto della Scuola Senza Zaino, fondato sui principi di ospitalità, responsabilità e comunità, e riconosciuto quest’anno dopo vent’anni di applicazione dall’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) come best practice. Il progetto è nato a Lucca nel 1998 grazie al dirigente Marco Orsi, e ora è presente in 226 istituti in tutta Italia (dati aggiornati a luglio 2018).

Con queste esperienze già da piccoli i bambini della scuola dell’infanzia o primaria trovano attività utili a stimolare queste competenze per la loro crescita, ma soprattutto un ambiente in cui sentirsi parte di un gruppo e dove imparare a utilizzare i propri talenti per loro stessi e per la comunità.

 

Alla ricerca di un ruolo e di una missione

Viene però da porsi una domanda che potrebbe reimpostare tutto il contesto scolastico e universitario nei confronti del mercato del lavoro: qual è il vero ruolo dell’istruzione? Quello di essere funzionale a un determinato sbocco professionale oppure di accrescere la ricerca scientifica?

Come in tutti i quesiti ambivalenti, la verità (forse) sta nel mezzo. Sempre di più stiamo guardando all’istruzione come a un mezzo per arrivare a ricoprire un ruolo professionale e sempre meno come al modo per acquisire le conoscenze utili ad arricchire il proprio background personale e culturale. E sembra che anche gli stessi studenti scelgano in base a questa considerazione. Pensiamo per esempio a tutti i vari ranking di valutazione delle università nel mondo. Il placement è diventato il principale se non l’unico indicatore (almeno per la stampa), e più è alta la percentuale, più l’università si trova nelle prime posizioni.

In controtendenza invece, il Times Higher Education valuta le università secondo indicatori che tengono in considerazione la performance del valore della ricerca scientifica e dell’appeal internazionale, e tra le prime dieci piccole università più virtuose al mondo del 2018 troviamo due atenei italiani di spessore come la Sant’Anna di Pisa e la Libera Università di Bolzano.

L’Academic Ranking of World Universities, invece, è una classifica redatta dall’Università Jiao Tong di Shanghai basata sull’importanza della ricerca, e prende in considerazione i premi Nobel e Medaglie Fields (premio riconosciuto a matematici dalla International Mathematical Union) aggiudicati dagli alumni e dal corpo accademico, il numero dei ricercatori più citati, il numero di articoli pubblicati nelle categorie Nature e Science, e altri indici relativi al quantitativo di citazioni presenti nella stampa scientifica più autorevole.

 

Snaturalizzazione del sistema scolastico superiore

Naturalmente, visto che la direzione in cui sta andando l’università e l’istruzione superiore è quella di favorire un ingresso lavorativo ai numerosi studenti, anche le istituzioni statali mettono a punto dei sistemi che vanno incontro a questa tendenza cercando di valorizzarla. Nascono in quest’ottica i progetti di cui stiamo discutendo animatamente dalla loro messa in atto, come l’alternanza scuola lavoro o l’istruzione tecnica superiore.

L’alternanza scuola lavoro si inserisce nel sistema duale e prevede un’alternanza tra momenti di aula e momenti di “pratica” in azienda sotto forma di stage brevi. La novità rilevante di questo nuovo strumento è il fatto che non solo l’istituto, ma anche l’azienda è protagonista del processo formativo.

Nel più ampio sistema duale si stanno sperimentando altre forme che sono in analisi in questi anni, come quello dell’apprendistato professionalizzante, che permette a giovani dai diciotto ai ventinove anni di poter lavorare con un contratto a termine che permette, al termine del percorso, di conseguire una qualifica professionale stabilita dai contratti collettivi.

Un ulteriore strumento è il progetto didattico dell’impresa formativa simulata (IFS), che vede gli studenti protagonisti dell’organizzazione e gestione di un’azienda creata all’interno dell’istituto secondario, la quale si confronta e collabora periodicamente con altre imprese ed enti sul territorio.

Anche la formazione professionalizzante ha avuto un suo sviluppo (non tanto recente, a dir la verità, perché si parla del 2003), con il sistema IeFP (Istruzione e Formazione Professionalizzante) di competenza delle Regioni, che prevede un’alternativa di durata inferiore ai classici istituti superiori (qualifiche in tre anni e diploma in quattro). L’IeFP prevede dei percorsi formativi finalizzati al conseguimento di qualifiche grazie all’alternanza di momenti di aula, stage in azienda e laboratori pratici.

 

L’università svenduta

Tutto questo accade nell’istruzione secondaria. L’università, invece, come dialoga con le aziende? Non esistendo un sistema generalizzato statale come quello del sistema duale dedicato interamente alle università (ci sono delle possibilità di contatto solo nell’alto apprendistato), sono gli stessi istituti che provvedono ad adottare secondo la propria fantasia e volontà strumenti utili nell’intento.

Oltre i tirocini curriculari ed extracurriculari che sanciscono questa collaborazione ormai da molti anni, vediamo affacciarsi strumenti nuovi o meno nuovi come le attività di ricerca, che più che favorire occupazione creano valore economico agli enti universitari ai quali le aziende affidano tali progetti, oppure un supporto alla costruzione di impresa da parte di studenti provvisti di idee imprenditoriali (per esempio gestione di spin-off, laboratori di autoimprenditorialità, contatti e relazioni con poli tecnologici, incubatori e acceleratori), o ancora una relazione attiva nella formazione attraverso docenze, dottorati e gli stessi tirocini.

Nella relazione tra università e imprese figurano spesso progetti simili a quanto riportato, e a volte diventano dei veri casi di successo per la commistione di più punti di relazione come per esempio il Centro ICxT, ovvero il Centro Interdisciplinare per le Imprese e il Territorio dell’Università di Torino, che favorisce ricerca, sviluppo delle competenze e formazione per progetti.

Un’ulteriore novità, adottata proprio con l’obiettivo di avvicinare università e mondo del lavoro, è stata l’introduzione della possibilità di organizzare corsi di laurea professionalizzanti (normato dal decreto legislativo 987/2016 preparato dal ministro Giannini e firmato dal ministro Fedeli) che partiranno dal prossimo anno accademico 2018/2019. Questa nuova tipologia di corsi si affianca ai corsi di laurea tradizionali, ma si differenzia per la presenza di numero chiuso, due anni di attività di aula e un terzo anno di formazione on the job, oltre a una forte presenza dell’azienda nella progettazione del corso. 

 

La possibile soluzione

Se la vogliamo vedere sotto quest’ottica, oltre a essere contrari all’obiettivo primario dell’università, questi strumenti non sono sufficienti a fornire un accompagnamento utile al lavoro. Quello che veramente manca in Italia è un orientamento al lavoro tale da favorire una scelta consapevole per lo studente e stimolare in lui un approccio al lavoro e alla cultura d’azienda. Questo tipo di orientamento dovrebbe accompagnarsi all’attività didattica e rientrare tra le attività extracurriculari obbligatorie, ma non interferire con i percorsi curriculari. In questi tempi l’università, come pure l’istruzione superiore, ha il dovere di educare lo studente ad applicare le conoscenze acquisite, ma senza sostituirsi ai centri per l’impiego o alle agenzie interinali.

L’università, nel suo obiettivo di studio e ricerca, dovrebbe tornare a trasferire agli studenti la gestione della difficoltà. Chi si laurea dovrebbe partire dal presupposto che è pronto a ricercare una professione; che si muove in contesti complessi proprio per il fatto che ha imparato a gestire e a risolvere problemi di alto spessore. Chi poi esce da un corso di laurea non deve avere la presunzione di entrare nel mondo del lavoro dalla porta principale, con la firma di un bel contratto: il suo percorso deve nascere come tutti gli altri, con umiltà e desiderio di imparare per acquisire quelle competenze tecniche necessarie a un’ascesa di carriera.

Se avete imparato qualcosa in questi anni, spero sia che l’educazione dovrebbe essere, più che un vantaggio materiale, l’euforia dell’apprendimento. Spero abbiate imparato che, come diceva Socrate, la conoscenza è il primo passo verso la felicità.

(dal discorso per la consegna dei diplomi 2012 del professore di letteratura inglese David McCullough della Wellesley High School in Massachussets)

Photo by Edi Libedinsky on Unsplash

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