Criptovalute e dipendenze reali

L’esperienza di chi ha sviluppato una vera e propria dipendenza da Bitcoin e similari, con il controllo compulsivo degli andamenti che mangia la vita e l’attenzione: c’è chi, oltre al denaro, ha perso la salute e gli affetti

08.10.2024
Dipendenza da criptovalute: una donna inala la linea dell'andamento di una criptovaluta con una banconota arrotolata

Luglio, due del mattino. Un qualsiasi bar in Pianura Padana. Luca è con il suo amico e sta finendo di bere una birra. Il barista chiude e, come si usa, i clienti rimasti si siedono tutti a uno stesso tavolo. Luca non è un abituale frequentatore del bar, ma si unisce ai “rimasti”. Fa caldo, non c’è voglia di andare a dormire. E poi Luca ha una storia da raccontare. Ha lasciato l’Italia qualche anno fa e si è trasferito in Francia, dove ancora vive e lavora. Lavoretti, un po’ negli hotel, un po’ dove trova. Ma i soldi veri li ha fatti tempo addietro e gli sono costati molto a livello di vita personale, anche perché non si sono volatilizzati.

Luca è stato dipendente da trading da criptovalute. Di ogni tipo. Qualcuno butta sul tavolo la parola Bitcoin e lui si accende: «Ma – dice – i Bitcoin oggi non hanno senso. Bisogna cercare altre cripto, quelle emergenti, quelle che non compra ancora nessuno. Io avevo investito su Ethereum, ma anche loro oggi sono molto conosciuti».

L’abilità è quella di saper scovare monete virtuali ancora nascoste e capire le potenzialità di crescita. Insomma, quello del criptoinvestitore è un lavoro di scouting e ricerca, che va fatto nelle pieghe del web. Chi lo ha fatto nel 2009, ad esempio oggi si trova in mano un discreto gruzzolo. Alla sua nascita, il 5 ottobre 2009, il valore di un dollaro era di 1.309 bitcoin. Nel 2013 un bitcoin valeva 1.000 dollari. Nel 2021 è arrivato a 69.000 euro, e oggi (mentre è in stesura questo articolo) vale 53.000 euro, ma non è detto che quando sarà pubblicato il valore non sia drasticamente cambiato.

Che cos’è una criptovaluta

L’idea di criptovaluta è stata messa nero su bianco nel 1996 in una mailing list, ma prima che si concretizzasse è stato necessario aspettare il 2009, quando è nato il Bitcoin a opera di un anonimo (o di un gruppo di anonimi) che si celava dietro il nome di Satoshi Nakamoto.

A differenza della maggior parte delle valute tradizionali, il Bitcoin non fa uso di un ente centrale né di meccanismi finanziari sofisticati. Il suo valore è determinato solo dalla leva domanda e offerta: esso utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, ma sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la generazione di nuova moneta e l’attribuzione della proprietà dei Bitcoin.

La stessa logica anima la maggior parte delle monete digitali che sono oggi in circolazione. La critica più diffusa deriva dal fatto che la maggior parte delle “cripto” sono esposte a una forte volatilità, oltre al fatto che dietro le transazioni in criptomonete spesso si nasconde la criminalità organizzata e traffici poco leciti. Oggi però la diffusione è molto forte, al punto che anche le banche tradizionali stanno iniziando a trattarle; ormai i broker le inseriscono in portafoglio e si stanno creando dei prodotti ad hoc come certificati a leva ed ETF sulle criptovalute, che in un certo senso vanno a rendere meno volatile un prodotto che per sua stessa natura garantito non è. Anche se in alcuni paesi del Sudamerica – come il Perù – è più garantito della moneta locale, al punto che alcuni immigrati preferiscono inviare soldi a casa tramite Bitcoin, e non tramite la valuta del loro Paese.

In terapia a causa delle criptovalute

Qualche anno fa i Bitcoin non erano però così certi, e c’è chi come Luca ha perso molto.

«Mi era scoppiata una vera e propria dipendenza. Stavo sveglio la notte per investire in Bitcoin. E ci mettevo tanti soldi. Evitavo i più “tradizionali”, ma ero sempre alla ricerca di nuove monete e nuovi tipi di investimento. In alcuni momenti ho guadagnato anche molto, ma c’è il rischio di perdere tanto. Il punto però non è quello, ma è quanto si perde a livello di vita, a partire dalla mia fidanzata dell’epoca, che ha deciso di lasciarmi. Anche perché io avevo sempre la testa da altre parti: in ogni momento controllavo il cellulare e l’andamento delle monete che avevo in portafoglio. Ci ho messo tempo, ma ho capito che era necessario cambiare del tutto, perché avevo sviluppato una dipendenza».

Oggi Luca non pensa più alle criptovalute, ma se gliene si chiede i suoi occhi si accendono ancora, e inizia a raccontare di quell’antica passione che gli rovinò la vita.

Perché, come tutte le dipendenze, la puoi controllare ma non sparisce. Anche se si tratta di una nuova forma. «C’è chi è riuscito a tenerla sotto controllo mettendo un tetto ai propri investimenti,» spiega lo psicologo Roberto Garone. «E c’è chi invece non riesce proprio a non dipendere dalle cripto».

Anche perché l’accesso a questa moneta è molto semplice e la tentazione di iniziare a investire si trova direttamente in internet. «Se si guarda su YouTube – continua Garone – ci sono diversi canali dedicati alle criptovalute e che danno la possibilità di fare trading. Prima era più, complicato perché ci si doveva comunque affidare a un istituto bancario, che faceva da intermediario. Oggi invece basta avere una app per iniziare con le criptovalute».

Ormai è così da tempo, al punto che c’è già chi è in terapia per sfuggire ai problemi legati alle dipendenze da cripto.

Sempre più trader (in)dipendenti

Gli studi accademici sono concordi nello stabilire che il facile accesso agli investimenti ha fatto crescere il fenomeno degli investitori online. Secondo dati di Borsa Italiana, solo nel 2018 il 10% dei volumi scambiati sul mercato azionario principale e il 54% sul segmento After Hours sarebbe stato riconducibile all’attività di trader online indipendenti; il 13% dei trader era indipendente, con una crescita del 43%. Secondo un report di BrokerNotes, l’Italia era tra i primi Paesi europei – più precisamente al terzo posto – con circa 250.000 trader indipendenti, dopo Germania (circa 400.000) e Regno Unito (circa 700.000).

Ma spesso chi è portato a investire online non lo fa solo perché è spinto dal bisogno economico e dal fascino dei guadagni facili.

«Al di là della facilità dovuta a internet – continua Garone – ce n’è un’altra legata al momento economico. Capita di cominciare a investire perché si vuole avere più soldi in un momento di difficoltà economica, ma non è semplice, perché bisogna essere in grado di leggere i grafici e valutare gli andamenti. Anche questo aspetto incide sulla vita di chi investe. C’è chi rimane sveglio fino alle quattro del mattino arrivando a perdere il sonno. All’inizio, però, nessuno ci pensa, perché ad attirare gli investitori sono i guadagni facili in poco tempo. Uno dei metodi per il controllo, come già detto, sta nel cercare di darsi un tetto agli investimenti. In alcuni casi funziona, mentre in altri è necessaria una terapia molto più articolata».

 

 

 

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Photo credits: cryptorobin.it

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