Questi, dunque, sono i dati (che mancano). Ma che cosa dice, invece, la cronaca quotidiana? Qui possiamo solo citare casi singoli, ma indicativi.
Xhafer Sahitaj era rocciatore albanese; nel 2019 morì a 39 anni dopo una caduta di 20 metri avvenuta mentre lavorava per il Terzo Valico nella cava del monte Gazzo. Ad aprile 2024, cinque anni dopo l’evento, il pubblico ministero di Genova ha chiesto le condanne a tre anni per i rappresentanti legali della ditta e a due anni per il direttore dei lavori.
Dino Corocher era un operaio di 49 anni quando, nel 2017, morì nella Garbellotto Botti di Conegliano (Treviso): a settembre 2023 i tre fratelli Garbellotto sono stati condannati a un anno; stessa pena per il direttore generale, otto mesi per il responsabile del servizio di prevenzione.
Meriglen Hoxha era un dipendente della ditta D.R.D. di Desio (Monza Brianza), morto nel 2017 a 34 anni. A maggio 2024, il Tribunale di Sondrio ha condannato a quattro mesi di reclusione ciascuno – pene sospese – il titolare dell’azienda e il collega che si trovava con lui al momento dell’infortunio.
Ancora, Lorenzo Brisotto è morto nel settembre del 2017 a causa delle esalazioni mentre stava lavorando all’interno di un silos delle Distillerie Nardini in provincia di Treviso. Le condanne del tribunale sono arrivate ad aprile 2024: il giudice ha stabilito un anno e quattro mesi con la sospensione condizionale per il presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante, oltre che per il direttore dello stabilimento.
A causa di un’esplosione alle Acciaierie Venete, il 13 maggio 2018 morirono due operai, uno di 39 anni e l’altro di 44. Anche qui il processo di primo grado si è concluso sei anni dopo con quattro condanne: due anni e mezzo per il presidente di Acciaierie, e per l’allora direttore; l’amministratore delegato dell’impresa incaricata delle manutenzioni, invece, è stato condannato a sei mesi e quindici giorni, con pena sospesa. L’ex consigliere con delega all’esecuzione dei collaudi per Danieli Centro Cranes – ditta ritenuta responsabile dell’inadeguatezza del perno che sosteneva la siviera poi rovesciata – è stato condannato a quattro anni e sei mesi, oltre all’interdizione di cinque anni dai pubblici uffici.
Poiché lo Stato italiano non garantisce la trasparenza su questi temi, per farsi un’idea tocca arrangiarsi con metodi meno scientifici, come appunto l’analisi delle notizie apparse sui giornali, che raccontano diversi casi in cui, solo per arrivare alla sentenza di primo grado, passano sette anni dalla morte. L’entità delle pene va circostanziata caso per caso, ma di certo – pur volendo evitare il populismo penale – dalle vicende citate non appare mai severa, a fronte del fatto che parliamo pur sempre di persone che hanno perso la vita.
La repressione, dicevamo in apertura, con ogni probabilità non è l’unico né il più efficace strumento per prevenire le morti sul lavoro. Allo stesso tempo, però, è giusto chiedersi quanta deterrenza oggi riesca a raggiungere il complesso di norme penali che tutelano la sicurezza sul lavoro, in un Paese in cui solo le sottostimate statistiche INAIL parlano di oltre mille decessi all’anno in azienda.
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