Lo scorso 30 giugno, il Consiglio dei Ministri ha approvato in esame preliminare il nuovo decreto flussi per il triennio 2026-2028. Il testo prevede l’ingresso regolare di 497.550 lavoratori stranieri in Italia, suddivisi tra 230.550 posti per lavoro subordinato non stagionale e autonomo e 267.000 per lavoro stagionale, con una particolare attenzione ai comparti agricolo e turistico. Solo per il 2026, le quote autorizzate sono 164.850. Al momento, però, il decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale: ciò significa che non è ancora del tutto operativo. Restano da definire sia i calendari ufficiali per la presentazione delle domande, sia le modalità concrete di attuazione.
Il Governo continua a presentare il decreto come lo strumento più efficace per gestire l’arrivo di nuovi lavoratori stranieri e per rispondere alle esigenze delle imprese. Eppure sono molti gli interrogativi che restano aperti.
Negli ultimi anni, dietro le cifre ufficiali del decreto flussi, si nasconde una realtà fatta di aspettative tradite e percorsi troppo spesso interrotti. Nonostante l’annuncio di quote sempre più ampie, la possibilità che una domanda si trasformi davvero in un permesso di soggiorno resta, per la maggior parte dei lavoratori stranieri, poco più che un miraggio.
Nel 2023, ad esempio, a fronte di oltre 127.707 posti autorizzati, solo 16.188 pratiche sono arrivate a buon fine. E se si guarda ai permessi di soggiorno rilasciati, il dato si fa ancora più amaro: appena 9.528, meno dell’8% del totale.
Ancora più critica la situazione del 2024: su 119.890 quote assegnate, i permessi effettivi sono stati appena 9.331. Questi numeri raccontano una storia di domande che restano sospese, di pratiche che si bloccano lungo il percorso, di promesse di regolarità che si infrangono contro la burocrazia e i tempi infiniti delle procedure.
Clemente Elia, responsabile regionale CGIL Lombardia per l’area migrazioni, lo dice senza mezzi termini: “Nonostante le quote disponibili, si è registrato che per il biennio 2023-2024 il numero di domande è stato addirittura inferiore al totale delle quote fissate. In aggiunta, la percentuale di persone che hanno ottenuto un permesso di soggiorno rispetto alle autorizzazioni rilasciate non arriva al 10%. Di fatto questo meccanismo viene svuotato di senso”.
La complessità e l’incertezza delle procedure scoraggiano infatti sia i lavoratori che i datori di lavoro. “Il sistema – continua Elia – non riesce a intercettare il fabbisogno reale. Le imprese faticano a trovare manodopera regolare, mentre i lavoratori rischiano di restare intrappolati in un limbo di precarietà e irregolarità”.