Perché il decreto flussi scontenta sia imprese che lavoratori stranieri

Meno di un permesso ogni dieci domande negli ultimi due anni: regolamentare l’immigrazione attraverso il lavoro resta un miraggio. Parliamo delle criticità di un meccanismo che non risponde ai bisogni reali, a partire dal fallimento del click day, con la testimonianza di Clemente Elia, della CGIL Lombardia

Decreto flussi, dei migranti a un banchetto

di Romina Vinci

 

Cinque anni fa Cheikh è arrivato in Italia dal Senegal con un obiettivo semplice: costruirsi una vita dignitosa, lavorare in modo onesto e garantirsi un futuro. Era riuscito a partire – legalmente – grazie al “decreto flussi”, quel meccanismo nato per regolare l’ingresso di lavoratori stranieri e rispondere alle esigenze delle imprese. E così era stato: aveva ottenuto un visto per partire, era sbarcato a Fiumicino con un volo proveniente da Dakar, e aveva lavorato in un’azienda della Brianza. Poi però il contratto è scaduto, e con esso il permesso di soggiorno.

Per Cheikh è iniziata una vita parallela, fatta di lavoro nero, abitazioni precarie e la costante paura di esser fermato dalla polizia. Ha iniziato a girare l’Italia, trovando lavoro soprattutto nel settore agricolo, dalla Calabria alle pianure dell’Agro Pontino. Ora si trova in Sicilia, dove è impiegato nella raccolta di pomodori.

“Vorrei solo vivere tranquillo, lavorare stabilmente e avere un contratto. Ma senza documenti tutto diventa un rischio, anche andare al supermercato” ci racconta al telefono. Oggi ha 34 anni, parla un italiano stentato e fa ancora molta fatica ad esprimersi.

La sua storia è una delle tante che si scontrano con un sistema che promette regolarità ma genera esclusione e precarietà. Negli ultimi giorni, un’operazione della Polizia ha smantellato una rete criminale che falsificava contratti di lavoro e attestazioni di soggiorno per far ottenere ai migranti posti previsti dal decreto flussi. Nove persone sono state arrestate in 23 province italiane, tra cui Bari, Foggia e Taranto, accusate di aver chiesto dai 1.000 ai 5.000 euro per ogni pratica irregolare gestita. Decine di aziende sono state controllate perché sospettate di essere terminali di questo sistema illecito, che sfrutta le difficoltà dei migranti nel presentare la documentazione necessaria per la regolarizzazione.

Il miraggio del decreto flussi: il lavoro dà il permesso di soggiorno a meno di uno straniero su dieci

Lo scorso 30 giugno, il Consiglio dei Ministri ha approvato in esame preliminare il nuovo decreto flussi per il triennio 2026-2028. Il testo prevede l’ingresso regolare di 497.550 lavoratori stranieri in Italia, suddivisi tra 230.550 posti per lavoro subordinato non stagionale e autonomo e 267.000 per lavoro stagionale, con una particolare attenzione ai comparti agricolo e turistico. Solo per il 2026, le quote autorizzate sono 164.850. Al momento, però, il decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale: ciò significa che non è ancora del tutto operativo. Restano da definire sia i calendari ufficiali per la presentazione delle domande, sia le modalità concrete di attuazione.

Il Governo continua a presentare il decreto come lo strumento più efficace per gestire l’arrivo di nuovi lavoratori stranieri e per rispondere alle esigenze delle imprese. Eppure sono molti gli interrogativi che restano aperti.

Negli ultimi anni, dietro le cifre ufficiali del decreto flussi, si nasconde una realtà fatta di aspettative tradite e percorsi troppo spesso interrotti. Nonostante l’annuncio di quote sempre più ampie, la possibilità che una domanda si trasformi davvero in un permesso di soggiorno resta, per la maggior parte dei lavoratori stranieri, poco più che un miraggio.

Nel 2023, ad esempio, a fronte di oltre 127.707 posti autorizzati, solo 16.188 pratiche sono arrivate a buon fine. E se si guarda ai permessi di soggiorno rilasciati, il dato si fa ancora più amaro: appena 9.528, meno dell’8% del totale.

Ancora più critica la situazione del 2024: su 119.890 quote assegnate, i permessi effettivi sono stati appena 9.331. Questi numeri raccontano una storia di domande che restano sospese, di pratiche che si bloccano lungo il percorso, di promesse di regolarità che si infrangono contro la burocrazia e i tempi infiniti delle procedure.

Clemente Elia, responsabile regionale CGIL Lombardia per l’area migrazioni, lo dice senza mezzi termini: “Nonostante le quote disponibili, si è registrato che per il biennio 2023-2024 il numero di domande è stato addirittura inferiore al totale delle quote fissate. In aggiunta, la percentuale di persone che hanno ottenuto un permesso di soggiorno rispetto alle autorizzazioni rilasciate non arriva al 10%. Di fatto questo meccanismo viene svuotato di senso”.

La complessità e l’incertezza delle procedure scoraggiano infatti sia i lavoratori che i datori di lavoro. “Il sistema – continua Elia – non riesce a intercettare il fabbisogno reale. Le imprese faticano a trovare manodopera regolare, mentre i lavoratori rischiano di restare intrappolati in un limbo di precarietà e irregolarità”.

Lo scoglio del click day: incerto per i lavoratori, frustrante per le imprese

Il click day rappresenta uno degli snodi più controversi e discussi della procedura dei decreti flussi.

Si tratta del giorno prestabilito in cui, in una finestra temporale di pochi minuti, i datori di lavoro possono inviare per via telematica le domande per assumere lavoratori stranieri extra UE. Tutto si gioca sulla rapidità: chi riesce a inviare la domanda per primo si assicura una delle quote disponibili. Chi arriva dopo, anche solo per una questione di secondi, resta escluso.

Questo meccanismo dovrebbe, in teoria, essere uno strumento di trasparenza e ordine. Nella pratica si trasforma, invece, in una gara a ostacoli dove conta solo la velocità, non la reale esigenza di manodopera o la qualità delle domande.

Per i lavoratori stranieri, il click day è fonte di ansia e incertezza. Molti si affidano a patronati o agenzie, spesso a pagamento, ma il successo non è garantito. Anche per le imprese è un sistema frustrante: chi non riesce a ottenere i nulla osta rischia di restare senza personale e di dover ricorrere a soluzioni irregolari.

Le critiche a questo sistema si rincorrono da anni. Il referente della CGIL Lombardia racconta cosa significa vivere il click day dalla parte dei lavoratori: “È una vera e propria lotteria. Il lavoratore non ha margini di intervento e subisce la procedura. Chi sta fuori dall’Italia non conosce la complessità del nostro sistema e si trova del tutto disorientato”. E non solo: “Se il datore revoca l’autorizzazione o non rispetta i requisiti – continua Elia – il lavoratore resta senza nulla, senza tutele o paracadute. È lui l’anello debole di tutta la procedura”.

Il Governo ha dichiarato l’intenzione di ridurre progressivamente il peso del click day, incentivando modalità più flessibili e canali fuori quota, ma il cambiamento sarà graduale e non ancora operativo nel triennio 2026-2028.

La CGIL chiede flessibilità. E l’abolizione del click day

Le criticità del decreto flussi non si esauriscono nei numeri o nelle procedure: hanno effetti concreti e profondi sul tessuto sociale ed economico italiano.

“Il decreto flussi, così com’è, produce esclusione e irregolarità. Serve una riforma profonda che metta al centro la dignità dei lavoratori e la trasparenza delle procedure”. Il sindacalista ricorda come in passato il decreto flussi sia stato usato come una sorta di regolarizzazione mascherata: “Molti lavoratori già presenti in Italia, spesso in nero, venivano autorizzati all’ingresso tramite il decreto, ma poi dovevano tornare nel Paese d’origine per rientrare in maniera legale. Oggi questi meccanismi sono sempre più difficili da praticare”.

Per la CGIL la strada da seguire è chiara: superare il click day, introdurre maggiore flessibilità nei meccanismi di ingresso, e valorizzare strumenti come lo sponsor, che permettano di far incontrare domanda e offerta di lavoro direttamente in Italia.

Un’altra misura fondamentale riguarda la conversione dei permessi di soggiorno. “Bisogna ripristinare la possibilità di convertire la protezione speciale in permessi per motivi di lavoro” spiega Elia. “Oggi con il cosiddetto Decreto Piantedosi non è più possibile. Molti richiedenti di protezione internazionale passano tanto tempo nelle procedure, ma nel frattempo lavorano e si inseriscono socialmente. Sarebbe giusto riconoscerlo e permettere loro di essere regolari. Più flessibilità significa vantaggi per tutti: lavoratori, imprese e società”.

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto flussi 2026-2028 è ancora da ufficializzare, ma dopo anni di ritardi e difficoltà cresce il timore che, anche questa volta, la promessa di un sistema efficace resti disattesa.

 

 

 

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Photo credits: studiocataldi.it

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