Gioco di mano, gioco da Romano?

Il caso di Romano Prodi e dell’inviata di “Quarta Repubblica” Lavinia Orefici dimostra che la politica continua la sua tradizione di aggressioni ai giornalisti, e che il giornalismo viene difeso solo quando serve per mettere in imbarazzo un avversario. Un altro dei tristi primati italiani sull’informazione. che dovrebbe far riflettere

27.03.2025
Prodi e Lavinia Orefici, l'ultimo capitolo dell'abitudine dei politici italiani alle aggressioni dei giornalisti

Romano Prodi ha tirato una ciocca di capelli a Lavinia Orefici. Grazie a un (presumibilissimo) video dall’altra parte del campo e l’analisi al VAR, la prova del deprecabile gesto è arrivata. Ora: qualsiasi invasione dello spazio personale violenta è da stigmatizzare, anche se spesso e volentieri alcuni professionisti (dell’informazione e non) sono sparati dalle proprie trasmissioni e dai propri editori più come agenti provocatori che come giornalisti; avendo avuto la fortuna di collaborare con alcune emittenti ho la piena contezza di corse abbozzate, pedinamenti, telecamere nascoste e domande fatte apposta per suscitare determinate reazioni.

Ma, ripeto, nulla giustifica l’ottantacinquenne Romano Prodi, ex Presidente del Consiglio da sempre insultato dagli oppositori antieuropeisti. Non lo doveva fare, punto. Non c’è attenuante che tenga.

Quello che però sorprende di tale situazione è l’eccezionalità di come essa viene trattata, quando sono anni, ma che dico, decenni che i giornalisti – i più odiati dagli italiani dopo gli arbitri – le prendono. E le prendono non solo durante la spiccia cronaca, per ricordare ad esempio la famosa capocciata che ruppe il naso a Daniele Piervincenzi fuori da una palestra a Ostia: già nel 2018 il rapporto Demonishing The Media del progetto britannico “Mapping Media Freedom” registrava nel quadriennio precedente 445 aggressioni fisiche a giornalisti nell’Unione europea, con l’Italia al primo posto con 83 casi.

I politici e l’abitudine di aggredire i giornalisti

Anche la classe politica, pronta a dare sempre il buon cattivo esempio, è da anni fucina di novelli “scontristi”. Non si tratta solo di violenza verbale, come quella che di recente ha messo in campo Giovanni Donzelli contro un Giacomo Salvini colpevole solo di aver fatto il giornalista con la pubblicazione delle notevolissime chat di Fratelli d’Italia. Ci sono anche calci, calcetti, strattoni. E, soprattutto, giustificazioni.

L’altro giorno, ad esempio, mi sono imbattuto in una presa di posizione del professor Riccardo Puglisi, dell’Università di Pavia, che sosteneva (riporto pedissequamente): “Se un politico di destra si fosse comportato con una giornalista di sinistra come Prodi con Lavinia Orefici, cosa sarebbe successo?”. Non solo: invitava a pensare la cosa a parti inverse con La Russa protagonista al posto di Prodi. Non si è reso conto, Puglisi, di aver fatto il peggiore degli esempi, perché Ignazio La Russa in materia di aggressioni potrebbe tenere anche lui una cattedra universitaria: ne sa qualcosa Corrado Formigli, all’epoca in forza ad Annozero, che dall’attuale seconda carica dello Stato è stato aggredito in maniera così memorabile che ancora oggi, a distanza di 14 anni, il web ne conserva memoria.

La Russa si accende con facilità (ne sa qualcosa anche il freelance Rocco Carlomagno), ma la sua carriera politica non è stata stroncata dalle sue vampate di rispetto per il lavoro dei cronisti. L’anno scorso, inoltre, l’attuale presidente del Senato è riuscito a giustificare anche quanto subito da Andea Joly da parte di Casapound a Torino, dichiarando sì una “totale condanna”, ma poi precisando che Joly “non si è dichiarato giornalista” e che “ci vuole un modo più attento di fare le cose”. Un po’ come a dire: se l’è cercata.

Caso isolato? Non proprio. Si pensi ad esempio a Vittorio Sgarbi (un abbraccio e un augurio di pronta guarigione), che è dallo scontro in diretta tv con Roberto D’Agostino che insulta o aggredisce chi gli pone domande. E ancora: Mario Landolfi, ex ministro, ha schiaffeggiato in pieno centro a Roma nel 2018 l’inviato di Non è l’Arena Danilo Lupo. Cambiando schieramento, nell’anno 2020 Francesco Selvi è stato strattonato in spiaggia da Beppe Grillo, assolto nel 2023 dall’accusa di violenza privata e lesioni colpose, ma solo perché di “lieve entità” (verrà comunque riconosciuto il gesto e il risarcimento alla parte lesa).

Il giornalismo secondo la politica italiana: sacco da pugile o cane da riporto

Basterebbe questo, procedendo a memoria e limitandoci ai soli contatti fisici. La verità è che da anni in Italia la politica tende a dare esempi lampanti di come non rispetti il giornalismo. Casi, testimonianze e denunce arrivano fino alla notte dei tempi. Conferenze stampa blindate, linee editoriali politicizzate, accreditamenti selettivi ne sono un altro esempio.

Tale situazione, si noti, è culturale: manca la visione per intendere e rispettare il lavoro giornalistico. E quando ci si arroga il diritto di difenderlo, come nel caso Prodi o nel caso Donzelli, lo si fa con una connotazione politica. In un Paese da sempre lacerato dal suo guelfismo e ghibellinismo, in cui la divisione in due fazioni è praticamente congenita, si tratta dell’ennesima sottrazione di dignità ai professionisti dell’informazione che, come abbiamo visto, non le buscano certo da oggi.

Aspettare quasi con gioia che il Prodi di turno facesse un passo falso per buttarla in caciara come se fosse una questione di destra contro sinistra dice tanto, e male, della dignità del sistema Paese.

 

 

 

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In copertina: alg.it

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