Da ieri Carlo Bonomi non è più “dottore” secondo Wikipedia, ma solo “presidente”. Incarico che ricopre brillantemente in numerosi CdA
Le aziende cercano over 50? Spesso non hanno più scelta
Quella degli ultracinquantenni è una categoria esperta e pronta a lavorare senza bisogno di troppa formazione, ma se le imprese li cercano sempre più spesso non è solo una questione di merito: nel mercato del lavoro italiano chi ha meno di cinquant’anni diminuisce sempre di più
Avere superato i 50 e trovarsi senza lavoro, magari dopo una vita passata nella stessa azienda, e con la necessità di rientrare nel mercato. Un incubo? Senza dubbio, ma si può fare, forse. Almeno stando a quanto emerge da un’indagine AISO, l’Associazione Italiana Società di Outplacement, svolta tra impiegati di primo livello, quadri e dirigenti che si sono affidati all’Associazione per rientrare nel mercato: il 70% di coloro che, dopo aver perso il lavoro, segue un percorso di ricollocamento, riesce a trovare una nuova occupazione, anche in tempi abbastanza brevi; in media 4,8 mesi. Tra questi, la maggior parte ha più di cinquant’anni.
E sarebbero proprio loro a risultare i più richiesti dalle imprese, per via dell’esperienza maturata che li rende subito operativi senza bisogno di una formazione ad hoc a carico dell’azienda, e dell’atteggiamento flessibile rispetto all’inquadramento contrattuale. La redazione di SenzaFiltro, in virtù di un interesse di lunga data verso il tema degli over 50 sul lavoro, ha deciso di indagare questa tendenza del mercato contattando la stessa AISO.
“Gli ultracinquantenni escono spesso da aziende nelle quali sono stati vent’anni e non conoscono l’attuale mercato del lavoro”, dice il presidente di AISO, Cristiano Pechy de Pechujfalu. “Noi li aiutiamo a capire come funziona e a ricollocarsi puntando sugli elementi più appetibili per le imprese. Che, nel caso di questa fascia d’età, sono competenza, disponibilità ed elasticità contrattuale. Un aspetto, questo, che risulta gradito anche ai lavoratori che, nella fase finale della propria carriera, iniziano a sentire l’esigenza di godersi di più la vita anziché votarsi esclusivamente al lavoro”.
Tutto questo è una cosa buona? Certo. Anche se – va detto – un’associazione che si occupa proprio di outplacement degli over 50 non è la fonte più oggettiva per valutare lo stato lavorativo della categoria. Il rischio della parzialità del dato è un’ossessione sana del mestiere di giornalista, sebbene testate come il Corriere della Sera non siano andate oltre, limitandosi a riportare i numeri tali e quali.
Estendendo la prospettiva oltre la superficie, però, le cose risultano più complesse.
Le aziende cercano gli over 50 perché hanno sempre meno scelta
La prima domanda da porsi è quanto siano significative e fedeli le percentuali diffuse da AISO rispetto alla realtà italiana. Non solo perché il campione preso in considerazione è di soli 10.000 lavoratori, ma anche e soprattutto perché bisogna tenere presente che dall’outplacement resta esclusa tutta quella pletora di over 50 che non riescono ad accedere ai percorsi di ricollocamento lavorativo. E non ci riferiamo soltanto agli autonomi.
Mancando agevolazioni o incentivi pubblici a sostegno di questa pratica, difatti, l’outplacement avviene su specifico ed esclusivo incarico e onere dell’azienda che sta per licenziare (o mettere in cassaintegrazione o in mobilità) il dipendente. Questo fa sì che siano davvero poche le imprese che ricorrono a questi servizi, rendendo esiguo anche tra i lavoratori dipendenti il numero di coloro che possono usufruirne per rientrare in attività.
Anche ammesso che quella fornita da AISO si possa considerare una fotografia realistica su larga scala della realtà italiana, che cosa accadrà quando non ci saranno più over 50 ricollocabili, visto che, tra calo demografico e mancato inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, questo bacino d’utenza sembra avere gli anni contati? Il trend è davvero agli sgoccioli, perché la corsa ad accaparrarsi gli ultracinquantenni è certo, in parte, motivata dall’esperienza e dall’alta professionalità dei lavoratori di lunga data, ma lo è anche da un fattore demografico impietoso e inesorabile.
I dati parlano chiaro: la fascia d’età immediatamente precedente, quella dei trentacinque-quarantanovenni per intenderci, si sta progressivamente erodendo. Qui il saldo fra ingressi e uscite nel mercato del lavoro è negativo, perché sono più numerosi quelli che ne escono per entrare nella fascia successiva (gli ultracinquantenni, appunto) rispetto a quelli che vi entrano (-230.000 nel 2023, secondo l’ISTAT). Stando così le cose, se i giovani lavoratori scarseggiano, è naturale che la domanda si rivolga dove c’è offerta.
In questa prospettiva, i dati circa l’alta occupabilità dei nostri over 50, più che dimostrare l’efficacia dei percorsi di outplacement e il dinamismo del mercato lavorativo, ci dicono soprattutto che quel mercato sta invecchiando.
Insomma, è di certo un fatto positivo che chi esce dal mercato lavorativo in età avanzata riesca ad avere ancora occasioni di occupazione, ma c’è un contraltare inquietante e drammatico, che ci parla di un Paese con un vulnus strutturale rispetto al quale le politiche sociali ed economiche non riescono a dare una risposta.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Photo credits: pmi.it
Leggi anche
Un’impresa veneta garantisce 6.000 euro per ogni nuovo nato e venti giorni di congedo di paternità ai suoi 350 dipendenti: il welfare aziendale può fare da esempio alle leggi statali?
Fabio Fazio arrestato, Alessandro Sallusti che rivela come arricchirsi in fretta e molti altri: le frodi generate tramite IA rischiano di fare sempre più vittime accedendo alle sponsorizzazioni via social. Che continuano a incassare tralasciando il fenomeno