«Un prete alla guida? Significa partire con il freno a mano, l’IA deve essere lasciata libera di correre.»
Qualcuno conosce l’orientamento religioso degli altri componenti della Commissione? Magari si scopre che esiste qualche talebano ortodosso, molto più del “prete”. E ancora: questa affermazione denota la temibile polarizzazione, che permane, tra tutto o niente, tra chi opta per un’IA senza regole perché pro innovazione e chi la vuole costringere in un dedalo di leggi, perché il futuro fa paura. Nulla di più pericoloso e, purtroppo, anche di facile. L’IA è diventata chiacchiera da bar senza passare dal via, con la differenza che se davanti a un caffè siamo tutti allenatori, quando parliamo di rivoluzione algoritmica rischiamo di infliggerci un autogol dopo l’altro, se non ne comprendiamo la portata.
«Insegna etica, non può sapere di IA.»
Oltre a essere l’unico italiano del New Artificial Intelligence Advisory Board, neonato comitato ONU sull’IA, Benanti era già stato nominato nell’altra Commissione governativa, quella nominata dal sottosegretario Alessio Butti, con l’indicazione di supportare la strategia nazionale per l’IA, di cui a oggi fa parte. Ignoranza al galoppo.
«Dovevano mettere un tecnico.»
Scorrendo l’immaginario dei papabili profili tecnici, l’idea che, ad esempio, uno startupper, magari di media reputazione, possa presiedere un tavolo di lavoro complesso, mi mette i brividi: è bastato vedere come i giovani imprenditori della GenAI, IA generativa, si sono allarmati, mesi fa, al primo richiamo del Garante su ChatGPT, e soprattutto cosa non hanno detto. Nessuna capacità di lettura del reale (mai un accenno agli impatti lavorativi, mentre gli scioperi dello spettacolo erano in corso in U.S.A.); nessuna conoscenza tecnica sulle architetture dei modelli fondativi (eppure le denunce per violazione di copyright, dichiarazioni pubblicitarie mendaci – vedasi l’americana FDA – e violazione dei diritti umani erano già iniziate); nessuna capacità di analisi (l’erosione tra vero e falso online aveva già fatto capolino, con il celebre caso dell’opera fake di Vermeer sputata da Google nei risultati di ricerca).