La formazione scolastica e universitaria in Italia è sotto i riflettori per svariate ragioni. La politica non se ne occupa perché non trova interesse a investire nel settore ai fini elettorali, le associazioni di categoria e le imprese la additano perché retrograda e poco attenta al mondo del lavoro, le famiglie pretendono che garantisca la […]
Assumereste Socrate in azienda?
Socrate in azienda: l’umanista sul lavoro sarà un personaggio forse imprescindibile. Ne parliamo con Ivano Dionigi, ex rettore dell’Università di Bologna.
Socrate è un personaggio scomodo.
In azienda ci può stare?
Pietro Del Soldà è partito
scettico, ma le risposte alla sua domanda sono state rapide e impattanti. E
quella più diretta è arrivata da Ivano
Dionigi: “Strano questo scetticismo, soprattutto dal momento che proviene
da un laureato in filosofia che lavora in una delle più conosciute aziende italiane
e fa una trasmissione di altissimo livello (Pietro
Del Soldà infatti è autore e conduttore di “Tutta la città ne parla”,
il programma di Rai Radio3 che approfondisce ogni giorno un tema d’attualità,
N.d.R.)”. Il pubblico di Nobìlita,
attento e partecipe come sempre, non ha potuto che sorridere e applaudire.
Siamo nel settimo e penultimo panel del festival, moderato appunto dal giornalista Rai Pietro Del Soldà e animato da Ivano Dionigi, ex rettore dell’università di Bologna, dal sociologo Vincenzo Moretti e dai filosofi Paolo Cervari e Stefania Contesini. Si cerca di capire quale deve essere il ruolo dei filosofi e in generale degli umanisti all’interno delle imprese, ma la questione non è semplice visto che filosofia e impresa sono ancora mondi estremamente lontani, che si guardano con grande indifferenza. Moretti ha spiegato che il filosofo deve saper porre le domande giuste e soprattutto trovare le parole giuste perché si possa arrivare a un “lavoro ben fatto”. Dionigi ha sottolineato la necessità di costruire dei ponti, di far dialogare le diverse discipline, soprattutto in un mondo come il nostro che ha perso il suo centro. Ma come deve essere impostato questo dialogo? Ivano Dionigi si è reso disponibile nel post-Nobìlita a rispondere a questa mia domanda, e la conversazione è iniziata proprio da qui.
Professore, come lo immagina questo dialogo tra imprenditori,
manager e uomini di cultura umanistica?
È una supplenza emergenziale. Inserire il filosofo in azienda, poi magari
negli ospedali e poi ancora nella pubblica amministrazione, è poco più che un
rammendo. La soluzione non è affiancare il filosofo al project manager per
fargli da consigliere.
E quale sarebbe la soluzione?
In questi ambienti ci devono essere figure già preparate. L’architetto è la
figura ideale a cui fare riferimento e per dimostrarlo mi basta citare Adolf
Loos. Quando gli chiesero chi è l’architetto, lui rispose “è un muratore che ha
studiato latino”. In quella figura la cultura della mano, la cultura del
cervello, la tecnologia e l’umanesimo, procedono insieme anche se hanno codici
diversi. Come l’architetto, l’uomo di impresa, il politico, il rettore, e in
generale chiunque sia alla guida di una specifica realtà, deve avere una
visione circolare, una preparazione a tutto tondo.
Quindi il problema è alla radice, nel percorso di studio.
Lo stesso Steve Jobs era preoccupato del sapere ingegneristico e informatico
perché era monoculturale e lineare. Oggi servono ingegneri rinascimentali, che
evochino Leonardo e la scienza nata dalla filosofia. Certo l’azienda che si
attrezza di umanisti è illuminata. Però oltre ad affiancare, bisogna preparare.
Chiaro, l’affiancamento è meglio di niente, ma esiste ancora un’inquietante
separatezza di formazione.
Mi faccia un esempio.
Il tecnico e l’ingegnere edile fanno i loro algoritmi e i loro conti, ma se
non conoscono il paesaggio, la storia di un luogo, le sue connotazioni sociali,
come fanno a costruire? Bisogna conoscere prima di costruire. O vogliamo
davvero rimandare tutto all’algoritmo e ai numeri?
Il punto, allora, è che il dialogo non va cercato tra due professionalità diverse.
Va cercato nell’uomo intero. E non posso che tornare all’architetto, che è
una figura anfibia: ha una formazione sia umanistica che tecnologica, ha due
vite interiori. Le aziende che resistono sono quelle che hanno investito sulla
conoscenza, quelle che guardano ai saperi immateriali. Non possiamo affidare il
mondo del lavoro a semplici smanettatori.
Al Festival lei ha spiegato che Socrate ha richiamato la filosofia
dal cielo, portandola sulla terra e introducendola nelle case e nella vita
degli uomini. Oggi, coi nostri feticci tecnologici, forse l’abbiamo fatta
uscire. Come possiamo organizzare il rientro?
La questione non riguarda solo la filosofia, ma tutti i saperi umanistici:
la storia, le idee, le lingue, la letteratura.
Però queste materie oggi ci sono nelle scuole.
Sono state progressivamente ridotte e mortificate, e nel frattempo abbiamo
abbandonato anche l’arte. Le nostre lauree STEM
(Science, Technology, Engineering e Mathematics) in America
le hanno già tradotte in STEAM (ci hanno messo la A di Arts). Gli americani
hanno dato valore all’arte, alla letteratura, alla filosofia, ovviamente
copiandole da noi. Mentre noi dismettiamo il nostro petrolio, gli altri ce lo
rapinano.
Che cosa manca al sistema scolastico se gli altri copiano quello che noi sottovalutiamo?
Oggi, dove tutto è connesso, serve anche della sintesi. Un giovane non può
avere una formazione a cassetti, anche perché all’università non si va per
imparare un mestiere, si va per imparare a imparare. Però in questo Paese non
c’è la cultura della laurea, non c’è la cultura della cultura.
E in questo contesto Socrate come ci aiuta?
Socrate è un emblema, Platone lo ha definito un eccentrico, un folle, uno
fuori luogo. Steve Jobs invitava i giovani a essere folli, e il Seneca di
Plutarco diceva “io non appartengo né ad Atene né alla Grecia, io appartengo al
mondo”. E oggi i nostri giovani sono davvero cittadini del mondo, e dobbiamo
dare loro il supporto culturale necessario, cominciando dalla scuola che
dovrebbe essere aperta h24. Solo così si può evitare di imporre la scelta tra
il latino e l’informatica e permettere di fare l’uno e l’altro. La scuola deve
essere et-et, non aut-aut.
Non vorrei banalizzare dicendo che mancano i fondi per un simile
progetto, ma…
È chiaro che non è semplice e per prima cosa bisognerebbe pagare bene gli
insegnanti, ma questo permetterebbe di sottrarre i ragazzi dalla strada, dalla
delinquenza. Potrebbero sperimentarsi nel teatro, o studiare a scuola il
pomeriggio con un supporto, senza il bisogno di andare a ripetizioni. In questo
modo si farebbe anche più giustizia sociale.
Giustizia sociale sembra una di quelle “parole giuste” di cui parlava
anche Vincenzo Moretti.
Purtroppo oggi la parola è massacrata. Si fa politica con dieci parole, anzi
non si usano parole giuste, ma soltanto i vocaboli, cioè parole morte.
Che fine ha fatto la sua concezione della “parola come materia
prima”?
Tutto è una battaglia di parole, vero o falso, bello o brutto, giusto o
ingiusto. Le parole cambiano la realtà. Anche Tucidide diceva che uno dei segni
premonitori dello scoppio dei disordini sociali della guerra del Peloponneso
era proprio il fatto che stava cambiando l’uso delle parole. Oggi i colpi di
stato non si fanno con le armi, si fanno con le parole. Quindi non possiamo
soggiacere ai tiranni del linguaggio, ma dobbiamo essere cittadini della
parola.
Quindi ai giovani dobbiamo restituire la parola.
E anche il senso del tempo. I giovani devono sapere che non esiste solo il
presente, ma che c’è un passato e una memoria, e che c’è il futuro, il
progetto. La verità non appartiene all’oggi, appartiene al futuro ed è da
ricercare continuamente. Ci deve essere tensione e ricerca continua, ma per
scavare nella realtà servono delle competenze, insieme alla capacità di
distinguere chi cerca di incantarci con le parole, anzi coi vocaboli. I giovani
ci chiedono una grande responsabilità. La mia generazione voleva uccidere i
padri; oggi i giovani i padri li cercano, ma non li trovano. Oggi il pronome da
declinare è il noi, perché qui o si va tutti a picco o ci salviamo tutti
insieme.
Questo sarebbe un bel messaggio per concludere, ma ho bisogno di
farle un’ultima domanda. È ovvio che lei Socrate lo assumerebbe. In azienda,
come in ospedale e nella pubblica amministrazione. Che contratto gli farebbe?
La virtù è premio per se stessa, quindi lui accetterebbe gratis perché poter conoscere e insegnare agli altri è la più grande ricompensa. In quest’epoca in cui tutto viene mercificato ci vorrebbe un eccentrico, un pazzo come Socrate. In questo mondo di finti normali, di normaloidi, avere un eterodosso sarebbe un gran bel segnale.
Photo credits: Andrea Verzola
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