Boldrini, che peccato: questo femminismo che parla solo alle donne resta muto

Un capitolo per ogni caso che ha suscitato lo sdegno di massa e riportato l’attenzione sulla questione di genere. L’arretratezza italiana sul tema della parità dei sessi al centro del libro “Questo non è normale”, di Laura Boldrini, che recensiamo.

Messi tutti in fila fanno una certa impressione. Elencati uno dopo l’altro, in capitoli dai titoli evocativi, gli episodi – recenti, con qualche incursione nella storia – in cui le donne sono state e continuano a essere dominate, svilite, oscurate, annientate, intimidite, sfruttate, colpite, bloccate e gabbate dal potere maschile destano qualche turbamento.

Li raccoglie e li racconta Laura Boldrini, con la caparbietà che perfino i detrattori sono disposti a riconoscerle, nel suo nuovo libro Questo non è normale. Come porre fine al potere maschile sulle donne, pubblicato da Chiarelettere. Un saggio femminista in cui l’ex presidente della Camera passa in rassegna tutti gli ambiti in cui, nel nostro Paese, la parità di genere è ancora lontana dall’essere raggiunta e il patriarcato prospera più o meno indisturbato.

Le favole e i modelli stereotipati con cui siamo cresciute; i proverbi sessisti passati di bocca in bocca e di generazione in generazione; le discriminazioni nel mondo del lavoro e dello sport; l’indolenza della società civile, dei media e del mondo della politica, restii a promuovere un cambiamento che non sia solo di facciata: al vaglio di Laura Boldrini passa tutto quello che non è normale in una società che ambisce a definirsi aperta, progressista, inclusiva.

Questione di genere: troppi motivi per indignarsi, pochi per agire?

Destano qualche turbamento, dicevamo. O forse no, non così tanto, e ci tocca ammettere che alle brutte storie di cronaca nera, alle vicende di ordinario e quotidiano sessismo, ai dati sui femminicidi mai in calo, ci siamo ormai tuttǝ assuefattǝ?

Il libro di Laura Boldrini, che pure ha una sua forza e un’innegabile coerenza interna, rischia di invecchiare molto presto in tempi in cui ci si indigna ogni tre quarti d’ora, a volte per ragioni sacrosante, altre per futili pretesti che “infiammano il web” producendo al massimo una foto-simbolo e un hashtag dedicato.

Per fare qualche esempio, tra le vicende citate nel libro: chi se lo ricorda più il dibattito innescato dal gran rifiuto di Rula Jebreal di partecipare a una puntata di Propaganda Live di ospiti-tutti-maschi? Quali cambiamenti hanno prodotto i tweet furenti in difesa di Giovanna Botteri, giornalista della Rai oggetto di body shaming accusata di avere un’immagine troppo dimessa per apparire tutte le sere al TG? Quali conseguenze ha avuto lo sdegno seguito al titolo di una testata giornalistica nazionale Il Nobel al tempo del Covid. Murakami o una donna?, questione tornata appena appena in auge ora che, con l’avvicinarsi dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, ci sarà occasione di titolare Quirinale: Mario Draghi o una donna?

Di fronte a episodi di questo genere e in un clima di perenne caccia allo strepito ci siamo arrabbiate, insultate, (s)battute per ottenereun bel niente. Nessuna riflessione seria, iniziativa concreta, proposta di legge. Figuriamoci cambiamenti culturali.

Chissà dove vanno a finire i vecchi motivi di risentimento quando sono sostituiti da nuove e più lucenti occasioni di sdegno. Qualche giorno prima del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, abbiamo scosso la testa in segno di disapprovazione vedendo l’immagine della ministra Bonetti che presentava una mozione contro la violenza di genere in un’aula della Camera pressoché vuota; oggi (giustamente) siamo tutti dalla parte di #GretaBeccaglia, la giornalista sportiva che ha subito molestie in diretta tv, che pure abbiamo finito per ridurre a hashtag perdendo di vista il punto della questione e la possibilità di interrogarci in maniera costruttiva su che cosa sia una molestia (una pacca sul culo lo è).

Perché leggere Questo non è normale

I faciloni del benaltrismo (ci sono sempre questioni più importanti di cui occuparsi, chissà quale sarà questo tema supremo in grado di sbaragliare tutti gli altri nella classifica delle cose-importanti-di-cui-parlare) non diventeranno mai lettori del libro di Laura Boldrini: d’altra parte non ci sono nemmeno motivi per pensare che l’autrice puntasse a fare opera di conversione nei confronti di questo tipo di pubblico.

Anzi, Boldrini si rivolge in maniera esplicita alle più giovani, le “figlie di questo Paese”, che dalla lettura di un libro come questo hanno molto da guadagnare. Per ragazze che a malapena hanno sentito nominare Amalia Ercoli Finzi, la prima donna italiana a laurearsi in ingegneria aerospaziale, che ignorano cosa sia stata la strage del Circeo e ricordano vagamente Tina Lagostena Bassi (forse) solo nella veste di giudice del programma televisivo Forum, il libro può essere utile per mettere a fuoco il contesto in cui stanno crescendo, e che il femminismo non può essere solo una scritta appiccicata sulla maglietta di un brand esclusivo.

Al contrario, per chi parla fluentemente la lingua femminista, Questo non è normale può apparire un testo scontato, a tratti ridondante. Se tanto si è scritto e detto sul tema della parità di genere, la visione seppur molto lucida di Laura Boldrini poco aggiunge alle riflessioni magmatiche in corso.

Da questo punto di vista, appare molto più interessante il capitolo finale, intitolato “Mollare gli ormeggi”. È qui che l’autrice si lascia andare, il libro diventa meno cahier de doléances e più proposta viva, invito all’azione. L’appello che Laura Boldrini rivolge a tutte le donne – un invito a unirsi, oltre le differenze, i punti di vista divergenti, le idee politiche, e ad aprire una nuova stagione di mobilitazione generale – è quello che ci vuole in un dibattito che altrimenti rischia di diventare l’ennesima occasione persa.

Più lotta di piazza e meno proteste virtuali, con la speranza che, almeno stavolta, duri più di un trending topic su Twitter.

CONDIVIDI

Leggi anche

Produttività del Sud: cresce con le infrastrutture

I fondi europei hanno avuto pochi effetti sulla produttività nel Mezzogiorno. Risultati più positivi si hanno però per la spesa in infrastrutture e per quella rivolta ai territori con più elevati livelli di qualità istituzionale e urbanizzazione. di Giuseppe Albanese, Guido De Blasio e Andrea Locatelli L’esperienza con i Fondi strutturali europei può aiutarci a utilizzare […]