Caput mundi non è più un complimento

Altro che immortale: la fine della Capitale potrebbe essere prossima. Nel libro di Christian Raimo, “Roma non è eterna”, scopriamo una città afflitta da problemi sociali ed economici, con una struttura al collasso.

Altro che dolce vita, notti bianche e grandi eventi. Roma è in débâcle.

Dimentichiamo le immagini da cartolina con il Colosseo, i Fori Imperiali e piazza San Pietro, luoghi simbolici che hanno fornito la rappresentazione di una Roma immortale. Nel libro di Christian Raimo, Roma non è eterna (Chiarelettere, marzo 2021): è decadente e decaduta. Classe 1975, scrittore, giornalista e dal 2018 assessore alla cultura del III Municipio di Roma, l’autore racconta il suo testo a SenzaFiltro.

Nel libro di Raimo Roma è caput mundi, il centro del mondo, però inteso come paradigma di ciò che sta accadendo in molte città, in particolare nelle metropoli. Dietro la grande bellezza con la quale si cerca di ostentare un’immagine di eternità, efficienza e qualità della vita ci sono ghetti, periferie, speculazione edilizia, assenza di welfare, criminalità a tutti i livelli e degrado. Sono pochissimi i quartieri che bastano a sé stessi, funzionali, dotati di servizi e di luoghi di lavoro raggiungibili a piedi, ma per il resto la città di Roma è la periferia, non solo fuori ma anche all’interno del GRA.

La città è stata tolta ai suoi cittadini, impossibilitati a riappropriarsi dei luoghi dove si faceva cultura, che erano caratterizzati dalla solidarietà e da un’efficace partecipazione dal basso. Punti di riferimento per molti quartieri venuti meno, distrutti in nome della pubblica sicurezza e del decoro urbano, e mai più ricostruiti. Esistono spazi in cui l’illegalità viene tollerata fino a quando non scappa il morto. Solo allora interviene la politica, che propone riqualificazioni a tutto vantaggio dei palazzinari, pronti a costruire case che gran parte dei residenti non potrà permettersi.

Partiamo dal titolo: Roma non è eterna? Se non lo è per quale ragione o per quale motivo è da considerarsi eterna? 

Il titolo ha il valore di un’ambivalenza, da una parte un giudizio e dall’altra un esortativo, da una parte un risultato e dall’altra un grido d’indignazione. Pensiamo a Roma come a una città eccezionale, ma non la consideriamo come una città normale, che vive processi di trasformazione come tutte le città del mondo: gentrificazione, consumo di suolo, cambiamento climatico, crisi della politica e dell’amministrazione, calo demografico e invecchiamento della popolazione. Abbiamo un’idea di città che sopravvive a tutto – è sopravvissuta ai Lanzichenecchi e alla peste – ma questo è un modo per non sentire la responsabilità di un intervento politico rispetto alla città, a una sua a una presa in carico. In questo senso Roma non è eterna. Tutto ciò ha a che fare con un giudizio politico e anche con l’immaginario romano, incentrato sulla storia, retroflesso e legato al passato. Bisogna immaginare una città diversa. Bisogna re-immaginarla per avere una visione.

Considerata la grandezza di Roma, la maggior parte dei romani vive nel proprio quartiere, che talvolta ha le dimensioni di una città nella città. Può essere uno dei motivi per cui molti romani non conoscono le periferie, i ghetti di cui parla nel suo libro? 

Questo è vero solo per una ristretta fascia di persone. Noi abbiamo l’idea che le persone possano vivere il loro quartiere in modo autonomo, città minime percorribili in quindici o venti minuti dove si può andare al lavoro a piedi o in bicicletta, ma è una fortuna che appartiene a pochissimi cittadini, che vivono nel I e II Municipio, i quali hanno una città funzionale. Per il resto delle persone Roma è una città sterminata; attraversarla significa perdere tre ore, andata e ritorno, per raggiungere il luogo di lavoro, affrontando un traffico caotico o cambiando due o tre mezzi. Le persone che lavorano a Roma in gran parte provengono da Guidonia, Colleferro o Latina, se non addirittura fuori Regione, e in questo senso la conoscenza di Roma riguarda la sua vastità e complessità. Chi abita a Fidene e deve lavorare all’E.U.R. non conoscerà la bellezza di Ostiense, ma conoscerà molto bene il GRA, parte fondamentale della città.

Lei afferma che vivere a Roma è complicato. Perché?

È molto complicato perché i bisogni principali della città sono gli usi che si fanno di essa: la casa, il lavoro, i trasporti e la sanità. È complicatissimo per chi non possiede una casa: non esiste edilizia residenziale e gli affitti sono altissimi. Molti nuovi quartieri hanno case sfitte, e nonostante ciò si continua a costruire. Sono complicati i trasporti: le famose “cure del ferro”, espressione utilizzata da chi si occupa di trasporti per trasformare la città in modo tale da avere uno sviluppo organico dei mezzi sui binari sopra e sotto la superficie, non sono mai arrivate. La rete degli autobus è sottodimensionata e con un servizio scadente, la rete della metropolitana è carente. Nonostante Roma sia la prima città d’Italia ad avere una rete tramviaria molto importante, restano poche le esperienze riuscite che permettono di collegare la città coprendo lunghe distanze con un unico mezzo, come il tram 8 collega Boccea con il centro storico. I tassi di disoccupazione sono molto alti: ci sono interi quartieri che vivono con sussidio, reddito di cittadinanza e cassa integrazione. Esistono mappe delle disuguaglianze: c’è una disparità mostruosa tra i Municipi più centrali, come il I e il II, e molte zone fuori dal raccordo, che vivono di pendolarismo, economie in nero e sussidi. Non oso immaginare cosa succederà quando ci sarà lo sblocco degli sfratti, delle cartelle esattoriali e dei licenziamenti. Tutto ciò provocherà un effetto deflagrante, che distruggerà il minimo equilibrio su cui si regge questo fragile sistema di economie di sussidi. È una città che offre sempre meno lavoro, che vive di servizi, come la ristorazione e il settore pubblico, e quando vanno in crisi entra in crisi l’intera città. La sanità regionale, oggi, sembra il fiore all’occhiello rispetto a come sta gestendo le vaccinazioni, ma in realtà tutto ciò che esula dalla campagna vaccinale è allo sbando. È difficile gestire la sanità pubblica in una società che invecchia.

Nel suo libro descrive lo struscio delle giovani abitanti delle borgate: nelle periferie i centri estetici non conoscono crisi economica. Per quale motivo? 

Da un’analisi empirica riscontro che è una delle poche attività economiche che non crolla in quei quartieri dove scarseggiano esercizi commerciali. Le ragioni dello sviluppo dei centri estetici negli ultimi anni sono varie: non serve un’alta professionalizzazione e risponde al bisogno di chi lavora in alcuni dei principali settori economici di Roma, nei quali è necessario presentarsi al meglio, come il servizio di hostess o degli addetti alla ristorazione e al turismo. La loro diffusione è dovuta anche a uno sviluppo di una scolarizzazione che privilegia un certo tipo di formazione professionale, come il settore alberghiero e per la cura del corpo. Per queste ragioni l’economia dell’estetica è molto diffusa nelle periferie.

La questione rifiuti è il leitmotiv delle campagne elettorali di tutti gli schieramenti. Secondo lei è il campo di prova fondamentale per le amministrazioni dei prossimi anni. Nonostante valgano un miliardo di euro l’anno, nessuno ha fretta di occuparsene. Come mai? 

Ce ne si occupa pure troppo affinché venga mantenuta così com’è, ma non ce ne si occupa per trasformare la filiera in modo strutturale. Tutti gli attori coinvolti, come AMA, Cerroni e altre parti dell’indotto, traggono vantaggio da una filiera dei rifiuti in stato di emergenza, perché l’emergenza fa lievitare i costi, fa usare gli impianti che invece andrebbero chiusi e facilita gli appalti.

La Torre, Teatro Valle, “Hotel Africa” sono alcuni nomi di luoghi sgomberati in nome della sbandierata necessità di sicurezza. Poi, il nulla. Si può dire che il tema politico della sicurezza si è rivelato fallimentare? 

Sì, il tema della sicurezza si è rivelato fallimentare per il bene della città, ma molto efficace per costruire un consenso facile. Parlare di scurezza è una retorica molto vaga che riesce a placare e allo stesso tempo a stimolare impulsi, bisogni e visioni che provengono da schieramenti e appartenenze anche diversi fra loro. Nel momento in cui i problemi della città sono sempre più evidenti e radicali, parlare di sicurezza è la via più facile per ottenere consenso. Questi spazi non hanno rappresentato una minaccia per la sicurezza pubblica: al contrario, sono stati presidi territoriali e promotori di iniziative culturali, e quei pochi rimasti lo sono ancora. Sono luoghi che fanno pedagogia pubblica, che rispondono ai bisogni principali enunciati nella Costituzione, come il dovere della solidarietà attraverso il mutualismo e una pedagogia dell’uguaglianza attraverso scuole popolari.

Che cosa vede nel futuro di Roma?

Vedo una città che diventa sempre più povera, che non ha idea di come si evolverà. Gli unici elementi interessanti sono gli esempi di politicizzazione delle giovanissime generazioni, quelle che hanno terminato la scuola superiore. È una generazione che non ha nulla da perdere, e che ha messo al centro della sua politicizzazione il tema delle politiche urbane, come gli spazi. Credo che da loro verrà fuori qualcosa di buono.

Perché leggere Roma non è eterna

Le risposte dell’autore consentono di comprendere la concatenazione di cause che ha portato Roma sull’orlo di un punto di non ritorno. Roma non è eterna andrebbe letto perché è una doccia fredda non solo per gli abitanti della Capitale: impone di risvegliare sensi e coscienze se vogliamo immaginare un futuro accettabile e riprenderci le nostre città.

Una tenda accampata su una rovina romana, in copertina, è l’emblema dell’emergenza abitativa: riappropriarsi della città spesso significa trovare a place to stay, titolo dell’opera fotografica. Anche se si tratta di un luogo ormai ai margini, abbandonato e inutilizzato.

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