Carlo Buccirosso al Comunale di Caserta: “La vita è imperfetta e il cinema forza la mano. Il teatro è molto più reale”

Piccola lezione di scrittura e di impegno sociale al Teatro Comunale di Caserta Costantino Parravano con Carlo Buccirosso, che durante Il Salotto a teatro incontra il pubblico prima dello spettacolo. L’attore incanta e non risparmia la sua idea di arte e di legame con la realtà.

Quando Carlo Buccirosso entra nel foyer del teatro comunale di Caserta, c’è gente che lo aspetta da una ventina di minuti sui divani e sulle sedie. Lo ha intrappolato il traffico, è dispiaciuto del ritardo, la prima cosa che gli si vede in faccia è proprio il dispiacere. Poi si siede anche lui, la compagnia gli si accomoda accanto, il Salotto a Teatro prende il via per l’anno dieci.

Mi colpisce che abbia voglia di sentir parlare le persone, di sapere se ci sono domande, cosa pensa de Il vedovo allegro chi lo ha visto in scena la sera prima, insiste nell’invitare il pubblico a fare domande anche agli attori e non solo a lui. Siamo abituati a grandi attori interessati a sé stessi e poco più. Buccirosso parla e racconta, e più parla e racconta più è chiaro che la sua matrice guarda fuori. Ha scritto un testo per gli altri e non per l’ego, una sceneggiatura piena di riferimenti al lavoro, ai mestieri, alle relazioni, all’invisibile che intessiamo nella società senza che la maggior parte di noi se ne accorga. 

Buccirosso è un artista interessato agli altri e al mondo.

Sold out per Il vedovo allegro di Carlo Buccirosso al Teatro comunale di Caserta

 

Lo spettacolo si muove su un filo delicato: al centro c’è un antiquario che durante il Covid ha perso moglie e lavoro – storia comune, storia di tanti – ma poi tutta la schiena della sceneggiatura sta dritta sui temi dell’adozione e dell’inseminazione eterologa messa anche a confronto con quella domestica dei kit fai da te. Confessa subito che non ne sapeva niente di un tema simile e che per mesi ha lavorato alla scrittura e per mesi ha tempestato di domande esperti e ginecologi. “Quando si fa lo scrittore si è costretti a studiare, a documentarsi. Tutto quello che portiamo in scena è reale, non c’è nessuna forma di fantasia, non c’è una frase che non sia frutto di testimonianze o storie di vita vera”. 

Nel momento in cui l’Assessore alla cultura del Comune di Caserta viene invitato a dire la sua, già l’idea mi annoia, mi aspetto la solita brodaglia di ringraziamenti e banalità. Enzo Battarra, al contrario, parla di cose che sa e anche il ritmo di voce non suona da politico per tutte le stagioni. “Ho apprezzato moltissimo il garbo con cui si è trattata la materia. Lo dico anche da medico e queste prassi sempre più diffuse del fai da te, senza alcuna norma né regola, sono davvero pericolose. Serve informazione, occorre sensibilizzare. Poi le faccio i complimenti perché lei per due ore tiene di continuo il palco, un grande lavoro fisico e di memoria”. “Se un attore non tiene la memoria è meglio che cambia mestiere”, gli ribatte divertito Buccirosso. “Per quanto ce ne sono e come di attori che non hanno memoria o che non si staccano mai dal copione. Io il copione, invece, lo brucerei proprio”.

Il bello degli incontri parlati tra attori e pubblico – la distanza non arriva a due metri, molto meno che a teatro – è che si incrociano le vite e che si incontrano alla luce. Ognuno, se vuole, porta a casa una sfumatura dell’altro perché in mezzo c’è passato uno sguardo, una postura, il colore di una giacca o di un cappotto, un qualsiasi dettaglio che ha voglia di essere visto e ricordato. 

Il Salotto a teatro fa pensare alla democrazia, tutti seduti insieme, via i ruoli, via le etichette da famosi o da gente comune, per una volta l’arte scende dal palco e si siede e per una volta il pubblico sale e si livella. Come quando interviene un signore che ha visto lo spettacolo la sera prima e spiega che di mestiere si è occupato di fecondazione artificiale tra animali nelle aziende bufaline della zona e che tutti i processi che oggi osserviamo per gli umani di fatto convivono da tempo nel mondo degli animali. Cerco lo sguardo di Buccirosso per vedere che effetto gli fa, lo accolta curioso, credo gli sia grato per aver aggiunto un altro tassello che non aveva. 

A fine incontro sono le diciotto, tra un’ora la compagnia riprende posto sul palco, è il tempo dei saluti, gli applausi, le foto di rito, lui e gli attori si sparpagliano nel foyer in mezzo alla gente, c’è armonia, c’è naturalezza nelle cose. Vado a complimentarmi con Beatrice Crisci, che non conoscevo: è la giornalista che ha condotto l’incontro, è lei la mente del progetto che da dieci anni azzera le distanze dell’arte.

Avvicino anche Buccirosso al bar del foyer, prima di me ci sono una madre e una figlia, la figlia vuole fare l’attrice. Arrivo a discorso avviato ma colgo un dettaglio cruciale quando le suggerisce di tenersi sempre una via d’uscita se vuole fare quel lavoro perché non è detto che riesca, di capire subito che aria tira, di studiare sempre e tanto. Mentre gira il caffè nella tazzina, mi conferma di aver rifiutato quarantaquattro lavori da attore, lungo tutta la sua carriera, e di averne fatti trentotto. “Sarei molto più famoso ma avrei rinunciato a una parte di me e a una mia libertà espressiva. Se dovessi scegliere tra regia, recitazione e scrittura, non rinuncerei mai alla scrittura perché solo la scrittura ti permette di entrare in contatto con migliaia di persone, di scrivere a migliaia di persone. A me già dà fastidio quando sul set di un film, con tutta la gente che ti sta addosso tra telecamere e microfono, il regista ti deve pure dire stop perché magari hai detto una frase corretta ma non con la sfumatura di voce che voleva in quel momento. E perché? Io ho bisogno di teatro perché è più onesto, più vicino a noi umani. La gente pensa che fare il cinema sia più facile perché se sbagli una battuta puoi rifarla ma io non rigirerei quasi mai nessuna scena, salvo grandi errori. La vita è imperfetta e il cinema forza la mano per farcela vedere come non è. A teatro è tutto più reale, più sincero”.

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