AI Action Summit: l’Europa doveva dettare legge, e invece no

L’incontro delle nazioni per delimitare l’uso dell’IA è stata una passerella a favore della Francia, Paese ospite. L’UE è tornata sui suoi passi su misure critiche per favorire lo sviluppo tecnologico locale e la tutela dei cittadini: forse era meglio non firmare l’accordo, come USA e UK

17.02.2025
L'AI Action Summit di Parigi, durante l'intervento di J.D. Vance

Ci voleva uno sforzo da campioni per riuscire a trasformare l’atteso AI Action Summit di Parigi in una triste vetrina per l’industria tecnologica francese e, al tempo stesso, a renderlo comunque un evento divisivo.

Come sappiamo, infatti, Stati Uniti e Gran Bretagna non hanno firmato la Dichiarazione finale, sottoscritta da 60 Paesi. Un’assenza a cui la copertura mediatica ufficiale ha dato molto rilievo, scordandosi di evidenziare la vera notizia: il Summit ha sacrificato la sostanza sull’altare dell’estetica. I partecipanti non giornalisti raccontano di essere stati sottoposti a infinite sessioni promozionali di Mistral e di altre start up francesi, immersi in una gelatina di retorica nazionalista, al grido di “la Francia sta tornando nella corsa all’intelligenza artificiale”.

Tutto ciò, mentre in una stanzetta sul retro veniva presentata la ciccia, ovvero l’International Science of AI Safety Report, il primo rapporto indipendente e completo al mondo sui rischi dell’IA, redatto da oltre 100 esperti, con le prove scientifiche dei rischi già in essere e le possibili azioni di mitigazione. Un documento importante, volutamente privo di riferimenti politici, sul quale i Paesi avrebbero dovuto confrontarsi, commissionato per paradosso proprio dal Governo inglese.

Il Summit è stato invece plasticamente fagocitato dall’estetica industriale, ed è in questa direzione che dobbiamo osservare, per capire.

È un’estetica che ci parla di aziende-Nazioni in preda alla furia della corsa tecnologica. L’ultima cosa che vogliono, in questo frangente, è restare inviluppate nel cellophane soffocante di impegni ufficiali messi nero su bianco (qualche giorno dopo il Summit, il vicepresidente americano JD Vance l’avrebbe spiegato meglio di me, come si fa con i bambini, rivolgendosi alla Commissione europea).

Le aziende si infilano nella regolamentazione IA: Meta passa all’incasso

Che poi, a ben guardare, che peso hanno, oggi, i grandi accordi internazionali, mentre il multilateralismo cade a pezzi? Un peso ridotto a lumicino. Qualcuno ha letto il testo completo della Dichiarazione?

Proviamo a farlo.

Ad esempio, al punto 2 si evidenzia la “necessità di sostenere i Paesi in via di sviluppo nel potenziamento delle loro capacità di intelligenza artificiale”. Tutto molto bello; poi scopri che l’UNESCO, qualche giorno fa, ha affidato a Meta il Language Technology Partner Program. Scopo mirabile: creare IA che parlino tutte le lingue del mondo. Meta cerca dei collaboratori che contribuiscano con oltre dieci ore di parlato e grandi quantità di testi scritti, per addestrare i suoi sistemi anche con lingue poco parlate, come quelle del popolo Inuit.

I sistemi saranno open source, ma è chiaro che Meta avrà vantaggi commerciali di tutto rispetto, e viene da chiedersi perché l’UNESCO non abbia provato a stimolare la crescita di microaziende tecnologiche a livello territoriale, giusto per essere coerenti (si noti che la pratica di saccheggio linguistico da parte di Big Tech è denunciata da anni e ha grandi ripercussioni su alcune comunità locali).

IA difettose? L’Europa punta sull’“incertezza giuridica”. E sulla retorica

Un altro punto della Dichiarazione, il 3, impegna i Paesi a garantire che l’IA siasicura e affidabile”.

In tal senso, nelle ultime ore non sono arrivate notizie rassicuranti dall’UE (che pure ha firmato la Dichiarazione). La Commissione europea ha infatti deciso di ritirare la controversa direttiva sulla responsabilità dei sistemi difettosi di IA, un provvedimento che avrebbe offerto una grande tutela ai cittadini e ai consumatori comunitari.

L’europarlamentare del PPE Axel Voss, co-relatore, ha dichiarato che la Commissione ha “attivamente optato per incertezza giuridica, squilibri di potere aziendale e un approccio da Far West che avvantaggia solo le Big Tech”. In generale, tutto il testo della Dichiarazione è inzuppato di retorica e di parole come “diritti umani”, “trasparenza”, “inclusività”. Ormai sono come un little black dress, a usarle non si sbaglia mai. E forse, non si sbaglia a non firmare Dichiarazioni che rischiano di restare lettera morta. Soprattutto se non si crede in ciò che c’è scritto.

A questo punto, è meglio la coerenza.

 

 

 

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Photo credits: worldcrunch.com

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