Cina e Russia, l’amicizia “senza limiti” che cambia volto all’Occidente

Intervistiamo la dottoressa Alessia Amighini, studiosa dell’ISPI e ospite di Nobìlita: “Con questo conflitto il rischio è che la Russia scivoli nelle braccia della Cina. E gli effetti della guerra ricadono su Paesi e ceti più poveri”.

I dieci giorni che sconvolsero il mondo. È il titolo di un libro scritto da un giornalista americano, John Reed, nel 1919, due anni dopo la rivoluzione bolscevica, l’evento storico che nel secolo scorso mutò per sempre il volto dell’Europa.

Il cronista statunitense in quelle appassionate pagine di cronaca racconta ed esalta le gesta dei bolscevichi che portarono nel 1917 la Russia zarista alla rivoluzione d’ottobre. Nessuno avrebbe immaginato, né allora né oggi, che dopo oltre cent’anni quel gigantesco Paese, passato attraverso l’Unione Sovietica e poi tornato a essere l’impero di un nuovo zar, avrebbe di nuovo sconvolto il mondo con l’aggressione all’Ucraina, riportando così indietro le lancette alla guerra fredda del periodo postbellico e ponendo le basi per uno sconvolgimento degli equilibri geopolitici mondiali.

In una conferenza tenuta a Milano dopo l’attentato alle torri gemelle messo a segno da Osama Bin Laden, Sergio Romano, con grande acutezza di analisi, accusò l’Occidente di cecità per non aver capito che, mentre nello scenario postbellico si consumava lo scontro tra Est e Ovest, nessuno vedeva la crescita dei conflitti tra Nord e Sud del mondo; conflitti che ebbero il loro apice con la tragedia dell’11 settembre.

Oggi, al contrario, l’Occidente dovrebbe interrogarsi sui motivi per i quali sono state sottovalutate le mosse di Putin verso la guerra, e su come sia possibile che il pianeta nel giro di cento giorni sia ripiombato in uno scontro titanico tra Occidente e Oriente. Dunque siamo a un ritorno al passato post bellico? Siamo all’inizio di una nuova guerra fredda sul suolo europeo tra due grandi potenze come la Russia e gli Stati Uniti? Ma soprattutto: in questo quadro geopolitico in continua evoluzione, come si colloca il gigante cinese, considerato da molti analisti la prima potenza mondiale?

Ne abbiamo parlato con Alessia Amighini, studiosa dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), che tra l’altro ha partecipato a uno dei panel di Nobìlita e che da anni si occupa delle relazioni della Cina con il resto del mondo.

“Se vogliamo parlare di Oriente e Occidente, con la guerra in Ucraina il rischio è che la Russia di Putin scivoli nelle braccia della Cina. Questa potenza incombe ormai sul territorio sterminato dell’Eurasia, tenendo dentro anche il Medioriente. Capirà che se si saldasse quel legame saremmo davvero di fronte a un nuovo conflitto epocale tra Oriente e Occidente. La guerra in Ucraina va letta anche guardando a questo scacchiere.”

La determinazione con la quale Putin ha invaso l’Ucraina dipende anche dal fatto che si sentiva e si sente le spalle coperte in termini politici e commerciali dal gigante d’Oriente?

Credo che Putin, se non ci fosse stata la pandemia, avrebbe invaso l’Ucraina molto prima del febbraio scorso. È certo però che i due Paesi, Russia e Cina, fanno fronte comune. Dopo la dichiarazione, il 28 febbraio scorso, del portavoce del ministro degli Affari esteri cinese, Wang Wenbin, “Cina e Russia sono partner strategici ma non alleati”, ci si interroga sulla vera natura dell’amicizia tra Mosca e Pechino. Formalmente la Cina si sta astenendo dal prendere parti, per non tradire un Paese da tempo amico: ne è prova l’astensione della Cina sulla risoluzione contro l’invasione russa dell’Ucraina al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il premier Li Keqiang ha dichiarato che “per quanto riguarda l’Ucraina, la situazione attuale è davvero grave, e la Cina è profondamente preoccupata e addolorata”, e “il compito urgente ora è impedire che le tensioni si intensifichino o addirittura vadano fuori controllo”. Tuttavia non ha criticato l’effettiva invasione russa e ha anche detto che le relazioni della Cina con la Russia sono “solide come la roccia”.

Perché a suo parere non ha criticato apertamente l’invasione russa?

Le ragioni sono molteplici, ma atteniamoci ai fatti. La Cina sta sostenendo la Russia: per esempio, con l’approvazione da parte di Pechino delle importazioni di grano dalla Russia, di cui è il primo produttore mondiale, e insieme all’Ucraina conta per circa un terzo della fornitura mondiale di grano. La Cina ha allentato le restrizioni doganali sulle importazioni di grano russo, una mossa che potrebbe ridurre le preoccupazioni di sicurezza alimentare nella seconda economia più grande del mondo e aiutare al contempo la Russia a sostituire gli importatori occidentali. Inoltre, il mese scorso Cina e Russia hanno firmato un contratto trentennale per fornitura di gas naturale dall’Estremo Oriente russo al Nord-Est della Cina. Questa collaborazione rientra nell’ambito di una “cooperazione strategica” delineata in una dichiarazione congiunta delle due nazioni, rilasciata il 4 febbraio di quest’anno, in cui si parlava di un’amicizia “senza limiti”. A proposito della sua prima domanda, vorrei far notare che quella dichiarazione è stata pubblicata tre settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina, dopo che il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping hanno usato la cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali in Cina per dimostrare unità.

Questa è una notizia di un certo rilievo, perché vista alla luce degli eventi può essere considerata quasi una difesa ex ante rispetto ai piani aggressivi di Putin. C’è a suo avviso una strategia comune?

I due Paesi hanno detto che cercano un ordine mondiale diverso. Formare un nuovo fronte contro l’egemonia americana è certamente il fattor comune più importante che avvicina Mosca a Pechino. Perciò Pechino è impegnata in un difficile atto di bilanciamento: da un lato la Cina sottolinea l’integrità territoriale di tutti gli Stati, come fa di solito; dall’altro dice che le preoccupazioni di sicurezza della Russia sull’espansione della NATO verso Est sono “legittime”.

Un’alleanza che però vede la Russia in una posizione subalterna sia dal punto di vista politico che economico. Non crede?

Ne sono profondamente convinta. Tutta l’economia della Russia è basata su qualcosa di arcaico e fuori dal tempo. Una sorta di nuovo medioevo: la rendita di posizione sui giacimenti di petrolio e sul gas. Da decenni non c’è accumulazione di ricchezza basata sulla produzione. Ai tempi di Eltsin le ricchezze dello Stato sono state semplicemente trasferite ai potenti oligarchi; una singolare distribuzione della ricchezza che non ha minimamente toccato le classi popolari, e che non ha precedenti nei casi di accumulazione originaria. È per questo che la Russia ha bisogno di espandersi sul territorio. Come è noto, la Cina invece ha puntato la sua crescita sulla combinazione di Stato e mercato. Sta qui il segreto del suo sviluppo. Una politica molto pragmatica finalizzata agli affari. È per questo motivo che la Cina, malgrado i legami con Mosca, spinge per la fine del conflitto: Pechino per fare affari ha bisogno di pace, non di guerra.

Quali sono i veri vantaggi della Cina nell’appoggiare la politica espansiva della Russia?

Per capire i grandi benefici che Pechino trae dal sostegno a Mosca bisogna allungare di molto l’orizzonte temporale e tematico. Innanzitutto, la crescente virata della Russia verso la Cina, sul fronte finanziario e commerciale, accelera i piani di Pechino di aumentare la propria sfera di influenza economica e politica. Secondo i dati della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite sul commercio internazionale, per effetto delle sanzioni in vigore dal 2014, la Cina è emersa come la più grande destinazione per l’export russo. Si teme pertanto che le nuove sanzioni spingano ancor di più la Russia a cercare di approfondire i suoi legami con Pechino nel tentativo di aggirare le restrizioni, in particolare gli scambi commerciali non denominati in dollari, come suggerito da Harry Broadman, un ex negoziatore commerciale degli Stati Uniti e funzionario della Banca Mondiale con esperienza in Cina e Russia. Già ben oltre la metà del commercio sino-russo avviene in renminbi, (la moneta cinese), quindi non sarà bloccato dalle sanzioni, e ci si dovrà aspettare che la Cina rinforzi il canale dei pagamenti in renminbi.

Alla fine di questa conversazione, visto che è un’economista, vorrei farle una domanda che ci riporta al mondo del lavoro di cui ci siamo occupati a Nobìlita: quali saranno a suo avviso le ricadute sull’occupazione di questa tragedia bellica?

Non c’è ombra di dubbio, sono prospettive drammatiche che investiranno soprattutto le aziende e le banche più esposte con la Russia, ma che inevitabilmente colpiranno l’intera economia europea e mondiale. In tutte le crisi sono come al solito le fasce più deboli della popolazione a pagare le spese in termini di disoccupazione e inflazione. Ma è bene dirlo: responsabile non è soltanto la guerra, ma anche le politiche di quelle imprese e di quei governi che negli ultimi anni hanno costruito operazioni ad alto rischio finanziario sulla Russia, in modo spregiudicato. In quella direzione la speculazione ha avuto un ruolo importante. E la tragedia sa qual è? Che anche in questi casi le aziende e i governi hanno applicato la regola della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite. Fin quando le cose andavano bene imprese e società di riassicurazione hanno fatto profitti ingenti; quando è scoppiata la guerra gli effetti sono ricaduti sui Paesi e sui ceti più poveri.

E poi c’è la grana del grano. Che cosa sta succedendo su quel fronte?

Oggi, ad esempio, le speculazioni sul grano o alcune politiche della SACE (una società per azioni controllata da parte del ministero dell’Economia e delle finanze e specializzata nel settore assicurativo-finanziario, N.d.R.) hanno come risultato di far ricadere sulla popolazione e sulle stesse imprese l’incremento del prezzo del grano. Mi par di capire che non abbiamo imparato niente dalla crisi del 2008: senza una regolamentazione degli strumenti finanziari la storia si ripeterà sempre allo stesso modo.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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In copertina Alessia Amighini, foto di Domenico Grossi

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