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Condividi, razionalizza, agisci: la ricetta De Luise per le imprese italiane
Sorride Patrizia De Luise, prima donna alla guida di un’associazione nazionale di artigiani e commercianti. Sorride se le chiediamo: “Ha trovato maggiori difficoltà con i portuali genovesi (è stata vicepresidente di Porto Antico di Genova Spa, N.d.R.) o con i piccoli imprenditori di tutta Italia che navigano in acque costantemente agitate? “Questa domanda mi piace […]
Sorride Patrizia De Luise, prima donna alla guida di un’associazione nazionale di artigiani e commercianti. Sorride se le chiediamo: “Ha trovato maggiori difficoltà con i portuali genovesi (è stata vicepresidente di Porto Antico di Genova Spa, N.d.R.) o con i piccoli imprenditori di tutta Italia che navigano in acque costantemente agitate? “Questa domanda mi piace – spiega – perché dà il carattere del genovese, in genere brontolone e mugugnone, ma anche pragmatico. Io vengo da una casa di gente pratica e inclusiva. Questo racconta il mio modo di essere: curiosa, attenta ai rapporti personali e chiamata a un lavoro impegnativo e gratificante”.
L’impegno di Patrizia De Luise è quello che dà voce a 2,5 milioni di imprese. Da poco più di un anno è presidente di Confesercenti, per sei mesi è stata presidente portavoce di turno di Rete Imprese Italia, l’associazione che unisce le cinque principali organizzazioni di rappresentanza delle Pmi e dell’impresa diffusa: Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti. In sostanza più della metà dell’occupazione italiana ha una voce femminile a rappresentarla.
Nell’era degli annunci giornalieri e dei tweet a suon di tormentoni la ricetta De Luise è la “lunga scadenza”, il “no agli interventi spot”, “le politiche di sviluppo più che il reddito di cittadinanza”. È il bagaglio di esperienze passate di stazione in stazione, senza scorciatoie, di chi ha studiato filosofia e si è scoperta imprenditrice, prima “per sostituire mia madre nell’attività commerciale di famiglia”, abbigliamento e accessori intimi, poi per folgorazione dell’intraprendenza: “È un mestiere che mi piace, quello dell’imprenditore, perché ti devi preparare per farlo, ma puoi mettere in pratica quello che pensi”.
L’orizzonte della presidente è sintesi di analisi filosofica e impresa. La chiama “socializzazione della difficoltà”: condividi un problema, lo razionalizzi, lo affronti.
Presidente De Luise, nella sua agenda di impegni che cosa c’è?
Ci sono due fattori. Il primo riguarda le imprese, il secondo la rappresentanza. Sul primo punto si tratta di riconoscere un’ossatura importante, ossia il ruolo delle micro e piccole attività imprenditoriali, e di favorirne lo sviluppo. I numeri ci parlano di un Paese con quattro milioni di piccole e medie imprese che danno occupazione al 60 % degli italiani. È necessario prendersi cura di queste aziende con politiche mirate, non con il reddito di cittadinanza tanto per intendersi, ma con un sostegno alla crescita. Del resto questo fitto mondo di Pmi ha una doppia valenza: locale, per il territorio su cui insistono, e turistico. Il primo riguarda i residenti dei quartieri e delle vie dove sono presenti le attività commerciali. Senza queste ultime sarebbero quartieri dormitorio, senza vita. Poi c’è la ripercussione turistica. Abbiamo la fortuna di vivere in un territorio bello: sole, mare, monti e buona cucina. Ma il turismo non vive di sola materia prima. Ci vogliono i servizi; un territorio va reso fruibile e accogliente. Si tratta quindi di prendersi cura delle opportunità legate a tutto questo: presidio, sviluppo turistico e posti di lavoro. Ogni impresa se ha condizioni idonee si ingrandisce.
Nella sua prima uscita pubblica, un anno fa, ha parlato di 47 miliardi di consumi persi in dieci anni, citando uno studio Eures-Cer. Fatta la radiografia e la relativa diagnosi al sistema, la terapia che cosa prevede?
Ci vuole un progetto a lunga scadenza, non interventi spot. Poi è necessario rimuovere ciò che ostacola lo sviluppo: l’eccesso di pressione fiscale che ci rende meno competitivi, la sovrapposizione burocratica che è come una seconda tassazione perché ci fa perdere tempo. Accanto a tutto questo mancano infrastrutture materiali – alta velocità, aeroporti, una viabilità che funzioni anche localmente – e immateriali. Così, se tutta questa serie di cose non funziona la vita diventa impegnativa. Paghiamo ancora una lunga crisi finanziaria che ha scoperchiato il vaso di un sistema fragile e obsoleto. Questo ha impedito alle imprese di raggiungere delle buone performance. I dati ci dicono che sono 630 mila le imprese perse in dieci anni. Così se non c’è lavoro o non c’è prospettiva di lavoro non ce la facciamo, e la centralità alle piccole e medie imprese non va data in quanto ombelico del mondo, ma per evitare altri danni gravi, a partire da un nuovo esercito di persone senza occupazione.
Poi c’è la rappresentanza.
Io come imprenditore non posso occuparmi da solo della tutela del mio lavoro, diventa un problema. Credo in un’associazione che rappresenti i miei problemi, che si tratti di democrazia diretta o indiretta, qualsiasi sia. Il tema della rappresentanza è fondamentale, ci vogliono le parti sociali, non un accordo politica-impresa. Se si vogliono far funzionare le cose devono passare per questi tavoli. Il pensiero che si possa bypassare la rappresentanza ci ha portato a disastri, a scapito dell’interesse collettivo.
È la prima volta di una donna alla guida di metà delle Pmi italiane. Ci sono delle caratteristiche da declinare al femminile?
Sono fermamente convinta di una cosa: la contaminazione tra approcci, vedute, esperienze è una ricchezza. Di fronte a un obiettivo comune, più è eterogeneo il modo di approcciarlo, più si raggiunge la meta. Perché funzioni, un team deve essere il più assortito possibile. Contaminare arricchisce, non indebolisce. Certo non è semplice perché non siamo abituati, ma più ne avremo e meglio sarà per tutti.
A proposito di contaminazione e obiettivo comune. Una laurea in filosofia, poi commerciante e imprenditrice, prima di Sergio Marchionne che vanta i suoi studi in filosofia alla base del successo da Ad di FCA. Sempre lui ha dichiarato in un’intervista: “Il giorno in cui mi sono laureato in filosofia mio padre si era impegnato a comprarmi il taxi, perché era l’unico lavoro che potevo fare”. Poi conosciamo il resto della storia. Nel suo caso cosa le si sarebbe prospettato?
A me piace fare impresa, ma non lo sapevo. Mi ci sono trovata per necessità, per dare una mano all’attività di famiglia. In quell’occasione ho scoperto che l’imprenditore è un mestiere molto bello perché metti in pratica quello che pensi. Le chiavi sono la passione, la curiosità e la sete di imparare sempre cose nuove, le stesse con cui ho cresciuto i miei figli. Così facendo scopri man mano cosa ti piace e cosa no.
Sul fronte “interno”, invece, associazioni di categoria e istituzioni non vivono tempi semplici, soprattutto in termini di credibilità. Come si fa a navigare in queste acque?
Penso che a volte ci sia la necessità di cambiare, ma mettere in crisi le istituzioni non serve, è pericoloso, perché servono per dare democrazia. Ovviamente se c’è qualcosa che non va si deve correggere il tiro, ma con il demolire non si risolve niente. Tutte le associazioni hanno vissuto stagioni alterne ma si pensa sempre che le responsabilità siano degli altri e non le nostre. Credo che l’unico modo per rappresentare le imprese sia innanzitutto ascoltarle: c’è la necessità di parlare con gli imprenditori, guardandosi negli occhi piuttosto che a suon di messaggi veloci. È il meccanismo della socializzazione del problema: ognuno pensa che il proprio problema sia solo suo e che tutto questo succeda perché una persona non è in gamba. In questo senso siamo troppo cattivi con noi stessi. Invece io credo che parlare, confrontarsi, razionalizzi il problema, e questo aiuta.
Ultimamente ha incontrato il vicepremier Matteo Salvini all’assemblea Confesercenti. Come giudica i primi passi del Governo Conte?
Per mia natura sono come San Tommaso, aspetto di toccare con mano. Certo, sono stati presi impegni importanti (flat tax per le imprese dal 2018, no agli aumenti di Iva e accise, la cancellazione dell’Imu per i negozi sfitti, N.d.R.) a partire dalle minori tasse sulle imprese e sulla famiglia, fino al restituire dignità al lavoro. Vedremo come questi impegni si possano declinare con il rispetto dei conti pubblici.
È stata vicepresidente del Porto Antico di Genova. Ha trovato più difficoltà con i portuali genovesi o con i commercianti di tutta Italia?
Sorride. I miei colleghi mi dicevano: “Vedrai che, dopo l’esperienza di Genova, al nazionale sarà una passeggiata”. Naturalmente non è così, ma ho portato questa attenzione ai rapporti umani.
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