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Presto un contratto dedicato ai social media manager, “ma non saremo un Ordine professionale”
Uno dei mestieri più fraintesi e sfruttati dell’era digitale fa quadrato richiedendo un CCNL e un codice ATECO dedicati, ma ancora non c’è una verifica delle competenze di chi lo pratica. Intervistiamo Riccardo Pirrone e Renato Scattarella, presidente e vicepresidente dell’Associazione Nazionale Social Media Manager
Questo articolo fa parte del reportage Gioventù Sfruttata, che verrà pubblicato nel corso delle prossime settimane su SenzaFiltro: realizzato da giovani giornaliste e giornalisti, fa il punto sullo sfruttamento dei professionisti che si affacciano in diversi settori del mondo del lavoro, dagli Ordini professionali alla gig economy, passando per i social media.
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Dici social media manager e l’immagine che si crea nella testa della maggioranza delle persone è di qualcuno che passa tutto il tempo a smanettare sui social network, senza grande esperienza né chissà quali competenze, e che come tale non andrebbe pagato più di tanto. In fondo, parafrasando un detto popolare, fare il o la social media manager è sempre meglio che lavorare.
Ma dietro quello che di norma si pensa c’è un mondo fatto sì di chi si improvvisa e gestisce il canale Instagram o la pagina Facebook del negozietto sotto casa, ma anche di chi fa questo lavoro con serietà, dopo avere studiato e mentre continua a studiare, ma che nonostante tutto spesso non vede riconosciuta la propria professionalità.
E se da un lato non aiuta avere personaggi famosi come Amadeus che indicano nel figlio adolescente il proprio social media manager, dall’altro, dal luglio 2022, esiste l’Associazione Nazionale Social Media Manager (ANSMM), che di recente ha contribuito a raggiungere un primo importante traguardo: dare una dignità contrattuale alla figura dei social media manager.
Nella bozza di accordo del rinnovo del CCNL di grafici editoriali, insieme ad altre 37 figure tutte appartenenti al mondo digitale, ci saranno infatti anche i professionisti dei social media. Di cosa significhi tutto questo, di come possa aiutare a evitare lo sfruttamento cui molti professionisti dei social sono sottoposti e del prossimo passo per ottenere un codice ATECO, abbiamo parlato con Renato Scattarella, vicepresidente dell’ANSMM, e Riccardo Pirrone, presidente.
Chi è il “vero” social media manager: competenze tecniche e trasversali
“Essere inseriti nel CCNL dei grafici editoriali è il risultato di un processo che abbiamo avviato come associazione da qualche anno”, spiega Renato Scattarella. “Ci siamo rivolti a diverse sigle sindacali, ma è poi con SLC (Sindacato Lavoratori della Comunicazione) CGIL che i tempi si sono velocizzati. Abbiamo contribuito indicando al tavolo della contrattazione quali sono le specificità del social media manager, necessarie visto che è una figura molto trasversale e poco nota”.
“Tra queste, ci sono competenze legate alla professione come creazione di piani editoriali, reportistica e analisi degli insights, copywriting, conoscenza e gestione dei social, gestione dei budget per le sponsorizzazioni sulle piattaforme più conosciute, conoscenza e gestione del Business Manager e della suite di Meta, elaborazione delle strategie e programmazione inserzione, moderazione dei gruppi, gestione di campagne giveaway (dove c’è un’estrazione che permette a un partecipante casuale di vincere il premio messo in palio, N.d.R.), concorsi e operazioni a premi (che prevedono la conoscenza dei regolamenti), gestione di campagne di influencer marketing e così via. Per quel che riguarda invece le cosiddette soft skill, abbiamo indicato la curiosità su trend giornalieri e marketing in tempo reale e la creatività. Inoltre, per svolgere questa professione, un requisito preferenziale è una laurea in marketing e comunicazione”.
Al momento il CCNL non è ancora operativo perché, come ci spiega Scattarella, “superate le fasi di accordo tra i vari sindacati e le parti datoriali, per trovare applicazione è necessario procedere con la scrittura dell’intero contratto e la sua pubblicazione. Speriamo di avere delle novità in merito entro maggio. Certo, questo non significa che chi è assunto con altri tipi di contratto e lavora come social media manager dovrà cambiare CCNL, ma vuol dire dare un riconoscimento a chi spesso viene sottopagato, non ha ferie, permessi e diritti sindacali, né tantomeno gode del welfare”, chiosa Scattarella.
SMM e sfruttamento: non sono grafici (né tante altre cose)
Il tema dello sfruttamento è infatti all’ordine del giorno per i professionisti dei social e sono in molti a rivolgersi all’ANSMM per segnalare situazioni in cui vengono sottopagati.
“Il problema principale”, aggiunge Pirrone, “è che spesso chi viene ingaggiato come social media manager svolge anche lavori di segreteria o commerciali. Nelle realtà piccole succede di frequente, così come può capitare che chi si occupa dei social faccia anche il grafico. Nel caso di un freelance è qualcosa di molto comune, visto che per lavorare gli sono richieste più competenze, ma è importante distinguere tra le diverse professionalità. Un social media manager non è un grafico, anche se può avere competenze in tal senso”.
Oltre alla “confusione” dei ruoli, la parola sfruttamento fa il paio con orari non molto definiti, altro aspetto che il contratto si propone di regolamentare.
“Chi cura i canali social spesso deve seguire degli eventi nel fine settimana o la sera, e tutto questo è lavoro straordinario, spesso non riconosciuto come tale”, specifica Pirrone. “Nell’agenzia in cui lavoro la gestione e moderazione dei contenuti online è prevista nei giorni settimanali dalle 9 alle 18, ma i clienti pagano un surplus per le attività fuori orario o nel fine settimana. In generale, i social media manager oggi vivono in una giungla e in molti, liberi professionisti e non, si ritrovano ad accettare delle condizioni tutt’altro che vantaggiose e rispettose. Su questo influisce il fatto che non si conosce a fondo la tipologia di lavoro legato al mondo social, così alcuni se ne approfittano o non lo considerano così importante da dedicargli del budget specifico. Eppure, se ci pensate, i social media sono solo un piccolo pezzo all’interno dei tanti strumenti di marketing”.
Social media manager, uno dei lavori più fraintesi e sottopagati: perché?
Perché, nonostante l’esplosione dei social, non la si considera una professione? “Perché non c’è conoscenza di quello che si fa e si pensa che gestire i social sia solo pubblicare qualche post quando, invece, si lavora a una strategia che porti dei risultati alle aziende; c’è bisogno di pianificazione, bisogna avere tutta una serie di conoscenze sia tecniche che legali legate al copyright. Per non parlare poi delle crisi sui social, delle shitstorm (le bufere d’opinione che si scatenano sui social media, N.d.R.) e così via: moderare le community, quindi gestire delle masse, vuol dire anche avere conoscenze di psicologia sociale”.
Un altro aspetto concatenato è quello legato alla retribuzione, non sempre commisurata al lavoro che si fa: è qualcosa di cui si lamentano spesso gli associati dell’ANSMM, che in tutto sono circa 1.650 tra social media manager e chi sposa la causa, come ci spiega Pirrone.
“Dal canto nostro, cerchiamo di sensibilizzare i nostri associati dando loro dei range di riferimento. Per esempio, per la gestione di una pagina con due post a settimana, suggeriamo di non chiedere meno di 400-500 euro al mese. Certo, poi la questione cambia a seconda del fatto che si lavori per un negozio o un brand nazionale, così come influiscono anche il luogo in cui si lavora, le responsabilità che si hanno, se bisogna sponsorizzare dei post – quindi gestire un budget, pensare all’e-commerce ecc. Questo è un consiglio di partenza, considerando che spesso per un lavoro simile, specie al Sud, si viene remunerati addirittura 100 euro al mese.”
Altro problema molto frequente è il ritardo nei pagamenti. “L’Associazione – continua Pirrone – si avvale del supporto dell’avvocato Alberta Antonucci che offre una consulenza iniziale gratuita per poi seguire le pratiche con una convenzione”. Ne fanno parte, come si legge sul sito, altre figure professionali come commercialisti, esperti di fisco e finanza e altre figure, per un totale di dieci professionisti di estrazione diversa, non social media manager, che costituiscono il Comitato Tecnico Scientifico”.
Le battaglie dell’Associazione non si fermano comunque al CCNL, ma proseguono anche nella direzione di ottenere un codice ATECO per i social media manager, importante per chi apre una partita IVA e fa questo lavoro.
A oggi chi svolge la professione di social media manager, come abbiamo avuto modo di verificare parlando con alcuni di loro, deve utilizzare altri codici, come il 73.11.01, pensato per chi si occupa di ideazione di campagne pubblicitarie, creazione e sviluppo, ma non per gestire budget del cliente (cosa che succede molto spesso, invece) o il 73.11.02 che prevede la conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari con la gestione del budget (ma non specifico per tutte le attività social).
Formazione, consapevolezza e un codice etico: il SMM dopo il Pandoro-gate
Molta importanza l’ANSMM dà poi alla divulgazione e alla formazione, sia nelle scuole che per adulti, oltre a partecipare a ospitate in TV.
Spiega Pirrone: “Gli adulti, al giorno d’oggi, guardano ancora la TV e le danno estrema importanza, ecco perché per noi rappresenta un mezzo importante per far capire che il social media manager è l’unica persona competente rispetto all’uso dei social. Fare cultura inoltre ha un riscontro diretto anche sul nostro lavoro: quando andiamo in televisione e spieghiamo alcune dinamiche social che portano a far girare le fake news o cerchiamo di far capire come nasce l’odio social o il cosiddetto hate speech, questo aiuta, e non poco, anche il nostro mestiere”.
CCNL, codice ATECO, formazione e divulgazione, ma tra i progetti dell’Associazione non c’è quello di diventare un ordine professionale. “Non ci sembra che gli Ordini funzionino poi molto, inoltre il nostro è un mondo molto in evoluzione quindi non è possibile restringerlo in un ordine con regole precise e specifiche che non possono essere mutate nel tempo. Ci sono social media manager che lavorano anche come grafici, attivisti, influencer, giornalisti”.
Con la vicenda Chiara Ferragni e il Pandoro-gate, è poi d’obbligo capire qual è la posizione dell’Associazione rispetto a determinate situazioni e agli influencer.
“Siamo presenti al tavolo tecnico dell’AGCOM per tutelare la figura del social media manager, ma anche per discutere la responsabilità degli influencer e dei loro social media manager (che vogliamo tenere distinti). L’idea, dal canto nostro, è di promuovere una nuova morale più inclusiva e, come dicevo prima, lavorare per un uso più consapevole e responsabile della comunicazione social che vada contro l’hate speech e condanni le fake news. Siamo stati ascoltati in Senato il 25 gennaio, dove abbiamo presentato il nostro Codice Etico e di Comportamento, il CCNL e l’idea di progettare nove nuove sedi dell’Associazione. Da qualche anno è richiesto che chi, come influencer, parla sui social di qualcosa per cui è stato pagato deve indicarlo con la sigla ADV, ma questo è solo un primo passo: quello che vogliamo è discutere tutto quello che sta ancora nell’oscurità e rendere questa professione sempre più trasparente”.
Trasparente, nonché riconosciuta davvero come tale: se basterà il CCNL a regolamentare la situazione, lo scopriremo tra alcuni mesi.
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Photo credits: ansmm.it
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