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Coronavirus: non parlate male di Whatsapp. La Polizia locale ci salva i cittadini
A Terre Roveresche, comune del Pesarese, il numero di Milena Orlandi ce l’hanno quasi tutti. Era desiderio della comandante del Corpo della Polizia Locale, sin dal suo trasferimento da Macerata, instaurare un rapporto diretto con tutti i concittadini per fare eventuali segnalazioni, chiedere informazioni o aiuto anche tramite le chat di WhatsApp e Messenger. Con […]
A Terre Roveresche, comune del Pesarese, il numero di Milena Orlandi ce l’hanno quasi tutti. Era desiderio della comandante del Corpo della Polizia Locale, sin dal suo trasferimento da Macerata, instaurare un rapporto diretto con tutti i concittadini per fare eventuali segnalazioni, chiedere informazioni o aiuto anche tramite le chat di WhatsApp e Messenger. Con il diffondersi della pandemia, la vita e le attività di Milena sulle sue messaggerie si sono intensificate.
“Ci sono state varie fasi. Nella prima mi scrivevano soprattutto gli irriducibili, quei cittadini, in buona parte anziani, che di fronte a tutti quegli improvvisi divieti, e forse non avendo ben capito la portata del contagio, non accettavano di dover restare a casa e volevano comprendere quali fossero le limitazioni”. Milena parla con un atteggiamento dolce, conciliante, ma al tempo stesso fermo. Proprio la sua serietà l’ha resa un riferimento importante per la popolazione. “Bisogna anche comprendere il contesto culturale e politico del territorio. Inizialmente eravamo visti solo come una sorta di sceriffo, e quando abbiamo cominciato a dire che bisognava restare a casa alcuni l’hanno presa come una sfida, continuando nell’esercizio di attività sportive e passeggiate”.
Milena, che è nella Polizia Locale (ex Vigili Urbani) da 25 anni, ha sempre vissuto la sua professione come una mediazione con i cittadini, una collaborazione per il bene comune. “Quando mi trovo costretta a fare una sanzione la vivo come una sconfitta, perché significa che qualcosa, a livello di comunicazione, condivisione, educazione alla cittadinanza, non ha funzionato. Ora la situazione è diversa. Stiamo lottando tutti, vogliamo stare bene, sappiamo che la limitazione attuale della libertà è finalizzata alla tutela della salute nostra e degli altri. Dopo l’iniziale riluttanza, infatti, la gente ha capito che la situazione chiedeva un atteggiamento responsabile da parte di ognuno di noi”.
COVID-19: com’è cambiato il lavoro delle Forze dell’Ordine
L’emergenza COVID-19 ha sconvolto i progetti di tutti, compresi quelli di Milena, che a gennaio avrebbe voluto regalarsi un viaggio e progettava di andare proprio verso Oriente. Nella sua ricerca aveva letto le prime notizie che arrivavano dalla Cina, e così aveva raccontato ai colleghi di voler comprare le mascherine. La sua lungimiranza è stata premiata, perché i primi dispositivi di protezione sono arrivati solo a fine marzo e quella piccola scorta iniziale è stata importante. Quando è uscito il decreto, il 9 marzo, le attività della Polizia Locale di Terre Roveresche, come delle altre Forze dell’Ordine in Italia, si sono tutte incentrate alla vigilanza del rispetto delle misure di contenimento del coronavirus, sotto il controllo della Prefettura, e le stesse vite lavorative degli agenti sono cambiate del tutto.
“Dall’inizio della pandemia il nostro impegno si concentra principalmente su alcune specifiche attività: la verifica del rispetto della prescrizione di isolamento per le persone risultate positive al virus; il monitoraggio degli spostamenti dei cittadini; il ricevimento di segnalazioni di vario tipo e la verifica del rispetto delle norme da parte degli operatori commerciali.”
Milena racconta che quasi quotidianamente lei e i suoi colleghi contattano le persone del territorio che sono in isolamento perché risultate positive, o perché sono state a contatto con persone infette. Si controlla che siano effettivamente in casa e si chiede loro se hanno bisogno di qualcosa. “Devo dire che la gente si è mostrata molto rispettosa e anche solidale, e che raramente è stato chiesto il nostro aiuto diretto. C’è stata piena collaborazione da parte di chi è risultato positivo, che prontamente ci ha fornito i nominativi delle persone con cui era stato in contatto e che abbiamo dovuto avvertire, invitandole a osservare a loro volta un periodo di isolamento. È un lavoro certosino, che però ci permette in tempi relativamente brevi di circoscrivere e isolare i contagi”.
Ci sono poi i controlli sulle strade, nei negozi, nelle piazze. Una presenza sul territorio continua e costante, da mattina a sera, che ha indubbiamente ha esposto Milena e i suoi colleghi anche al pericolo. “Siamo consapevoli dei rischi, cerchiamo di mantenere le distanze anche tra di noi, usiamo sempre guanti e mascherine, disinfettiamo tutto. Io vivo sola, quindi non ho problemi, ma mi ha fatto stringere il cuore la testimonianza di un collega, che ogni giorno deve trattenersi dall’abbracciare la figlia, che solitamente si getta tra le sue braccia quando torna a casa, e che ora deve limitarsi ad accarezzare solo con lo sguardo”.
Vivere e morire in solitudine: la piaga emotiva del coronavirus
Ci sono racconti commoventi, ma anche qualche aneddoto curioso. Ad esempio, per molte persone questa situazione ha fatto un po’ da spartiacque: alcuni hanno fatto le valigie e dall’8 marzo hanno deciso di andare a vivere insieme alla persona amata. Qualcuno segnala spostamenti dei vicini o di chi corre o passeggia. Al di là delle note di colore, la lontananza forzata dagli altri ha accentuato particolarmente la condizione di solitudine in cui vivono certe persone. “La tecnologia, in questo senso, ci ha salvato. Riuscire a fare videochiamate ha reso più sopportabile la distanza dai propri affetti, anche per le persone anziane”.
Le strade di Terre Roveresche, come quelle di tutte le altre città italiane, sono quasi deserte. “È cambiata la mentalità di tutti, anche degli amministratori. Alcuni di loro, all’inizio, avevano detto di no all’uso di mascherine da parte nostra, perché avrebbe creato allarme, ma su questo ho puntato i piedi. Viaggiando molto, ho visto che la mascherina in certe situazioni e contesti è prassi. Da noi è ancora una novità, e come per tutte le novità c’è bisogno di tempo perché venga recepita in pieno”.
A rafforzare la fermezza di Milena nel far osservare le regole e nel prendere tutte le precauzioni necessarie c’è stato il suo confronto con amici medici. “Ascoltavo le loro storie, i loro sfoghi, e capivo che l’unico modo per aiutarli e aiutare la comunità era essere ferrei nell’osservanza delle disposizioni per contenere la pandemia. Dopo aver raccolto la testimonianza di una dottoressa, che una notte mi ha raccontato lo strazio dei malati che spirano senza nemmeno poter avere il conforto di un familiare vicino, mi sono decisa a registrare un videomessaggio in cui ho letteralmente detto di essere disperata per il racconto dei medici, e che proprio per questo sarei stata intransigente nel far applicare le nuove regole. Dopo molti giorni di clausura la gente è stanca della situazione e le belle giornate invogliano a uscire, ma così si vanificherebbero gli sforzi fatti finora. Per questo il nostro lavoro è più che mai necessario”.
La risposta del territorio all’operato della Polizia Locale
A giudicare dai messaggi che Milena e i suoi colleghi ricevono, questo pugno di ferro è però guardato come un guanto di velluto. Molti bambini, ad esempio, mandano loro disegni, canzoncine, poesie in cui li descrivono come supereroi che pattugliano le strade contro il nemico. “Con questa divisa ho affrontato situazioni critiche, come i diversi terremoti che hanno colpito il Centro Italia, le emergenze legate a nevicate abbondanti, a smottamenti stradali; ma mai mi sarei immaginata di vivere una situazione del genere. Nessuno di noi era preparato, non sapevamo nemmeno come si indossasse e disinfettasse correttamente una mascherina. Per capire abbiamo letto anche prontuari dell’Esercito”.
La Polizia Locale ha quindi rafforzato la sua preparazione professionale, ma anche l’impegno dal punto di vista morale non è poco. “Non è semplice dover chiedere a una persona il rapporto con il defunto per autorizzarne la partecipazione al funerale. Sappiamo tutti che non serve essere parenti per voler bene a qualcuno, ma in questo momento, purtroppo, ci sono restrizioni anche in questi termini. Le persone muoiono da sole e a volte nessuno può andare a dare loro l’addio. Sono situazioni che ti arrivano come un pugno allo stomaco. Per fortuna l’affetto della gente ci ripaga di questi dolori”.
Il flusso di messaggi è ininterrotto. “Adoro il mio lavoro. Il contatto con gli altri, anche in questa situazione difficile, può fare la differenza”. Una signora ha scritto a Milena che ha lavato con candeggina alcune mascherine per fargliene dono. Un’altra persona le ha segnalato il ringraziamento che un ragazzo di nome Kevin le ha dedicato tramite un post su Facebook, per essersi sincerata delle sue condizioni e aver chiesto se avesse bisogno di aiuto. Un’altra ancora l’ha ringraziata per il suo impegno, “la sua missione”. Avvolta nella sua divisa blu, Milena scruta il territorio e sono i suoi occhi, che con la mascherina a coprire naso e bocca risaltano particolarmente, a rassicurare le persone che le chiedono un conforto, una rassicurazione, in un momento così pieno di incertezze.
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